Startup e internazionalizzazione, il ruolo del ministero degli Esteri

Nell’attuale scenario europeo – da un lato la contrazione dei mercati, dall’altro le ultime regolamentazioni sulla transizione digitale (es. AI Act e Data Act) ed ecologica (es. CSRD, CSDD) – l’Italia sembrerebbe reggere, giocando una forte partita proprio in campo normativo ed economico.

Solo nelle ultime settimane per il settore tecnologico si è parlato di un fondo per l’Intelligenza artificiale con una dotazione da un miliardo di euro e per il settore ecologico è stato approvato Transizione 5.0, il pacchetto di misure con un valore pari a 13 miliardi di euro.

Ecco che per le startup italiane potrebbero esserci buone opportunità e prospettive, ma anche ostacoli.

Da diverso tempo nel settore si ragiona sull’internazionalizzazione delle startup per favorire la competizione. Addirittura i founder, ancor prima di validare l’idea, dovrebbero già pensare ad un mercato oltre i confini nazionali, ma l’internazionalizzazione non può valere per tutte le aziende innovative: la scelta infatti andrebbe condotta in base al settore, clienti target, e soprattutto, alle normative che variano da Paese a Paese. «La startup per definizione non è un’azienda che deve crescere: è la micro impresa che poi diventa piccola impresa, poi medio impresa e grande impresa». A detta di Massimo Carnelos, capo Ufficio Innovazione tecnologica e startup, ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, quindi, la startup per definizione seguirebbe “una logica definita power low. Deve avere una crescita esponenziale, ovvero velocissima in senso negativo o positivo. Per questo poi esistono gli operatori di nicchia, i venture capital, perché la startup non può avere accesso al credito bancario, e solo il fondo VC ragiona in ottica di elevata tolleranza al rischio per elevati ritorni in caso la startup vada bene. Quindi questa crescita rapida la ottiene solo se ha un mercato grande”.

Nel dibattito tra tecno-integrati e tecno-apocalittici, per citare Umberto Eco, c’è poi chi riflette sulle transizioni e le forti regolamentazioni come un freno instabile alla scalabilità delle startup, e chi invece vede ciò come un volano. “Laddove ci sia una frammentazione normativa – spiega Carnelos -, questa può essere d’ostacolo nella crescita delle aziende. L’Unione europea, il mercato unico, vanno ad armonizzare i diversi sistemi giuridici di modo che gli attori economici possano operare in un contesto normativo più grande rispetto a quello nazionale. Questo è il grande processo dell’Unione europea, per nulla però completato per quanto riguarda ad esempio il mercato dei capitali, dove è molto in ritardo per quello che potrebbe essere. Se la normativa è eccessivamente di dettaglio, allora significa frenare l’innovazione: meno c’è armonizzazione tra i sistemi giuridici e più c’è ostacolo al trasferimento delle operazioni economiche tra un confine a un altro, ma allo stesso tempo l’assenza di regolamentazione è il far west, e quindi una situazione peggiore. Infatti il mercato competitivo non è un mercato non regolamentato, è il mercato regolamentato con intelligenza, che oggi chiamiamo smart regulation”.

L’approvazione a marzo del Parlamento europeo sull’Artificial Intelligence Act (AI Act), la legge che regolamenta l’uso dell’intelligenza artificiale, dopo diverse revisioni del testo, avrebbe quindi messo d’accordo tutti gli Stati membri. Esattamente a un anno dal fallimento della Silicon Valley Bank, però, l’hype sull’ IA nei mercati ricorda la famosa bolla speculativa dei fondi di investimento americani ESG, laddove sicuramente tali fondi hanno avuto la loro parte nella dipartita della banca delle startup americane. “Quello che non vedo in Europa – afferma Carnelos – è un boom dell’IA, nel senso di imprese in grado di creare modelli sufficientemente potenti, strutturati tali da scalare il mercato. In Europa si parla un po’ troppo di regolamentazione e poco di investimenti massicci in quello che è ormai la general-purpose technology”. Se non è l’IA il settore con il quale l’Europa potrebbe competere con gli altri ecosistemi internazionali, secondo Carnelos con quello delle scienze quantiche, perché sarebbero “molto promettenti in Europa e in modo particolare in Italia. Qui abbiamo qualcosa da dire, perché abbiamo eccellenti competenze accademiche e di ricerca. Eppure, nonostante in Italia storicamente siamo forti nelle scienze matematiche, che sono poi la base dell’IA, in molte occasioni non siamo riusciti a fare un adeguato trasferimento tecnologico”. Lo stesso vale per lo spacetech che, a detta di Carnelos, è pur sempre “un settore di tradizione accademica e scientifica, ma rimaniamo deboli perché abbiamo troppe PMI che non riescono a scalare e abbiamo un mercato ancora troppo dipendente dai programmi istituzionali (ESA/ASI). Negli Usa hanno fatto un grosso passo avanti con la commercializzazione delle attività spaziali. In buona sostanza grazie all’azzardo di Elon Musk: con il razzo riutilizzabile anche sei volte ha di fatto rotto un tabù rivoluzionando un settore: prima per gli operatori commerciali non era economicamente sostenibile, infatti negli USA c’era solo la NASA e oggi invece la stessa utilizza i razzi di Musk perché non ha più i propri vettori”.

Anche il Governo italiano sembrerebbe finalmente avere un interesse nelle startup italiane: «Proprio in questi giorni con il Mimit il Governo sta finalizzando quello che è la revisione dello Startup Act. Noi come Ministero degli esteri siamo coinvolti in questo esercizio insieme poi alla community nazionale degli attori dell’ecosistema. Il Disegno di legge dovrebbe approdare in Parlamento in settimane. Ci sono delle novità importanti, dei suggerimenti in parte arrivati dal ministero degli Esteri (soprattutto per la parte dell’internazionalizzazione) e in parte dalla community, come la semplificazione delle varie forme di agevolazione e la regolarizzazione di tutto il settore in un modo più smart».

Insomma, per il nostro ecosistema innovativo il 2024 sembrerebbe essere molto propositivo sia a livello normativo che finanziario.  E Carnelos, “per non scontentare nessuno”, ha già individuato alcune startup italiane molto promettenti: «A Milano c’è una startup che sta incominciando ad introdurre semiconduttori quantici. E senza fare nomi qui c’è un potenziale enorme. Poi ci sono startup che sono cresciute tantissimo negli ultimi anni e parlando di spazio, dato che è conosciuta, possiamo fare il nome di D-Orbit».

Spostandoci poi di settore, “a parte la scaleup nucleare di Stefano Buono con i piccioli reattori modulari, c’è una startup romana alle prime armi che fa IA applicata alle procedure per la validazione ed autorizzazione delle centrali nucleari. Ovviamente il problema in Italia è che non abbiamo il nucleare, ma loro hanno un buon progetto e il loro mercato di riferimento è il resto dell’Europa e gli USA. Il nucleare viene da tutti considerato come un indispensabile tassello della diversificazione energetica nella decarbonizzazione. L’Italia poi ha fatto una scelta, ma resta ancora tutta la parte di ricerca e sviluppo”.

Promozione internazionale e sostegno alla crescita

Oggi l’Ufficio XI diretto da Carnelos si occupa di due macro-obiettivi: la promozione all’estero dell’ecosistema startup e il suo rafforzamento e crescita tramite la collaborazione col Mimit.

La promozione all’estero dell’ecosistema innovativo nazionale viene svolta portando startup all’estero, investitori stranieri in Italia e importando fondi VC tramite anche i programmi dell’Agenzia ICE: «La mission è far sì che l’Italia diventi un luogo attrattivo per venire a farvi innovazione».

Inoltre l’Ufficio segue in un’ottica di crescita internazionale le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, quantum computing, biotech, cybersecurity, ovvero quelle tecnologie abilitanti o determinanti per il futuro del Paese, aiutandole a crescere attraverso i mercati esteri.

“Abbiamo costituito – conclude Carnelos – un tavolo di lavoro sull’internazionalizzazione dell’industria biotech italiana e stiamo lavorando sull’individuazione di indirizzi strategici che possano aiutare gli attori biotech, sia imprese sia ricerca, ad affermarsi e trovare capitali e mercati. In questo lavoro rientrano vari attori come per esempio Enea Tech Biomedical. Nei prossimi mesi stiamo pensando di approfondire l’intelligenza artificiale in una doppia prospettiva: IA come tecnologia abilitante dove le nostre PMI devono sempre essere pronte ad adottarla, altrimenti rischiano di perdere colpi sui mercati internazionali; essere, non solo come Paese utilizzatore di modelli IA che vengono realizzati all’estero, ma di essere noi stessi produttori di tali modelli, quindi favorire la crescita di aziende italiane che sviluppano autonomamente modelli di Intelligenza artificiale. Più avanti ancora vorremmo approfondire poi un altro settore: quello delle scienze quantiche”.

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