La prossima vera grande innovazione non sarà una tecnologia, ma l’avvento di un nuovo modello socio-economico reso possibile dalla disponibilità delle nuove tecnologie. Un processo che già è avvenuto nella storia, si pensi alla rivoluzione industriale, che è prossimo a ripetersi e i segnali sono ormai forti e netti. Uno di questi segnali è arrivato dalle grandi aziende tecnologiche statunitensi che si sono senza esitazione, senza timore, senza compromessi ribellate in blocco alla sconsiderata decisione del presidente Trump di ritirare gli Usa dagli accordi di Parigi sul controllo delle emissioni per la protezione del clima e dell’ambiente. Chiunque sano di mente comprende che investire sulle nuove tecnologie energetiche rinnovabili non è solo una questione di salvaguardia dell’ambiente ma è anche una questione economica perché è in quella direzione che va la ricerca, che vanno gli investimenti, che va la sensibilità del mondo. Nessuno di noi oggi comprerebbe un prodotto o un servizio da un’azienda che pratica la schiavitù e molto presto saranno sempre meno le persone che compreranno prodotti e servizi da aziende che praticano l’inquinamento dell’ambiente. Quindi la antistorica decisione di Trump non solo è dannosa sul piano della tutela dell’ambiente ma paradossalmente è dannosa anche per il futuro dell’economia, compresa e soprattutto quella del Paese che è stato chiamato ad amministrare. La notizia qui è però anche un’altra: il progressivo scostamento tra l’autorità dei governi centrali degli stati-nazione e le sensibilità della società civile e degli attori dell’economia. È inadeguatezza quella dei governi sia per il fatto che ci sono, sempre più diffusamente, personaggi di dubbie capacità, preparazione e credibilità a guidarli, sia per via di una sempre maggiore interconnessione tra essi a livello globale e, parallelamente, una crescita di attenzione verso poli di aggregazione sociale ed economica che sono le città che si muovono sullo scenario globale in modo quasi autonomo e con logiche di rete e modelli decentralizzati (ne abbiamo scritto qui ) e a dimostrarlo sono proprio i sindaci delle città Usa che si sono pubblicamente ribellati alla decisione del presidente affermando che le loro città implementeranno in autonomia gli accordi di Parigi. E un altro ex-sindaco, Michael Bloomberg che guidò la città di New York, ha dichiarato apertamente che Washington non fermerà gli americani e ha messo a disposizione 15 milioni di dollari quale quota da versare all’Onu a contributo degli accordi di Parigi. Le reazioni delle tech company Usa alla notizia della volontà degli Usa di ritirarsi dagli accordi di Parigi è stata immediata, compatta, solida, un messaggio che dice chiaramente che la politica Usa e l’economia Usa, quella più innovativa e avanzata, vanno in direzioni diverse, che vi è una spaccatura profonda e che si è arrivati al punto dello scontro diretto. Business Insider si è divertito a raccogliere tutti i tweet e i commenti dei capitani della tecno-industria, a partire dal clamoroso e tempestivo tweet di Elon Musk che un minuto secondo dopo l’annuncio della Casa Bianca ha dichiarato la sua intenzione di ritirarsi da ogni ruolo di consulente del governo e poi Sundar Pichai, Tim Cook, Mark Zuckerberg, Jack Dorsey, Marc Benioff, Brad Smith, Aaron Levie, Andrew Salzberg, Jeff Bezos, tutti i Ceo e top manager delle tech-companies hanno commentato e la parola più comune nei loro commenti è ‘delusione’. Commenti che non si fermano a mostrarsi dispiaciuti per la decisione di Trump, ma che vanno oltre affermando che le aziende da loro guidate continueranno a fare la loro parte e ad adeguarsi alle direttive degli accordi di Parigi. Certo sono aziende globali, aziende che rischierebbero di perdere milioni di consumatori in tutto il mondo se così non facessero, sarebbe sciocco non considerare che dietro queste affermazioni ci siano anche dei chiari interessi economici, ma sarebbe altrettanto sciocco pensare che tali dichiarazioni sono motivate esclusivamente dagli interessi economici immediati perché esse nascono anche dal fatto che gli imprenditori innovativi fanno cose nuove e le fanno in modo nuovo, che gli imprenditori innovativi sono sensibili verso temi legati all’impatto sociale e ambientale perché hanno pensato e progettato le loro aziende in tal senso fin dall’inizio (sì ci sono le eccezioni anche qui, a qualcuno sarà già venuta in mente la gig economy e i suoi effetti sui diritti dei lavoratori). Aziende che sperimentano anche quando si tratta della loro organizzazione, esperimenti che a volte vanno alla grande, altre volte hanno bisogno di aggiustamenti ma certamente sono aziende che vedono il globo nella sua interezza, che vanno oltre i confini delle leggi degli stati-nazione i quali irrigiditi sulle loro posizioni e centri di potere non riescono nemmeno ad armonizzare le leggi per fare sì che le multinazionali paghino le giuste tasse. La decisione di Trump rappresenta uno spartiacque perché non solo si dimostra congiunturalmente sconsiderata ma è un passaggio importante che sta mettendo in luce come l’autorevolezza, la credibilità, la serietà dei governi democratici degli stati-nazione possa e debba essere messa in discussione e possa essere rapidamente rimpiazzata sia dalla società civile ed economica, sia da una rete di entità governative decentralizzate. Certo questo scontro all’interno degli Usa è appena iniziato, staremo a vedere come si svilupperà e quali altre conseguenze anche di tipo legislativo avrà, ma è sintomatico di un cambiamento di percezione che sta avvenendo e che prima o poi avrà riverbero sui governi di tutto il mondo, a partire da quelli meno credibili, che meno godono della fiducia della popolazione, che più sprecano tempo e denaro, che più sono aggrappati alle rendite di posizione. @emilabirascid
© RIPRODUZIONE RISERVATA