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L’edizione 2023 di TechChill Milano è stata anche l’occasione per incontrare startup provenienti da tutta Europa che hanno portato sul palco dell’evento la loro esperienza e le loro storie. Ne abbiamo incontrate quattro: la lettone OX Drive, la britannica Daye, la danese Wavepiston, l’ucraina Reface.
OX Drive
Egija Galumia è la CEO e fondarice di OX Drive, startup nata circa un anno fa a Riga che offre un servizio di car sharing free-floating che utilizza veicoli Tesla. “Il nostro modello offre diverse possibilità – dice a Startupbusiness – che includono anche le formule rent-to-buy, abbonamento, leasing, noleggio a lungo termine, ma il car sharing free floating è quella che va per la maggiore, il successo è stato immediato perché è ormai chiaro che non si possono più aggiungere ulteriori autoveicoli nelle città per via dell’inquinamento, del traffico, dei parcheggi e abbiamo calcolato che un’auto in sharing equivale a circa 7-15 auto private a seconda della dimensione della città”. Oggi OX Drive propone una flotta fatta di sole Tesla ma ha in programma di acquistare veicoli anche da altri produttori, sempre full electric. “Le automobili sono un asset che finanziariamente non ha senso, non si apprezza e questo è un tema al quale sempre più persone sono sensibili, inoltre molti non possono permettersi l’acquisto di auto nuove e pertanto continuano a guidare quelle più datate che inquinano maggiormente e che sono meno sicure, il nostro servizio risolve quindi sia i problemi generali sia quelli sei singoli utenti permettendo di accedere a veicoli nuovi anche a persone che altrimenti non potrebbero permetterselo e come risultato stiamo vedendo che alcuni dei nostri utenti che magari prima possedevano due automobili nel medesimo nucleo familiare, oggi ne tengono una sola”. Naturalmente da questa analisi sono escluse le vetture che rappresentano non tanto un veicolo per muoversi tutti i giorni ma qualcosa di diverso, si pensi alle auto storiche, per esempio, o ai veicoli per appassionati di determinati hobby come andare fuori strada. Per il momento OX Drive è attiva nella città di Riga e in alcune zone limitrofe alla capitale lettone ma ha in programma di avviare le prime operazioni in altri Paesi già dal 2024: “Stiamo considerando di partire dal Portogallo, dalla Grecia o dalla Croazia perché sono i mercati che al momento offrono le maggiori opzioni e ci permetterebbero di conquistare interessanti quote di mercato a fronte di investimenti compatibili con la nostra attuale capacità”. OX Drive conta oggi quasi 40mila clienti, ha fatturato nel primo anno circa un milione di euro e ha raccolto un milione di euro da sette investitori tra business angel e corporate con sede in Austria, Lettonia ed Estonia. Occupa 18 persone. “Puntiamo a offrire un servizio di alta qualità partendo dalla tipologia delle vetture per arrivare al customer care, ci avvaliamo di contenuti media realizzati da influencer e celebrità e lavoriamo per ottimizzare i costi: assicurazioni, manutenzione, automazione di ogni possibile processo. Al momento abbiamo asset per circa 4,6 milioni di euro che diventeranno 9 milioni entro la fine dell’anno e quindi abbiamo anche ottimizzato la gestione finanziaria soprattutto per quanto riguarda l’acquisto dei veicoli, oggi abbiamo una flotta di 115 Tesla alle quali se ne aggiungeranno ulteriori 70 a breve, stimiamo che la vita media delle auto in servizio sia di 5 anni ma penso scenderemo a tre perché abbiamo molte richieste dal mercato per acquistare le nostre vetture usate, stiamo inoltre lavorando per sviluppare la nostra rete di colonnine di ricarica, abbiamo dato vita a uno spin-off che si chiama OX Charge che la sta realizzando e che sarà aperta a ogni utente di veicolo elettrico, insomma vogliamo dare concretezza al concetto di OX che sta per ‘outstanding experience’”.
Wavepiston
Michael Henriksen è il CEO e co-fondatore della startup danese che ha sviluppato una tecnologia per ricavare in modo efficiente energia dal moto ondoso. “Gli altri miei due co-fondatori sono gli ingegneri che hanno sviluppato la tecnologia, io sono quello meno tecnico e perciò mi hanno messo a gestire l’azienda – dice sorridendo -. Il nostro sistema ha due funzioni: produrre energia elettrica e desalinizzare l’acqua di mare per renderla potabile, due cose che possiamo fare, volendo, con il medesimo impianto e simultaneamente. Al momento stiamo lavorando al primo impianto full scale che sarà installato nell’isola di Gran Canaria e diverrà operativo già a inizio novembre, abbiamo scelto quel luogo sia perché in quel punto vi sono onde della forza che serve a noi, sia perché c’è lo spazio per la costruzione di tutto quanto serve, compresi i generatori, inoltre in generale vogliamo avere un approccio che parte da quei luoghi, tipicamente isole ma non solo, dove è ancora difficile portare l’energia elettrica o dove per farlo servono infrastrutture costose e dove anche l’acqua potabile è scarsa”. Fino a ora Wavepiston ha raccolto circa 15 milioni di euro di investimenti sia da privati sia da enti pubblici, compresa l’Unione europea, prevede di dare il via alla fase di commercializzazione entro il 2024 che richiederà nuovi fondi per 42 milioni di euro che la startup sta raccogliendo sia da venture capital sia da enti e governi. “Il nostro modello di business è quello di vendere ai produttori di energia, alle utility quindi, e stimiamo che i primi sistemi avranno un costo pari a circa 4 per watt e avranno dimensioni minime pari a 2 megawatt, quindi il costo minimo sarà circa 10milioni di euro, ma ovviamente puntiamo a realizzare impianti il più grandi possibile, idealmente da 10megawatt con un costo iniziale di 40 milioni di euro ma l’obiettivo è ridurre il costo di produzione per arrivare fino a 40 euro per megawatt/ora e secondo i nostri piani le prime vendite avverranno nel 2025”. Il sistema di Wavepiston funziona grazie a pale verticali immerse sotto la superficie che muovendosi grazie al moto ondoso fmmo muovere pompe idtrauliche, il sistema, oltre a essere efficiente è invisibile, impone la definizione di aree non navigabili, contribuisce al mantenimento di flora e fauna sottomarine, non richiede l’uso di sostanze inquinanti e la manutezione è effettuata senza dovere fermare l’impianto. “Per noi è fondamentale che le nostre installazioni siano non solo accettate ma anche benvenute dalle comunità dove operiamo e questa è una missione che sta a cuore a tutte le 12 persone del nostro staff attuale che lavorano sia in Danimarca sia in Spagna”. La startup ha registrato brevetti sia sul concetto sia sulle pompe, ne ha tre ulteriori in fase di approvazione e in collaborazione con la società di Cagliari Enermed sta valutando di progettare l’installazione di un sistema anche in Sardegna: “ci stiamo lavorando e vorremmo riuscirci ma fino a ora abbiamo avuto molte difficoltà con l’ottenimenti dei permessi necessari”.
Reface
Anton Volovyk è co-CEO di Reface che sviluppa app destinate ai creatori di contenuti e all’intrattenimento che fanno leva sull’intelligenza artificiale. “Abbiamo sei prodotti – dice – 190 dipendenti, 250 milioni di download fino a oggi, siamo impegnati nello sviluppo di nuovi prodotti partendo da un layer fondativo che abbiamo creato e che ci permette di essere molto rapidi e creativi, abbiamo un modello di business b2c basato sul concetto di freemium e alcune delle nostre app sono nella top 10 degli store in mezzo mondo”. Tra queste app spiccano Restyle che è la più popolare che consente di modificare lo stile di immagini e video, Reface che è un generatore di avatar, Revive che aggiunge animazione alle foto. “Si tratta di un business in crescita, noi stessi dopo il primo seed round non abbiamo più cercato nuovi fondi perché siamo in grado di crescere in autonomia”. Lo staff di Reface era interamente basato un Ucraina prima dell’invasione russa, ora un terzo si è spostato in altri luoghi del pianeta e lo stesso Volovyk lavora da Londra: “Abbiamo creato anche una divisione di ricerca e sviluppo che oggi sta lavorando su agenti autonomi basati su LLM, in pratica una sorta di evoluzione di GPT capace di integrarsi con le applicazioni e con le informazioni personali al fine di offrire servizi ad altissima personalizzazione, si tratta di un processo che secondo le previsioni potrà diventare un primo prodotto funzionante già entro dicembre 2023 ma prima di portarlo sul mercato lo testeremo all’interno della nostra organizzazione al fine di eliminare ogni possibile criticità”. Nel chiudere l’intervista il co-CEO di Reface tiene a sottolineare come il business della sua azienda sia molto simile a quello della scaleup italiana Bending Spoons: “li ammiriamo molto, sono bravissimi”.
Daye
Valentina Milanova è la fondatrice e CEO di Daye, B-corp con sede in Gran Bretagna che sviluppa prodotti innovativi per la salute femminile. “Vogliamo essere uno one-stop shop per tutti i problemi di natura intima delle donne dai primi anni dopo l’adolescenza fino alla menopausa – spiega – in particolare i nostri tamponi consentono di rilevare in modo facile e rapido eventuali malattie infettive e di intervenire in caso di necessità, si tratta di tamponi che agiscono come mitigatori del dolore mestruale o per la diagnosi caratterizzati da un design unico ed efficace e gestiti in tutto il ciclo di utilizzo”. Daye è stata fondata nel 2017, è operativa in Europa e negli USA dove ha già ottenuto le opportune certificazioni in quanto i suoi prodotti sono dispositivi medici, ha sede nel Regno Unito e unità produttive in Bulgaria e negli USA, conta 50 dipendenti, 100mila clienti solo in Europa e ha raccolto fino a ora 25 milioni di dollari di cui 20 da venture capital e 5 da finanziamenti pubblici sia in ambito UE sia nel Regno Unito. “Il nostro obiettivo è continuare a fare ricerca e sviluppo oltre che a rendere i nostri prodotti disponibili a un numero sempre maggiore di utenti; perciò, abbiamo in programma di aprire un round serie B il prossimo anno”. In Italia Daye è presente sia a livello di mercato, sono circa il 5% sul totale, gli acquisti generati nel nostro Paese, percentuale destinata a crescere rapidamente, sia a livello di ricerca e sviluppo: “Collaboriamo con Felice Petraglia dell’ospedale Careggi di Firenze allo sviluppo di un nuovo sistema per il rilevamento della presenza del virus HPV (papilloma virus, ndr), è vero che ora c’è il vaccino contro HPV, che devono fare anche i maschi che pur non ammalandosi possono diventare portatori, ma funziona un po’ come con il covid, bisogna tenersi monitorati anche perché il 99% dei tumori alla cervice uterina è causato proprio da HPV. In Italia inoltre abbiamo trovato competenze ingegneristiche di altissimo livello e le nostre macchine per produrre i tamponi sono frutto di collaborazione con ingegneri italiani”.
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