I nuovi aggiornamenti delle direttive europee (CSRD e CSDDD) grazie al pacchetto Omnibus, di certo non destabilizzano tanto le grandi imprese, oramai già pronte a tali rendicontazioni, ma proprio le MPMI. Tra queste si distinguono le startup, che negli ultimi anni anche in Italia hanno cercato di innovare servizi e prodotti perseguendo gli obiettivi di Agenda 2030.
Ora gli obiettivi europei sono cambiati, e così anche quelli delle startup dovranno tenere il passo se vogliono sopravvivere.
Il fenomeno ha avuto slancio certamente negli Stati Uniti con l’arrivo del nuovo presidente alla Casa Bianca. Trump sta portando avanti le sue promesse fatte in campagna elettorale: cancellare i programmi di finanziamento green dell’amministrazione Biden. Anche se sta subendo diverse resistenze nei tribunali e al Congresso, i rapidi cambiamenti di retorica delle aziende come le startup illustrano il pericolo di affidarsi a politiche che possono cambiare presto con una nuova amministrazione.
Negli USA infatti diverse startup lanciate per liberare l’economia dai combustibili fossili, starebbero rivisitando il proprio approccio per essere più in linea con lo spirito del tempo. Da un lato alcune aziende che sviluppano metalli, cemento e carburante rispettosi del clima, ora starebbero sottolineando come i loro prodotti siano vantaggiosi per la sicurezza nazionale (difesa), dall’altro lato alcuni sviluppatori di tecnologie verdi starebbero cercando una nicchia nel mercato caldo dell’intelligenza artificiale.
Come successo nel caos post-pandemico, alcune startup vorrebbero fare il pivot del proprio core business per sopravvivere alla perdita dei finanziamenti green che vedono in un primo momento allontanarsi.
I finanziamenti azionari per le startup di tecnologia climatica sono infatti scesi del 40% a 50,7 miliardi di dollari nel 2024, un terzo anno di cali, secondo la società di ricerca BloombergNEF.
“C’è molta riflessione e si cerca di anticipare il futuro – ha detto Jacob Bro, un partner della società di venture capital 2150 – Tutti stanno già rietichettando un po’ le cose”.
E il Wall street Journal presenta oggi il caso di alcune startup:
- Magrathea Metals: sul sito della startup californiana che fino a ieri si concentrava sui benefici climatici della sua tecnologia – sviluppo di un processo per estrarre il magnesio dall’acqua salata -, oggi i riferimenti alla decarbonizzazione sono recentemente scomparsi dalla sua home page. Ora avverte che la scarsità di produzione nazionale di magnesio è un’emergenza per la sicurezza nazionale e afferma che Magrathea può garantire materiale per prodotti tra cui jet da combattimento e droni.
- Brimstone: startup produttrice di cemento a basse emissioni di carbonio, si starebbe riposizionando anche come promotore della produzione nazionale. A gennaio, l’azienda aveva dichiarato che il suo primo impianto avrebbe prodotto anche allumina, l’ingrediente chiave per l’alluminio. Nell’annunciare la mossa, ha incluso una foto di un jet da combattimento e ha citato un rapporto del Dipartimento del Commercio del primo mandato del presidente Trump, che affermava che il predominio della Cina nella produzione di alluminio era un rischio per la sicurezza nazionale.
- Air Company: tempo fa l’azienda dichiarava sul suo sito che “esiste per risolvere un problema: il cambiamento climatico“. Ora quella missione non viene più menzionata. L’azienda, che lavora per commercializzare un’alternativa sintetica al carburante per aerei, afferma di essere focalizzata su “indipendenza energetica e sicurezza globali“.
- VEIR: azienda che sviluppa fili superconduttori, è stata fondata con un piano per equipaggiare la rete per i caricabatterie dei veicoli elettrici e altre nuove fonti di domanda di energia nel passaggio dai combustibili fossili. Ora, la priorità di VEIR è vendere al mercato dei data center in rapida crescita per la fame di energia.
Ecco, alcune aziende che un tempo decantavano i benefici ecologici del loro lavoro, ora si starebbero orientando verso la difesa e l’intelligenza artificiale.
Ma in realtà ciò ha avuto iniziato ben prima dell’arrivo della presidenza Trump. Quelle che sembravano promettenti scommesse in miracolose startup che investivano in qualsiasi cosa legata alla transizione energetica, dalle batterie, alle turbine per pale eoliche, ai pannelli fotovoltaici, stanno rivelando il loro vero purpose: il business. Bloomberg riferisce del brusco risveglio e una drammatica presa di contatto con la realtà che ha preso di sorpresa giganti fondi di private equity come BlackRock, Riverstone Holding, la Caisse de Depot et Placement du Quebec (CDPQ), per citare quelli venuti allo scoperto, mentre sono numerosi gli investitori che ancora tengono riservate le perdite sofferte.
E in Europa il fenomeno è già arrivato. I capitali raccolti saranno dirottati sull’innovazione. Von der Leyen è stata chiara a gennaio con la bussola per la competitività che punta forte sull’intelligenza artificiale e lancia “un’ampia strategia sulla nuova tecnologia, che prevede anche le fabbriche dell’AI per permettere alle aziende di sviluppare dei modelli per i supercomputer”.
E così anche le banche daranno priorità a IA e difesa: “Il mondo è cambiato. E non lo abbiamo voluto noi. Gli operatori in economia sanno che ci saranno più tensioni geopolitiche. In questo quadro gli investimenti in difesa sono fondamentali. E oggi gli investimenti in difesa sono soprattutto investimenti in nuove tecnologie. Noi come Banca europea faremo la nostra parte”. Queste le dichiarazioni di Gelsomina Vigliotti, vicepresidente della Banca Europea per gli investimenti (BEI) in una recente intervista.
Proprio la BEI infatti, che non può finanziare il settore della difesa, grazie a una definizione ha trovato l’escamotage, la chiave nel concetto nella locuzione ‘dual use’: tutti i beni e le infrastrutture a uso civile che possono essere convertite a uso non civile (quali valvole, pompe, calcolatori, materiali elettronici, sensori e laser, materiale avionico, navale, aerospaziale, macchinari, veicoli, sostanze chimiche, metalli, impianti elettrici) dallo scorso maggio possono essere sostenute ancora di più, tramite l’istituzione di una task force e uno ‘sportello unico’ per snellire i processi del Gruppo BEI e accelerare così gli investimenti e l’accesso ai sei miliardi di euro destinati a progetti in questo settore. Parallelamente la BEI ha anche aggiornato le proprie regole per il finanziamento delle Pmi nel settore della sicurezza e della difesa, per aprire linee di credito dedicate per un gran numero di piccole imprese e startup innovative, che necessitano di finanziamenti per progetti dual use.
Ecco come fino a un anno fa gli investimenti in tecnologie per la difesa erano fuori dal perimetro del venture capital. Ma, per l’inasprimento dello scenario internazionale, il mercato è in evoluzione. Infatti molti VC sono preclusi a investimenti in aziende che fanno armamenti perché i loro LP agreement (LPA) spesso esplicitamente escludono alcuni ambiti (tra cui militare e pornografia) o perché gli LP sono enti pubblici in Europa o per la difficoltà delle startup della difesa di ottenere trazione, magari per un’agenda militare UE non unificata in Europa. Ma tutto questo è ormai cambiato grazie alla parolina magica dual use. E in Europa le startup dual use sarebbero parecchie, secondo l’elenco di Dealroom.
Il tema del Rearm Europe ha quindi un impatto profondo sulle startup europee. Uno dei primi segnali è rappresentato dalla nascita di nuovi fondi di venture capital, alcuni con dotazioni superiori ai 100 milioni di euro, che si concentrano quasi esclusivamente su startup impegnate nello sviluppo di soluzioni per la difesa, tra loro per esempio Keen Ventures, Superangel e Outpost Ventures. Queste tecnologie, che spaziano dall’hardware al software, sono destinate a sostenere concretamente il progetto di riarmo europeo, mettendo in luce il potenziale innovativo del settore. Le innovazioni non solo rafforzano la dotazione difensiva, ma trovano applicazione anche in altri ambiti, ribadendo così il concetto di dual use. (foto di Liz hamburger su Unsplash)
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