Secondo il report di AIFI tramesso oggi in occasione dell’evento Venture Capital e Digitalizzazione, nei primi 9 mesi del 2022 sono stati investiti nelle startup italiane circa 2 miliardi di euro. Due sono state le caratteristiche di questi 9 mesi: round superiori a 300 milioni di euro e uno sguardo continuo degli investitori stranieri in Italia, interessati a investire nel nostro Paese. l’Italia anche se ha registrato circa 2 miliardi di euro di investimenti in VC nel 2021, quasi il doppio del 2020, e triplo nel 2019, è fuori dalla top ten europea. Il nostro Paese starebbe però crescendo attraverso una ricetta fatta di diversi attori e strumenti: dalle istituzioni agli investitori tramite Fondi di VC o CVC. Quanto emerge dalla terza edizione dell’EY Infrastructure Barometer nel private equity il settore infrastrutturale italiano è considerato un mercato chiave nell’UE dagli investitori istituzionali, che si aspettano un aumento della competizione nelle operazioni di M&A nei prossimi 12 mesi. Tra gli attori nostrani che potrebbero portare l’Italia a scalare l’ecosistema europeo, CDP Venture Capital SGR sta giocando una partita interessante: nella conferenza stampa di tenutasi ieri a Milano l’amministratore delegato Enrico Resmini, ha riportato come “A oggi CDP Venture Capital ha 1,8 miliardi di euro di risorse in gestione attraverso 9 team focalizzati su ambiti specifici che hanno portato a deliberare quasi 1 miliardo di euro in 2 anni e mezzo di operatività”. Nella giornata odierna, in occasione dell’evento di AIFI, Resmini ha ribadito come CDP Venture Capital SGR dalla dotazione attuale di 1,8 miliardi raggiungerà entro il 2024 i 5,3 miliardi di euro: “i capitali investiti nel venture capital italiano, sono capitali ben investiti – e CDP ha provveduto a – “infrastrutturare” il VC italiano in questi anni – investendo in – programmi di accelerazioni (punto nevralgico) lanciandone 18, nel trasferimento tecnologico con Fondo dedicato, definendo 5 poli di trasferimento tecnologico, insomma una attività che a nostro avviso sta dando buoni frutti”. Se messi a paragone con i 11 miliardi della Francia e 17 della Germania nel 2021, parrebbe una cifra irrisoria ma è lo stesso Resmini a commentare il dato e sottolineare che “noi come Italia facciamo un passo avanti, con queste nuove risorse (3,5 miliardi di euro aggiuntivi)”. Secondo l’AD in CDP Venture Capital SGR: 1,5 mld continuerà a essere investito nelle infrastrutture base del venture capital: “lanceremo un fondo dei fondi da circa 600 milioni di euro e un fondo di fondi international che va a investire con investitori internazionali tra i migliori”. Un miliardo di euro su un fondo late-stage capital e un fondo di fondi dedicato al venture debt: proprio perché “in Italia non ci sono ancora fondi che riescono a trattenere le startup nella ricerca di capitali”. Circa un miliardo di euro a sostenere gli asset strategici del Paese: “mezzo miliardi dal PNRR (ovvero i due fondi Digital e Transition Fund) e l’altro mezzo nel mondo delle deep tech con nuovo fondo al di là del Fondo evoluzione già esistente, e un nuovo Fondo dedicato al Sud”. Tra gli ospiti è intervenuto anche Luca Pagetti, director e responsabile finanziamento Crescita delle Startup Intesa Sanpaolo Innovation Center, coinvolta nel round da 320 milioni di euro con il quale Satispay è diventata unicorno: “la parola chiave è quella della ricerca: noi abbiamo annunciato qualche settimana fa la partecipazione del Gruppo San Paolo ai quattro centri di ricerca istituiti con il PNRR. La qualità delle startup italiane dipende anche dalla qualità degli imprenditori e innovatori italiani, anche le Università hanno contribuito con i poli tecnici a offrire delle soluzioni ”, e sull’ecosistema italiano ha aggiunto: “C’è stata una flessione ma rispetto al contesto internazionale del venture capital che ha vissuto quest’anno un anno un po’ difficile noi facendo sistema e mettendo insieme capitali pubblici e capitali privati e coinvolgendo il più possibile il mondo delle imprese possiamo davvero recuperare in tempi veloci. Ce lo hanno insegnato Paesi come la Francia e la Spagna che, quando hanno intrapreso politiche di facilitazione all’investimento del venture capital, in pochi anni hanno moltiplicato il capitale raccolto, che noi consideriamo dal punto di vista del Gruppo, economia reale”. Lisa di Sevo, managing partner & CEO Prana Ventures, che si occupa di investimenti seed e post seed -con un ammontare di investimenti a oggi di circa 3,5 milioni di euro, con i quali le società del loro portafoglio hanno raccolto circa 9 milioni di euro totali -, ha ribadito quanto gli investitori internazionali si stiano affacciando all’Italia e il perché: quello che mancherebbe nel nostro ecosistema “è il tempo e la fiducia di questo tempo da dedicare a questo ecosistema”. Ma ha anche aggiunto i fattori che oggi possiede l’Italia: “a livello macro economico stiamo vivendo una grandissima crisi anticiclica che storicamente per il mondo dell’innovazione ha visto nascere le startup più disruptive che hanno cambiato nel mondo del tech gli scenari futuri e quindi oggi in Italia abbiamo un tessuto imprenditoriale molto valido e una storica attenzione alla solidità dell’azienda,– specificando che – quello che in Italia era fino a oggi faticoso, per le società con un prodotto pronto e che stavano generando i primi ricavi, era la velocità. Avere un investitore istituzionale che permette di accelerare la fase di lancio e test di alcune soluzioni e portarle velocemente verso il round successivo e la crescita permette alla società di non essere una classica PMI ma di essere in qualche modo classificata come startup”. Luca Rancilio, CEO di Rancilio Cube SICAF – coinvestitori in 53 società e 57 fondi internazionali di VC – ha dato una sfumatura del periodo nel quale stiamo vivendo, evocandolo metaforicamente come “momento di smaltimento della sbornia: ho visto in questi anni tutto il mondo. Pensate agli scooterini, alla consegna a casa in 10 minuti: finanziamenti universali anche molto grandi su tesi molto fragili. Era chiaro che tutto ciò nel post pandemico aveva il suo limite. Anche io negli ultimi anni ho abbandonato il late-stage e growth-stage per andarmi a cercare l’early-stage”. Ecco quindi che se da una parte si starebbe “smaltendo una sbornia” dall’altra “il momento dell’innovazione non è mai stato migliore: è quando c’è fame, quando c’è stimolo intellettuale e anche quando c’è una assenza che nascono le idee. Questo è un momento assoluto per entrare nel gioco e avere un approccio di lungo termine e ho sentito in questa call in tanti evocare l’idea del ‘capitale paziente’ ed ecco secondo me questo è il momento di investire in VC”. Già avevamo approfondito come infatti il mercato globale si starebbe spostando in investimenti in early-stage. E oggi ulteriori studi lo starebbero confermando. Quello di Pitchbook da evidenza di come oggi investire in early-stage sia forse una delle contromosse migliori in un futuro periodo di recessione. Infatti, con la ritirata da un lato dei mercati pubblici, e dall’altro la strategia dei venture capitalist non più interessati alla crescita a tutti i costi ma alla conservazione della liquidità, per molte aziende ciò potrebbe comportare “valutazioni elevate e metriche di fatturato incapaci di raggiungere le aspettative. Queste aziende saranno costrette a fare un down round, anche se, “nonostante la pressione esercitata sul mercato del venture, il settore non ha ancora registrato un aumento dei down round nel 2022”. E l’Italia si prepara quindi con una ricetta fatta di investimenti pubblici, privati, con l’apertura verso fondi internazionali e con le strategie e soluzioni degli investitori ed esperti del settore decisi a investire non nel breve ma nel lungo periodo, sotto gli occhi puntati dei fondi internazionali, ora che finalmente abbiamo un unicorno da apripista. (Photo by Mike Hindle on Unsplash )
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