Startupper’s Swing/Marika Mazzi/X23

 

 

L’esperienza è sicuramente esaltante, inizialmente coinvolgente, successivamente totalizzante, poco dopo sconcertante, a tratti disarmante, per finere in una sorta di rollercoster di euforia e di sconforto altalenante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marika Mazzi Boém è imprenditrice, communicatrice, stratega, manager. Attualmente ricopre il ruolo di Communications and Strategy Officer per il progetto ThePrimate (web 3.0) di X23, la startup di cui è anche co-fondatrice; è anche General Manager, di Xoolab Sviluppo (ICT), nonchè co-editor della webzine CircOs.
    
Mi ritrovo a raccontare la mia esperienza da neo-imprenditore pur essendo imprenditore da circa 15 anni. È un po’ il paradosso che molti di noi stanno vivendo oggi in Italia, un paese stretto nella morsa della crisi global-europea e allo stesso tempo un territorio ricco di gente che si muove, che si ingegna, che crea, che prova, che intraprende.

Fare impresa. Oggi sembra essere l’unica alternativa; ci si convince che il lavoro dipendente sia una chimera, che no, non ci interessa, che sì, effettivamente noioso lo è, e che quindi sì, io preferisco innovare, fare impresa, provarci.

Così, anche chi l’impresa l’ha già iniziata 15 anni fa si ritrova ad essere proiettato nel mondo naif e [almeno da noi] ancora molto genuino dello startuppismo, dei wannabies, degli innovatori, di coloro che – quasi certamente – faranno la differenza nella new economy italiana. L’esperienza è sicuramente esaltante, inizialmente coinvolgente, successivamente totalizzante, poco dopo sconcertante, a tratti disarmante, per finere in una sorta di rollercoster di euforia e di sconforto altalenante.

 

È così che diventare neo-imprenditore, nonostante tu lo sia già da qualche lustro, si trasforma in una sorta di paradosso: proponi la tua startup [ma attenzione, una startup è una company che già è active trading, e spesso la definizione non è calzante con una company che è appena nata, che invece di suo ha solo una buona idea e dunque è solo nella fase di seed] e ti vedi fare lo screening come se fossi un giovane wannabe che per la prima volta si cimenta con il mercato. Non fossi più che certo della tua professionalità, della tua storia e della tua expertise, ti verrebbe da chiederti se davvero non sei un baby imprenditore alle prime armi, stretto fra osservazioni di taglio stilistico nell’esecuzione di un executive summary, o di una pitch presentation.

Quindi noi, che siamo forse la maggioranza [non ho visto davvero dei giovani startupper nelle diverse competizioni alle quali abbiamo partecipato, almeno non i vincitori] che cosa siamo davvero? Degli startupper perché il nostro progetto è in fase di start, oppure siamo startupper perché essendo il progetto non ancora vera impresa, allora anche noi retrocediamo al ruolo di baby imprenditori?

Vivo attualmente questa dimensione con un pizzico di divertimento e molta ironia. Ho 40 anni [dunque fuori da qualunque bando di agevolazione destinato ai giovani, perché si è giovani fino a 35 anni e non di più] e tuttavia non posso dire di essere un professionista “di lunga data”; sono nel pieno della mia vita professionale, anche se posso contare su quasi 20 anni di esperienza e metterla a frutto per trasformare la mia startup in vera impresa. Posso portare a conferma della mia entrepreneur ability l’altra mia impresa, che funziona da 10 anni, che mi guardo bene dall’abbandonare per inseguire il sogno della Silicon. Come dire: rigore, sviluppo ed equità, per parafrasare un motto tanto apprezzato attualmente in terra italiana.

È così che è nato il progetto ThePrimate, da anni di studio, di passione, di pazienza ed esperienza.

Ho l’impressione che l’Italia ed i suoi nuovi fenomeni si stiano ancora una volta assuefacendo superficialmente al modello statunitense: si sorvola sul suo aspetto migliore [yes, you can] e si mutua quello non-etico [train, and train, and train again, and you “probably could”]. E se non sei un ventenne smart, pieno di mucchi d’idee e potenzialità, allora non sei tanto profitable.

Ritengo che il nostro fenomeno sia di differente misura. Credo che essere imprenditori o diventarlo è facoltà di tutti, ma la nostra realtà imprenditoriale è anagraficamente più elevata, e significativamente più densa. Non vorrei che si generasse il luogo comune [o la convenienza] che solo i giovanissimi – qualsiasi giovanissimo – possono addossarsi l’onore e l’onere di generare innovazione, il diritto di essere sostenuti e incentivati e diventare i migliori interpreti di un presunto futuro che annichilisce decenni di presente, dato da sempre per scaduto. Wannabies.

Mi viene il dubbio che se per caso [visto che gli States ci stupiscono continuamente] arrivasse un anomalo tsunami, per cui si assodi che i mercati dicono che sono i senior startupper i nuovi veri scriba dell’innovazione, allora i nostri giovani sarebbero inevitabilmente condannati ad essere solo quello, billions of wannabies.

Modificando il noto motto in un nuovo “Make – and make, and make again – ‘till we are faking it”.

 

     ThePrimate

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