Startup e Covid-19 una proposta, cessione del credito di imposta R&S

Alessandro Rotilio, CEO Endosight che sviluppa tecnologie in realtà aumentata per applicazioni chirurgiche, propone di rendere cedibile il credito di imposta in ricerca e sviluppo per fare entrare liquidità nelle casse delle startup innovative. Ecco come può funzionare e quali vantaggi porterebbe.  È innegabile, le startup innovative sono state cancellate dal dibattito pubblico in epoca Covid-19. Le misure adottate per supportare il tessuto produttivo italiano hanno deluso buona parte degli operatori dell’innovazione. Mentre in diversi Paesi europei sono già fiorite (e attuate) numerose misure che prevedono anche trasferimenti diretti alle aziende innovative, in Italia sono state proposte misure in cui, nel migliore dei casi, prevedono che i benefici siano proporzionati alle dimensioni o al fatturato, con barriere all’ingresso che squalificano quasi completamente le possibilità di accesso da parte di startup innovative. Se guardiamo ai dati, le startup innovative sono poche, pochissime, anche se confrontate con le loro cugine, le società di capitali con meno di 5 anni. A confronto, le startup innovative sono pochissime (10.882 contro 355.000), secondo i dati del rapporto Unioncamere. Se guardiamo alla capacità delle startup innovative di generare impiego, peggio ci sentiamo. 3,2 addetti la media, contro 5,8 delle società di capitali con meno di 5 anni. In sostanza, sono poche e impiegano meno delle società di capitali tradizionali. Il paragone con il resto del tessuto imprenditoriale italiano sarebbe ancora più impietoso. Risparmiamocelo. E quindi, perchè il governo dovrebbe occuparsene? Se guardassimo all’azione di governo come guardiamo ai nostri business, anche noi agiremmo così. Ci occuperemmo di fare cose che possano soddisfare grandi quantità di nostri clienti (e soci) e non sparute minoranze, di cui buona parte fra qualche anno non sarà più con noi. Dobbiamo anche astenerci dal pensare che il governo dovrebbe avere a cuore un sottoinsieme di aziende che dipende fortemente dai capitali di rischio, categoria finanziaria piccina piccina in Italia, Paese in cui nell’anno dei record sono stati investiti 597 milioni di euro, contro i 3,2 miliardi in Gran Bretagna, 1,4 miliardi in Francia, 1,3 miliardi in Germania e Svezia. Il nostro record, da grande Paese europeo, ci porta appena al dodicesimo posto. Tuttavia, esiste la possibilità di varare un provvedimento che porti vantaggi a tutte le aziende, grandi e piccole, innovative e non. Un semplice comma, di quelli da infilare all’ultimo secondo in Commissione finanze al Senato, che non richiederebbe coperture finanziarie, autorizzazioni dall’Europa o altre amenità in grado di ostacolare le cose buone e che noi imprenditori abbiamo conosciuto bene negli ultimi anni. É semplice: rendere cedibile il credito di imposta ricerca e sviluppo. Il credito di imposta ricerca e sviluppo è una misura che negli anni passati ha dato la possibilità alle imprese, tutte, di vedersi retrocedere dallo Stato, sotto forma di credito da spendere in tasse, una parte degli investimenti fatti, purchè fossero orientati a creare innovazione. Per essere sicuro del fatto che gli imprenditori mettessero in atto comportamenti virtuosi, lo Stato ha dato come regola l’obbligo di certificare il credito di imposta ricerca e sviluppo attraverso consulenti esterni all’azienda, che se ne assumono la responsabilità. Fatto questo, il credito è lì, vero, nero su bianco, ma incedibile. A differenza di altri crediti, come il credito IVA, il credito di imposta ricerca e sviluppo non può essere scambiato sul mercato. Solo chi lo genera può usarlo, se e quando avrà un debito nei confronti dello Stato. Perchè? Qual è il senso di un ingessamento di questo tipo? Difficile trovare una ratio nel rendere non cedibile qualcosa che si è maturato e che quindi è un diritto, un credito certo, esigibile con un automatismo. Eppure, sarebbe molto semplice e accontenterebbe tutti. Costo per lo Stato=0. Il mercato, rapidamente, metterebbe a segno quei trasferimenti di liquidità di cui oggi tutte le imprese hanno bisogno, in un senso o nell’altro. Chi in epoca Covid-19 sta macinando fatturato su fatturato perché offre servizi di delivery, per esempio, potrebbe ridurre il suo carico fiscale comprando credito di imposta a valori inferiori del nominale. Di converso, chi, come la maggior parte delle startup innovative (ma non solo), ha visto una contrazione delle attività o non è ancora sul mercato e vede dileguarsi investitori e clienti, può aggrapparsi a quel salvagente che è solo suo: il credito di imposta ricerca e sviluppo, appunto. Certo, lo venderebbe a un valore inferiore di quello che ha maturato. Ma sarebbe immediato e utilissimo in questo momento. Come si dice: pochi, maledetti e subito. Difficile pensare a qualcosa di più efficiente in questo momento. Riduzione del carico fiscale da un lato, liquidità dall’altro. Nessun investimento per lo Stato. Arrivati qui, la domanda diventa un tarlo. Perchè? Cercando una spiegazione, è stato facile trovare in rete la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 72 dell’8 marzo 2019, in cui l’Agenzia spiega a un’azienda la ragione del diniego della cessione. Merita particolare menzione il passaggio in cui l’Agenzia spiega che “il fruitore del credito da ricerca e sviluppo coincide, infatti, con l’effettivo beneficiario dell’agevolazione, ossia con colui che effettivamente ha sostenuto la spesa. A tal proposito, l’Amministrazione finanziaria, con diversi documenti di prassi, ha più volte affermato la non trasferibilità dei crediti d’imposta di natura similare a quello in argomento in forza della natura soggettiva dei medesimi: essi infatti maturano esclusivamente in capo ai soggetti che effettuano l’investimento e non possono essere trasferiti a soggetti terzi per effetto di atti realizzativi”. Cioè, il credito di imposta ricerca e sviluppo non si può trasferire perché può essere usato solo da chi l’ha maturato. Che equivale a rispondere a un bambino che chiede il perché dell’isolamento con un bel “perché non si può stare con gli altri”. Al termine del viaggio attraverso le ragioni dell’incediblità del credito di imposta ricerca e sviluppo, la risposta è probabilmente da ricercarsi in un processo decisionale che gli analisti di politiche pubbliche chiamano garbage can. Non c’è nessuna ragione. É andata così perché così qualcuno l’ha proposta nel momento in cui sarebbe passata. E allora la soluzione potrebbe essere più semplice del previsto. Basterebbe rendere costosa politicamente la mancata azione. Basterebbe dare voce all’argomento, attraverso la stampa, le imprese, le associazioni di categoria e chiunque abbia a cuore la competitività del Paese. Noi tutti, startupper e annessi, dovremmo smetterla di sgolarci a dire che le startup sono importanti perché l’innovazione è importante. Che devono essere stanziati i soldi per noi quattro gatti e non per chi vale 10, 100 volte noi. In un Paese in cui quando servono soldi si prelevano dal reddito anziché dalla rendita, dal fondo per la non autosufficienza anziché dai vitalizi, è fiato sprecato. E noi, invece, siamo imprenditori, pragmatici e orientati al risultato. Dobbiamo fare proposte che possano andare a segno, che ben si allineano con gli obiettivi e le possibilità dell’interlocutore. Rendere cedibile il credito di imposta ricerca e sviluppo va in quel senso. Porta vantaggi a tutti e non prevede sacrifici, motivo per cui il solo fatto di dare visibilità a questa proposta la rende irrifiutabile.   Photo by engin akyurt on Unsplash

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