C’è un governo che dice a un’industria che se vuole continuare a operare si deve adeguare a nuove normative che rendono tutto più complesso e soprattutto più costoso. Poi quello stesso governo che ha alzato i requisiti e i costi di quell’industria decide di diventare esso stesso concorrente di quel mercato utilizzando i soldi pubblici. Descritta così la cosa farebbe inorridire qualsiasi sostenitore del libero mercato e nei fatti è ciò che sta accadendo in Italia al settore degli investitori in capitale di rischio. Il percorso che ha portato fino a qui è piuttosto lungo e complesso, su Startupbusiness abbiamo cercato di raccontare tutte le tappe (qui e qui ): abbiamo raccontato di una inefficace legge sulle startup che definisce per decreto cosa è innovativo e cosa no invece di lasciare che sia il mercato a farlo e che negli anni da cui è in vigore (2012) ha avuto effetto alcuno sulla crescita degli investimenti in imprese innovative in Italia. L’idea di una norma per agevolare gli investimenti in aziende di nuova generazione avrebbe anche potuto essere vincente , ma il modo in cui la legge è stata impostata e attuata non è stato né corretto né efficace. Abbiamo raccontato degli ambiziosi piani del governo per sostenere le startup, invece che facilitando gli investitori privati a lavorare, attraverso prestiti a tasso zero con il programma Smart&Start che mette le startup in condizione di indebitarsi ancora prima di poter andare sul mercato, o dei prestiti di garanzia che vengono erogati con tempi biblici a causa di una burocrazia ormai impresentabile (emblematico il caso di D-Orbit e del certificato antimafia). Abbiamo parlato di una legge sul crowdfunding che di fatto ha ucciso nella culla uno strumento potenzialmente efficace (è di questi giorni la richiesta della Consob di una consultazione per cercare di raddrizzare la cosa), probabilmente parleremo presto anche delle nuove normative sulla sharing economy che sono allo studio sperando che non si tratti dell’ennesima collezione di orrori. Le ragioni per cui tutta questa strategia è errata le abbiamo descritte: dallo spiegare perché è meglio che l’investitore sia privato e quindi maggiormente coinvolto nel successo delle imprese in cui investe, dal dire perché una startup oberata da un prestito troverà più difficoltà a crescere e a trovare altri investitori. Enfatizzando che i governi devono avere un ruolo di facilitatore, ma non mettersi a erogare fondi in competizione con le imprese private, che devono adoperarsi per rendere più facile fare impresa ma non sostituirsi al mercato nel dire quali sono le imprese buone e quelle cattive, che deve essere entità indipendente e non applicare la logica delle partecipazioni statali.
E invece sta accadendo esattamente il contrario con la nascita del nuovo fondo Invitalia Ventures Sgr S.p.A. Intanto è una Sgr, così rispetta tutte le normative che hanno forzato molti altri operatori del settore ad accrescere i loro costi (o a considerare l’ipotesi di andare all’estero) come si diceva all’inizio. E, si badi, è vero che questa è una norma europea (e comunque le norme europee sono frutto di accordi che gli Stati della Ue prendono e quindi diretta emanazione di decisioni anche nazionali) ma in Italia è stata recepita in modo più restrittivo rispetto ad altri Paesi (anche di questo abbiamo trattato in passato su queste colonne ). Il fondo Invitalia Ventures Sgr S.p.A. è però un concentrato di anomalie tecniche e concettuali che fa pensare che la situazione, vale a dire il modo in cui il governo legge e interpreta il fenomeno delle imprese innovative, sia piuttosto seria. Un qualsiasi fondo di investimento privato si regge su due principi: la credibilità che ha sul mercato che si traduce nella sua capacità di raccogliere soldi dagli investitori e la sua capacità di fare investimenti azzeccati che si evince dal track record dei fondi precedenti o del management che gestisce il fondo (il quale management solitamente ha a livello di contratto degli obiettivi ben precisi da raggiungere). Entrambi questi aspetti mancano nel fondo Invitalia Ventures Sgr S.p.A.: la raccolta non è stata affrontata semplicemente perché non serve in quanto il fondo vanta una dotazione di 50 milioni di euro di fondi pubblici, quindi soldi di chi scrive e di chiunque legge questo articolo, mentre il track record non esiste sia perché il fondo è nuovo sia perché non risulta siano state fornite informazioni in merito a proposito del management a cui è stato affidato il compito di gestire il fondo (questo è oggetto delle domande che sono state inviate a Invitalia come riportato nella nota in calce) Non solo, visto che si tratta di soldi pubblici è anche poco chiaro perché tutta la procedura per la nomina del vertice del management non sia stata gestita tramite bando e non è chiaro quali siano i criteri che sono stati adottati per selezionare tale management e sarebbe pure interessante conoscere i contenuti dei contratti del management soprattutto in relazione ai risultati che tale management deve produrre (parallelamente Invitalia ha aperto una procedura di selezione per due investment manager a supporto dell’amministratore delegato nella attività di gestione del fondo di venture capital, per candidarsi serve essere dotati di opportuna laurea ). Sarebbe molto importante per il ministero dello Sviluppo economico e per Invitalia che ognuno di questi aspetti fosse reso chiaro e trasparente verso i cittadini che con i loro contributi fiscali alimentano il fondo Invitalia Ventures Sgr S.p.A. ( su questi punti sono state fatte precise domande a Invitalia che anche in questo caso non ha risposto, quindi anche nella circostanza in cui questo specifico caso non richieda, per esempio, il bando pubblico per la nomina del management Invitalia ha comunque preferito non chiarire benché è presumibile che siano stati applicati i criteri contenuti in questo documento ). In pratica il fondo Invitalia Ventures Sgr S.p.A. appare come fosse un fondo di Corporate venture capital (Cvc) ma senza che vi sia la presenza dell’organizzazione corporate. Gli attori dei fondi di venture capital generalmente sono divisi tra Limited partner (Lp), quelli che mettono i soldi, e General partner, quelli che ci lavorano e hanno il compito di investire i soldi che sono stati raccolti dai Lp. Il rapporto tra Lp e Gp è regolato in un contratto di investimento che stabilisce gli economics in modo da remunerare adeguatamente gli Lp in funzione dei ritorni generati dai Gp. Il Gp gestisce in maniera autonoma la politica di investimento per generare i ritorni agli Lp e se non produce ritorni o ritorni bassi, generalmente non guadagna o guadagna molto poco. Nel caso dei Cvc questi due ruoli sono sfumati e quindi l’Lp è la corporation e il compito del Gp impiegato dalla corporation deve essere molto chiaro: deve generare ritorni sugli investimenti oppure generare opportunità di open innovation. Non ci sono esempi virtuosi di venture capital di tipo pubblico che abbiano generato ritorni o breakthrough innovation, anche perché un fondo deve continuare a rinnovarsi per poter generare dei risultati significativi. Quindi cosa succederà al fondo Invitalia Ventures Sgr S.p.A. al termine del periodo di investimento, che nel caso del fondo di Invitalia è di 5-7 anni (e che principalmente investirà in startup provenienti dalla misura Smart&Start)? Gli economics di una Sgr necessitano del lancio di un nuovo fondo mediamente ogni 5 anni: come prevede quindi il fondo di Stato di rinnovare la sua dotazione finanziaria? Probabilmente con altri fondi pubblici che andranno allocati o magari con la raccolta dal mercato che potrebbe essere interessato solo se saranno raggiunti risultati apprezzabili con i primi investimenti. Difficilmente i soli ritorni generati dalle eventuali exit del primo fondo potranno essere sufficienti per alimentare il secondo (anche su questo è stata inviata specifica domanda, rimasta come le altre senza risposta, si veda sempre nota in calce). Per essere credibile e trasparente Invitalia Ventures Sgr S.p.A dovrebbe quindi avere un management remunerato sulla base dei risultati, dovrebbe raccogliere soldi dal mercato, dovrebbe avere politiche di investimento trasparenti e basate unicamente su valutazioni di opportunità finanziaria e non dando preferenza a startup che partecipano ad altre misure di origine statale e governativa. Ma c’è un’altra significativa anomalia. Invitalia è il braccio operativo dell’Ice nell’ambito della nuova politica del ministero dello Sviluppo Economico per l’attrazione degli investimenti esteri in Italia (anche su questo tema trovate relativo articolo qui su Startupbusiness) il che lo pone in una posizione concorrenziale ancora una volta (oltre ad avere soldi pubblici invece di raccoglierli sul mercato) di favore rispetto agli altri fondi privati che operano sul mercato. Cosa che può apparire forse marginale rispetto alle altre anomalie ma non va dimenticato che oggi l’Italia è del tutto fuori dai radar degli investitori internazionali. Perfino un grande fondo venture capital di genesi europea come Index Ventures che ha partner italiani come Francesco De Rubertis e Michelangelo ‘Mike’ Volpi ed è strutturato per seguire ecosistemi di tutto il mondo, compresi per esempio la Spagna e il Portogallo, non ha nemmeno una persona per seguire l’Italia. Appare quindi ancora una volta bizzarra la scelta del governo che tende a concentrare in mano pubblica sia gli investimenti in capitale di rischio sia l’attrazione di investimenti stranieri. Ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche che il fondo avrà secondo quanto annunciato dalle istituzioni pubbliche che lo controllano e lo gestiscono sono disponibili online (qui articolo de Il Sole 24 ore e qui di EconomyUp ), ma è chiaro che questa è una strategia anomala per tutte le ragioni fino a qui descritte alle quali si aggiunge quella forse più preoccupante: il perseverare di approcci a sostegno delle imprese che riprendono politiche del secolo scorso e che hanno dimostrato ampiamente di non funzionare. L’assillante controllo dello Stato, la sua volontà di partecipare alle imprese accontentandosi non più solo dei colossi para-statalizzati , ma volendo entrare anche nella compagine di aziende nuove e nascenti imponendo un modello antistorico, anacronistico, lontano milioni di anni luce da ciò che invece andrebbe fatto. L’iperstatalizzazione all’italiana non funziona, non ha mai funzionato e non può funzionare soprattutto in un contesto di forte cambiamento e di forte globalizzazione come quello attuale. E’ vero, esistono alcuni casi eclatanti in cui l’intervento della mano pubblica è stato efficace, la nascita della Silicon Valley è forse il più storicamente lampante e anche quelli di Israele e Singapore in un certo modo, ma in nessuno di questi casi lo Stato si è messo a fare concorrenza ai privati, in nessuno di questi casi hanno prevalso il mantenimento delle rendite di posizione, del potere di controllo, delle nomine politiche rispetto all’effettiva volontà di creare qualcosa capace di funzionare, di crescere e di svilupparsi. E poi ci sono i numeri che dicono che, al di là di ogni considerazione strategica o politica, i fondi di Venture capital pubblici non funzionano, o meglio funzionano molto meno bene rispetto a quelli privati. A dirlo è la ricerca intitolata ‘Governmental and Independent Venture Capital Investments in Europe: A Firm-Level Performance Analysis’ realizzata da Douglas J. Cumming della York University – Schulich School of business, Luca Grilli del Politecnico di Milano e Samuele Murtinu della Università Cattolica del Sacro Cuore e pubblicata il scorso 30 giugno 2014 – con revisione del 3 ottobre 2014 – sul Journal of Corporate Finance e consultabile qui. La ricerca evidenzia in modo chiaro come le aziende finanziate da fondi di investimento privati crescono più rapidamente e hanno exit migliori rispetto a quelle finanziate da fondi di venture capital pubblici e governativi. Forse era opportuno dare una lettura a questa ricerca prima di prendere decisioni che in uno scenario come quello italiano dove i soldi disponibili sono ancora troppo pochi, non solo si trasformano in strumenti anti competitivi, ma sono anche in grado di modificare gli equilibri dell’intero ecosistema che essendo relativamente povero è influenzabile con soli 50 milioni di euro. Tutto ciò, ed è questo l’aspetto più triste, appare essere frutto di una visione troppo ancorata a modelli e scelte che assegnano ancora eccessivo valore al controllo statale e a logiche statalistiche, quando invece servirebbe il coraggio di essere profondamente innovativi anche nel definire le politiche a sostegno del rinnovamento industriale, economico, sociale del Paese in un momento storico in cui le opportunità si possono cogliere solo se si ha una visione nuova e un approccio basato effettivamente ed esclusivamente sulla produzione di risultati e creazione di valore. Visione e approccio che fino a ora non sono stati adottati e purtroppo i risultati confermano che queste scelte non hanno consentito all’ecosistema italiano delle imprese innovative di crescere in modo esponenziale e rilevare i risultati dovrebbe essere la prima cosa da fare per comprendere che bisogna cambiare radicalmente rotta. Nota per il lettore L’articolo contiene alcuni punti aperti relativamente al fondo Invitalia Ventures. Startupbusiness ha inviato all’ufficio stampa di Invitalia le domande che sono riportate qui di seguito in modo da consentire a Invitalia di chiarire i punti ancora opachi. Abbiamo atteso una settimana le risposte che non sono arrivate. Durante la settimana sono stati inviati solleciti e dall’ufficio stampa di Invitalia è giunta prima una mail che prometteva le risposte per lo scorso lunedì e poi una ulteriore mail che spiegava che l’imminenza del lancio del fondo, previsto per la fine del mese, e la realizzazione del sito web relativo impedivano all’ufficio stampa di inviare le risposte in tempi brevi a causa di tali impegni. Naturalmente lasceremo all’Ufficio stampa di Invitalia la possibilità di rispondere nei modi e nei tempi che riterranno compatibili con i loro impegni ma nel frattempo abbiamo deciso di pubblicare l’articolo, poi, se e quando arriveranno le risposte da Invitalia, aggiorneremo eventualmente le nostre riflessioni e considerazioni e pubblicheremo le loro eventuali risposte e osservazioni, ciò benché chi scrive avrebbe preferito di gran lunga avere a disposizione le risposte da subito per dare ancora maggiore forza alle tesi espresse nell’articolo. Ecco le domande che sono state inviate all’Ufficio stampa di Invitalia: 1. Per la nomina dell’AD di Invitalia Ventures Sgr S.p.A. non è stato fatto un bando? Se sì è possibile averne i riferimenti così come sta avvenendo per i due investment manager che state ora cercando tramite appunto chiamata delle candidature? Se invece il bando non è stato fatto allora quali criteri sono stati utilizzati e quali procedure per selezionare la persona che ricopre l’incarico? 2. L’AD e i manager di Invitalia Ventures Sgr S.p.A. hanno definito a livello di contratto i risultati che devono produrre in termini di ritorni? In che modo le prestazioni del General partner, quindi della gestione e della scelta degli investimenti saranno valutate? 3. La scelta dell’intervento diretto invece del supporto al mercato dei VC privati con i quali quindi il fondo Invitalia si mette in diretta concorrenza facendo leva su soldi pubblici non rischia di essere pratica poco efficace dal punto di vista del mercato e in contrasto con le normative europee in termini di concorrenza? 4. Il fatto che avete dichiarato che il fondo attingerà in prevalenza dalle startup che hanno partecipato a Smart&Start che eroga prestiti non rischia di essere un cortocircuito finanziario in cui lo Stato prima eroga dei prestiti a entità che ancora non sono sul mercato o lo sono da poco, e poi copre questi prestiti con altri soldi pubblici attivato così partecipazioni statali di nuovo tipo sulle startup e quindi presumibilmente anche costi di gestione di queste partecipazioni? Avete stimato tali costi? In quale misura? 5. Le startup che saranno finanziate dal fondo saranno solo quelle che rispondono ai criteri del decreto che definisce per legge le aziende innovative? O avverrà una valutazione effettiva delle imprese in cui investire a prescindere dall’aderenza alla legge sulle startup innovative? 6. Quali sono i piani di sviluppo del fondo? Ogni fondo di VC si deve ricapitalizzare al termine del suo periodo, come si intende procedere al termine del periodo che avete indicato in 5-7 anni? Rifinanziandolo con nuovi fondi pubblici e se si in che modo e in che quantità? Oppure con altri sistemi? Quali? 7. Visto che, essendoci la dotazione dei 50 milioni di euro di fondi pubblici il fondo non ha, diversamente da qualsiasi fondo VC indipendente e privato, il problema di fare la raccolta sul mercato, risulta per Invitalia Ventures Sgr S.p.A. meno importante illustrare l’eventuale track record sulla base del quale sono stati scelti i manager e i criteri di investimento che verranno adottati? Se così non è tale track record può essere reso pubblico? E i criteri di investimento adottati possono essere resi noti? Emil Abirascid© RIPRODUZIONE RISERVATA