Volendo fare appello al romanticismo kennediano potremmo dire “non curarti di cosa il tuo Paese può fare per la tua startup, ma pensa a come la tua startup può adattarsi e contribuire al rilancio del tuo Paese”. Volendo invece andare a scomodare uno dei padri dell’industria dell’information technology Andrew Grove, fondatore di Intel, possiamo citare la sua frase “bad companies are destroyed by crisis, good companies survive them, great companies are improved by them”. Volendo essere più pragmatici diciamo che oggi, di fronte a questo momento così drammatico e così unico, il mondo si divide in due: coloro che ancora vivono nell’illusione che il mondo tornerà a essere quello che era prima dell’emergenza Covid-19 e coloro che, con maggior fatica e coraggio intellettuale, stanno iniziando a comprendere che stiamo andando verso scenari del tutto nuovi che richiedono nuovi approcci, nuovi modelli, nuove sfide. Le startup, sappiamo, sono innovatrici, sono dinamiche, sono pronte al cambiamento, spesso sono esse stesse motore del cambiamento, sono le entità più pronte a cogliere opportunità dove gli altri vedono solo criticità, sono quelle più pronte a scommettere su paradigmi emergenti. Soprattutto sono quelle che si danno da fare. Oggi lo scenario è dominato dall’incertezza ma è proprio in questa incertezza che bisogna muoversi rapidamente. Per prima cosa bisogna quindi pensare a come affrontare il nuovo mondo, c’è un termine che si usa nel gergo startup per indicare la capacità di cambiare i propri modelli, il pivoting, ecco oggi siamo in un momento in cui è richiesto un pivoting di massa, possiamo anche coniare un nuovo termine e chiamarlo coviding. Secondariamente è fondamentale considerare questo processo non come temporaneo nella speranza di tornare presto sui vecchi passi, ma definitivo perché il cambiamento generato dall’emergenza è qui per restare. Anche se fra qualche mese arriverà un vaccino il mondo sarà comunque diverso e resterà diverso perché nuove minacce di questo tipo si possono verificare in ogni momento e non possiamo permetterci di farci trovare impreparati, dovremo essere pronti a reagire senza esitazione e dovremo quindi costruire un sistema sociale ed economico capace di attivarsi in tempi rapidi senza autodistruggersi. Terzo: nessuno vi aiuterà, non contiamoci proprio, non possiamo aspettare che qualche spicciolo arrivi a sanare una situazione insanabile, siamo soli, dobbiamo solo sperare che oltre a non ricevere aiuti significativi non ci vengano messi troppi bastoni tra le ruote. Intendiamoci è assai opportuno che vi siano iniziative che mettono in luce l’importanza delle startup che, fuori di retorica, sono davvero il futuro, il nuovo futuro per il nuovo scenario, iniziative che scrivono e diffondono proposte per le istituzioni affinché si attivino per sostenere l’ecosistema delle startup di fronte alla crisi, è giusto che si faccia, è giusto insistere fino allo sfinimento ed è giusto avanzare idee concrete come stanno facendo in molti e come abbiamo scritto qui e qui . Tutte proposte sensate e considerando che in Italia l’industria del venture capital è già di fatto interamente sussidiata da investitori pubblici non serve inventare nulla, gli strumenti ci sono già tutti, serve metterci nuovo capitale e lasciare che gli investitori facciano la loro parte e selezionino le startup che meritano concentrandosi su quelle, come è sempre stato. Non si viva nell’illusione che bisogna salvare tutti, è vero, fallire per causa dell’emergenza è diverso da fallire per cause del mercato o per incapacità, ma è anche vero che molti sarebbero falliti comunque a prescindere dall’emergenza. Scrivere articoli che titolano che a causa dell’emergenza 40% delle startup è destinato al fallimento come ha fatto un quotidiano generalista di recente è una fesseria perché una percentuale di fallimenti del 40% tra le startup è più che normale in tempi normali, anzi quasi ottimistica, se il sistema è sano. Ma è giusto, anzi doveroso, insistere per chiedere supporto finanziario anche per le aziende in fase iniziale e in fase di crescita, meno giusto è stare ad aspettare che i soldi arrivino, magari arriveranno, magari no, dipende solo da come anche le istituzioni iniziano o meno a pensare al futuro come a qualcosa di nuovo, se continueranno a mettere gli investimenti in ricerca e innovazione all’ultimo posto per poi trovarsi a sperare proprio nella scienza che fino a ieri hanno bistrattato per uscire dall’attuale situazione, allora c’è molto da dubitare, se invece la lezione è stata imparata e l’importanza di scienza e innovazione salirà la classifica delle priorità come è giusto che sia, allora le possibilità sono maggiori. Qualcosa intanto si muove come per esempio l’iniziativa della UE Escalar che mette sul piatto 1,2 miliardi di euro , ma nel frattempo pensiamo al coviding che in molti stanno già mettendo in pratica come raccontano le storie che in queste settimane stiamo pubblicando su Startupbusiness. Fare coviding non sarà per tutti uguale ovviamente, ci sono startup che stanno andando alla grande proprio per via della situazione attuale, per fare nomi di realtà già un po’ strutturate, e quotate, pensate a Zoom per esempio, da un lato, il cui business e valore sta crescendo rapidamente, e ad AirBnb, dall’altro, che la IPO ha dovuto rimandarla e sta modificando profondamente il suo modello di business. Gli esempi possono essere decine ma proviamo a concentrarci sulle opportunità. Intanto vediamo un paio di elementi che sono palesemente manifesti: mai nella storia dell’umanità come oggi c’è un così elevato numero di persone che utilizza strumenti digitali per fare cose che prima nemmeno immaginava di poter fare così semplicemente da casa. E questa è una grande opportunità. Quando alla fine degli anni 2000 implose la prima bolla delle startup si andò poi a vedere perché accadde e tra i diversi motivi strutturali c’era anche il fatto che all’epoca la fetta di popolazione mondiale che usava regolarmente internet, e quindi era potenzialmente il mercato per le startup digitali, era molto piccola rispetto a quanto avvenuto dopo quando il fenomeno delle startup si è ripreso ed è cresciuto più forte e più globale. Bene oggi abbiamo fatto un altro passo avanti e il mercato potenziale di individui e imprese si è moltiplicato. L’utilizzo degli strumenti digitali è giunto forzatamente con l’emergenza ma è arrivato ed è qui per restare. Altro elemento è la necessità di innovare e farlo in fretta, se le startup sono più agili e pronte a fare il coviding, le imprese più consolidate lo sono molto meno, ma se vogliono sopravvivere il coviding lo devono fare anche loro e come? Con l’aiuto delle startup. Gira da qualche giorno un meme che prendendosi gioco delle strategie aziendali indica il Covid-19 come vero driver del processo di innovazione digitale, o digital transformation, è un meme, fa sorridere, ma se ci pensate è anche una spia dell’opportunità, la corsa all’open innovation che vede imprese consolidate ricorrere alle competenze, conoscenze, mentalità delle startup è appena iniziata. E qui volendoci sbilanciare con i neologismi potremmo spingerci al co-coviding il quale, si badi, non vale solo per la collaborazione tra aziende consolidate e startup, ma anche tra startup, che il mettere a fattor comune risorse, fare sinergie, economie di scala, è un altro elemento che può dar forza al processo di adattamento al nuovo scenario. Andiamo avanti, perché, mi direte, mica tutte le startup sono pure-digital, vero anche se, sappiamo benissimo, che il digitale è trasversale e vale per tutti. Ma proviamo a cercare altre potenziali opportunità. Intanto ci sono tutte quelle legate all’emergenza e le call, gli hackathon, e gli eventi online che sono alla ricerca di innovazioni di ogni genere: gestione dati, healthcare, medical device, robotica, nuovi materiali, conversione industriale, non mancano (in questo articolo che aggiorniamo ogni giorno vi proponiamo le più interessanti ) e poi c’è da guadare il mondo. Come faranno i bambini a giocare insieme, gli faremo mancare quella parte importante della crescita o troveremo soluzioni? Come faranno i luoghi pubblici a continuare a esistere: uffici, ristoranti, teatri, li chiuderemo per sempre o troveremo delle soluzioni? Come faremo a spostarci, a viaggiare, ad andare a trovare parenti e amici, continueremo a vederli e sentirli tramite gli schermi di computer e televisori o troveremo una soluzione? Come ci vestiremo? Come modificheremo i cosiddetti DPI (dispositivi di protezione individuale) per renderli più pratici e anche più belli, continueremo a indossare mascherine tutte uguali o qualcuno si inventerà un nuovo modo di farlo, di disegnarlo, di indossarlo? E le scuole, le lasceremo deserte o le riprogetteremo? E nel frattempo che sono vuote se iniziassimo magari a ristrutturarle per bene che molte sono fatiscenti? E se visto che circola meno gente e che arriva la stagione calda dessimo una bella sistemata alle strade (e ai ponti)? E se approfittassimo di questa emergenza anche per ripensare il sistema sanitario, e non solo per il Covid-19, ma per ogni tipo di malattia, se facendo leva sulla maggiore confidenza con gli strumenti digitali creassimo un sistema che consente di tenere sotto maggiore controllo la salute pubblica, ovviamene sempre nel pieno rispetto della privacy che è e resta una delle libertà fondamentali sulla quale nemmeno ci si deve mettere a discutere così come lo sono la libertà di pensiero, di parola e di movimento. Immaginiamo un mondo dove ognuno di noi può in ogni momento e volontariamente fare un controllo della sua salute, un controllo di base certo ma sufficiente a segnalare eventuali anomalie e invitare ad approfondire dal medico, avremmo la possibilità di individuare molte malattie in modo più precoce rispetto a quanto avviene oggi e ciò consentirebbe di curare le persone più rapidamente, con meno dolore e con meno costi. Immaginiamo dispositivi medici per la diagnosi non invasivi (che essendo per la diagnosi e non per la cura non richiedono iter lunghi per arrivare sul mercato) capaci di dirci in ogni momento come stiamo e invitarci a un controllo se qualcosa non va, un po’ di questi dispositivi appariranno per tenere sotto controllo i sintomi dei coronavirus, li troveremo un po’ ovunque, negli aeroporti, nelle farmacie, all’ingresso di luoghi pubblici, ma potremmo usarli anche per tenere sotto controllo altre patologie. Queste sono tutte opportunità e ve ne sono molte altre: logistica, formazione, commercio, socialità, sostenibilità, tutela dell’ambiente, cultura, ogni ambito avrà un nuovo volto e non solo per il periodo dell’emergenza ma cambierà in modo paradigmatico e permanente. Ed è qui che le startup possono fare la differenza, hanno un terreno infinito in cui esercitare la loro capacità di innovazione. Certo ora appare dura, per molti la cassa è finita o quasi, c’è il momento acuto della crisi, stiamo divorziando dalla nostra vecchia vita, lo strappo si sente, ma presto arriverà quella nuova, diversa, è faticoso cambiare marcia, cambiare mentalità, pensare che quanto investito, progettato, immaginato fino a ora è forse perduto per sempre, richiede forza d’animo e di intelletto ma è necessario ripensare e guardare ogni cosa in modo nuovo ed è ciò che le startup sanno fare meglio di tutti. @emilabirascid Photo by Kevin Ku on Unsplash
© RIPRODUZIONE RISERVATA