C’è solo una cosa da chiedere al nuovo governo quando si tratta di startup: verificare i risultati fino a qui ottenuti e siccome tali risultati non sono positivi, cambiare rotta. Una rotta che deve essere il meno invasiva possibile: se lo Stato vuole mettere dei soldi, ma in misura di miliardi e non di milioni, a sostegno delle imprese di nuova generazione che lo faccia, ma solo ed esclusivamente mettendo tali fondi a disposizione di chi gli investimenti in startup li sa fare e li fa con tempi e modi consoni alla velocità con la quale questo settore si muove (e se per farlo bisogna anche coinvolgere operatori di altri Paesi europei, che così sia, senza creare telenovele tipo quella di Sofinnova). Oggi, l’abbiamo scritto, l’industria del venture capital in questo Paese è di fatto un’industria sussidiata, il che non è necessariamente un male in linea di principio, ma lo diventa quando i risultati tardano ad arrivare. Ora non siamo qui a dire che l’Italia deve essere ai livelli di Francia (la quale nel frattempo ha scavalcato anche Israele nell’ultima classifica del World Economic Forum sui Paesi più innovativi del globo) e Spagna perché il gap che si è creato negli ultimi anni con questi Paesi simili al nostro è molto profondo, ma che almeno si facciano vedere dati tendenziali positivi che, nel 2017, sono invece stati di segno negativo. Quindi non solo non si prova a colmare il gap ma nemmeno si va nella giusta direzione. Bisogna iniziare a rendicontare e a farlo senza nascondersi dietro falsi numeri tanto per giustificare l’esistenza di norme che invece sono fallimentari. Non è giusto definire l’innovazione d’impresa con decreti legge, non è giusto contare migliaia di pseudo startup (è uscita oggi la nuova edizione della ricerca Instilla sulla qualità dei siti web delle startup italiane che questa volta riguarda sia le startup iscritte al registro sia quelle incubate e finanziate e le sorprese, negative, non mancano, la potete consultare qui https://www.instilla.it/report-startup-2017 , e poi ci torneremo con approfondimenti) che generano pochissimo valore (da tenere d’occhio in tal senso anche l’attività del Tribunale di Udine che ha iniziato a inviare la Guardia di Finanza a verificare che le aziende iscritte al registro delle startup innovative abbiamo effettivamente i requisiti, azione che l’avvocato Milena Prisco ha definito come il primo atto che porterà allo scoperchiamento del vaso di Pandora come ha scritto su Linkedin citando l’articolo de Il Sole 24 Ore del 7 febbraio 2018 che riporta la notizia) e trascurare i campioni (le avevamo chiamate la champions league delle startup) che stanno diventando delle vere e proprie global company e lo fanno per la quasi totalità dei casi spostandosi fuori dal Paese che, anche in questo caso, non è tecnicamente una cosa malvagia, se non fosse che l’Italia è porto di partenza per molti ma di arrivo per pochissimi. Ora che anche la grande illusione che ci ha fatto sperare che l’economia italiana potesse giocare un ruolo di primo piano, o almeno nel medesimo campionato delle altre grandi economie europee è finita. Ora che l’impalcatura legislativa ha mostrato che la sua bellezza formale non corrisponde alla capacità pratica di generare risultati come conferma qualsiasi report internazionale: Atomico, Dealroom, Cbinsghts, Sep, Pitchbook. Ora che siamo prossimi al rischio che inizi lo scaricabarile con le istituzioni che dicono che il sistema non funziona perché gli investitori sono poco attivi e le startup poco innovative, con gli investitori che dicono che le startup non sono si qualità e le normative non efficaci, con le startup che dicono che la burocrazia le ammazza sul nascere e che gli investitori sono pochi, con pochi capitali e troppo lenti. Insomma una spirale che potrebbe generare ulteriori freni alla crescita. Ora è il momento di cambiare rotta perché i risultati non stanno arrivando, è ora di guardare più al mercato internazionale che ai sussidi locali, ed è soprattutto ora che si dia forza a coloro che i risultati li ottengono che le imprese le creano e che i soldi li investono, realtà che esistono ma non sempre trovi alle tavole rotonde. Bisogna far crescere la consapevolezza che le startup non sono un capriccio o un fenomeno marginale, ma sono la strada maestra per rinnovare l’economia, il lavoro, perfino la società e che le startup e le scaleup sono una questione da affrontare tutti i giorni con un progetto che va seguito e valutato passo per passo, e non strumentalmente per solo un giorno a ridosso delle tornate elettorali. @emilabirascid
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