Andrea Rangone, CEO di Digital360 e fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, offre questa riflessione sullo scenario startup in Italia che, per quanto ancora nano, mostra diversi segnali di cambiamento e crescita. Un mix di fattori, tra cui un nuovo interesse di investitori stranieri e un maggior ruolo delle grandi aziende grazie a iniziative di open innovation, stanno creando la sinergia giusta per la crescita del nostro ecosistema. Su una cosa sono tutti d’accordo nell’ecosistema effervescente e frastagliato delle startup italiane: i capitali investiti sulle nuove imprese sono ancora pochi, troppo pochi. Le classifiche continuano a penalizzare l’Italia, confinandola nelle zone basse. Troppo facile trovare Paesi simili al nostro, la Francia, o anche con un sistema manifatturiero più gracile, la Spagna, dove le risorse finanziarie destinate alle startup sono significativamente superiori. Ho già avuto occasione di riflettere sulla disponibilità di capitali a favore delle imprese hi-tech in Italia e sul ruolo che potrebbe e dovrebbe giocare la Borsa per sostenere il loro sviluppo. Le startup rappresentano un sotto-universo particolare, dove la quota di rischio è, per la loro stessa natura, inevitabilmente più alta. Gli investitori istituzionali quindi si muovono con cautela e quelli privati con diffidenza. In uno scenario ancora critico, non mancano però i segnali positivi. Qualcosa infatti sta accadendo. Gli investimenti sono ancora bassi, ma il tasso di crescita è a doppia cifra; il venture capital nazionale resta ancora nano ma comincia a manifestarsi l’attenzione di quello internazionale; sono sempre di più le aziende private che considerano forme di corporate venture capital; e poi ci sono i business angel, i family office, gli investitori informali – che in Italia possono essere moltissimi, considerando le ricchezze medie accumulate da molti imprenditori, professionisti e manager – e che potrebbero essere sempre più attratti dagli investimenti in startup innovative dagli importanti benefici fiscali finalmente introdotti anche nel nostro paese (il 30% degli investimenti). Nel 2016 sono stati investiti quasi 220 milioni, secondo la ricerca annuale dell’Osservatorio Startup Hi-tech della School of management del Politecnico di Milano. Pochi rispetto alla media europea, certo, ma molti di più rispetto al 2015, quasi il 25%. La torta è cresciuta di un bel quarto ed è interessante notare quanto di questa crescita sia stata determinata dall’attività di operatori internazionali: il 50%. Non male per un Paese che fino a poco tempo fa non era neanche nel campo di osservazione degli investitori americani ed europei. A questi investimenti in “equity”, occorre poi aggiungere i flussi finanziari derivanti dal Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese (FGPMI) del Mise, nato per le Pmi e poi aperto anche alle nuove imprese. Se si guarda solo alle startup, dalla prima operazione (settembre 2013) a fine 2016 sono stati erogati quasi 360milioni di euro a vantaggio di circa 1200 società. Si certo si tratta di debito e – come tale – non paragonabile minimamente agli investimenti in equity, ma rappresentano comunque risorse finanziarie che alimentano l’ecosistema delle startup.
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