Essere uno startupper vuol dire amare l’avventura e il rischio, avere il coraggio di provare, non aver paura delle responsabilità e nemmeno di fallire.
Gabriele Antoniazzi, founder di Responsa è un giovane trevigiano, che deluso nelle sue aspettative di formazione “accademica” si è creato competenze direttamente sul campo, con una grande esperienza in H-Art. La sua passione per il web e l’entrepreneurship digitale lo hanno spinto a creare Responsa, enciclopedia collaborativa di domande e risposte (ora incubata da H-Farm), attualmente in beta privata con il nuovo widget integrabile in altri siti web.
Mi piace pensare di essere nato startupper, sì perché secondo me è qualcosa che si ha nel DNA. Essere uno startupper vuol dire amare l’avventura e il rischio, avere il coraggio di provare, non aver paura delle responsabilità e nemmeno di fallire. Sì, è facile fallire se non si è totalmente focalizzati sugli obiettivi, un pò come in tutte le cose. L’idea che sta alla base di una startup è comunque solo una piccola parte dell’opera, è il primo passo, ma quello che fa veramente la differenza è l’esecuzione, come ci insegna la filosofia ‘lean’ di Eric Ries, e proprio l’esecuzione richiede un atteggiamento e un modus operandi che non si imparano sui libri o con il tempo, lo studio e la pratica li possono migliorare o tirare fuori, ma sono qualcosa che si ha dentro.
Dopo il liceo classico ho frequentato per due anni la facoltà di giurisprudenza a Padova, ma ero insoddisfatto e ho capito ben presto che non stavo seguendo la strada giusta. Essendo sempre stato affascinato dal digitale e dalla tecnologia in generale, ho deciso allora di seguire il mio istinto e intraprendere questo nuovo percorso. E’ stata la prima decisione importante della mia vita perché sapevo che l’avrebbe veramente cambiata, quindi mi sono rimboccato le maniche e ho dato il massimo per trasformare la mia passione nel mio lavoro. Ho lasciato così giurisprudenza e mi sono iscritto a Tecnologie Web e Comunicazione Multimediale all’università di Udine. Non mi interessava imparare solo a programmare, volevo studiare il web in tutte le sue dinamiche. Tuttavia dopo qualche mese si è rivelato un corso di pura informatica, a dispetto del nome, e ho deciso subito di abbandonarlo. Erano gli albori del web: quello che volevo studiare ancora non veniva insegnato e ho capito che avrei dovuto impararlo direttamente sul campo. La prima vera esperienza di lavoro nel settore è stato uno stage in H-art, web agency al tempo controllata da H-Farm e poi acquisita al 91% dal gruppo WPP nel 2009. Allora era una vera e propria startup mentre oggi è un punto di riferimento, non solo in Italia, nel campo delle strategie di e-business e di design di interfacce ‘high end’ nel settore dei media interattivi.
Sono rimasto in H-art per quasi 5 anni, lavorando come web analyst e project manager; sono stati anni in cui ho imparato tantissimo e sono stato a contatto con persone stupende.
Oggi sono qui a provarci con Responsa (http://responsa.it), un progetto dalla doppia anima. Da un lato Responsa è un’enciclopedia collaborativa di domande e risposte nata sul modello di Quora, ma che ha come principale value proposition il superamento della barriera linguistica, oltre a quella di essere una community qualificata (riconosciuta e referenziata attraverso rating e biografia).
L’altra anima di Responsa, invece, è un widget che abbiamo sviluppato in un secondo momento, mettendo la nostra tecnologia a disposizione di chiunque abbia la necessità di integrare all’interno del proprio sito web un sistema di domande e risposte dinamico, crowdsourced e verticale sul proprio prodotto/servizio, in sostituzione alle classiche FAQ o come strumento di supporto ai più tradizionali canali di customer care. Oggi anche Facebook e Twitter sono diventati strumenti attraverso cui le aziende danno supporto ai clienti, non tenendo conto però che questi strumenti non sono nati con questo scopo, e che i loro sforzi rischiano di essere vani perché le informazioni, che potrebbero essere utili anche per altri utenti, non sono archiviate e catalogate come avviene con il nostro widget, ma si perdono con il tempo tra i vari post e tweet.
Le due anime del progetto sono profondamente legate tra loro e si completano a vicenda, infatti i contenuti generati all’interno del widget sono disponibili per gli utenti anche all’interno di Responsa, categorizzati in base agli argomenti definiti da ogni amministratore dei widget, andando così ad arricchire l’enciclopedia di domande e risposte principale. Per esigenze specifiche prevediamo comunque la possibilità di limitare questa funzionalità.
Responsa è passata dalla teoria alla pratica grazie ad H-farm ed ai suoi founder, Riccardo Donadon e Maurizio Rossi, che hanno creduto nell’idea e nell’aprile 2011 mi hanno aiutato a realizzarla, non solo economicamente, ma garantendomi anche un supporto logistico e amministrativo nonché di mentoring. L’investimento economico iniziale è stato molto importante per partire, certo, ma ci sono anche le banche per quello, il vero valore aggiunto dell’essere incubati in H-Farm arriva dal resto, soprattutto dal mentoring. Mi confronto spesso sull’andamento del progetto con diversi ‘senatori’ di H-farm, mi danno consigli preziosi vista la loro esperienza e in quei momenti nasce sempre uno scambio di opinioni e idee molto costruttivo in chiave strategica e anche di business planning.
Il team di Responsa ad oggi è formato da me, da Pilar Verduga che si occupa della parte d marketing e community management, dai due fratelli Matteo e Eugenio Depalo -il primo CTO di Responsa- che seguono lo sviluppo, e da Massimo Donati che si sta laureando in informatica ed è in stage in Responsa come sviluppatore iOS. Non potrei che essere felice del nostro team, sono tutte persone molto in gamba che mi stanno accompagnando (e sopportando 😉 ) in questo cammino. Abbiamo la stessa visione del futuro di Responsa e tutti ci crediamo tantissimo.
Che cosa ho imparato durante la mia breve esperienza? Che ci si deve buttare, se hai un’idea ci devi provare e lanciare il prima possibile sul mercato una versione minima del prodotto (minimum viable product o ‘MVP’) da validare. Si può fare e innovare ancora davvero tanto nel nostro settore. Ci sono tre parole che Paolo Giovine, uno dei partner di H-farm che ha preso particolarmente a cuore Responsa, mi ripete sempre: ‘costruisci, misura, impara’ è un concetto ripreso dalla filosofia ‘lean’ che consiglio a tutti di seguire.
Vorrei chiudere dicendo che non è vero che bisogna andare all’estero, nella Silicon Valley ad esempio, per fondare una startup di successo. Molti sostengono (e si lamentano…) che le possibilità lì siano maggiori, considerando che è l’epicentro dell’ecosistema delle startup. Sicuramente avrà i suoi vantaggi, io stesso spero di andare a visitarla presto, ma quello che so è che anche in Italia ci sono da tempo e stanno nascendo sempre più fondi e strutture come H-farm, che hanno esattamente la stessa funzione dei VC tanto ambiti della Silicon Valley, e che danno la possibilità a molti ragazzi come me di portare avanti e realizzare le loro idee, anche a casa nostra.
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