In Italia il ricorso al lavoro agile – meglio noto come smart working – è aumentato in maniera esponenziale negli ultimi mesi, complici le stringenti misure restrittive imposte dalla pandemia globale. Molte aziende, anche quelle che fino ad oggi erano più restie, hanno dovuto accettare il cambiamento e hanno iniziato a organizzarsi per renderlo strutturale e non più una soluzione occasionale.
Lo smart working è vantaggio competitivo
Lo smart working si è dunque rivelato un alleato strategico perché ha consentito a molte realtà di continuare a offrire ai clienti le proprie prestazioni lavorative, nonostante il lockdown. Ma occorre fare una distinzione. Chi aveva già sperimentato il lavoro agile si è trovato in una posizione privilegiata, legata alla familiarità e all’uso già consolidato di piattaforme e tool per l’organizzazione e la gestione del lavoro da remoto. Si è trattato di un vero e proprio vantaggio competitivo, che ha reso evidente il gap esistente con quelle aziende che, viceversa, non avevamo mai adottato questa modalità di collaborazione interna all’azienda e hanno dovuto correre ai ripari in corsa, con pesanti rallentamenti nello svolgimento delle attività. Quando ho creato, Worldz nel 2015, ho lasciato da subito la libertà di scegliere lo spazio lavorativo più adatto alle esigenze di chi lavorava con me, senza precisi vincoli di orario. In quest’ottica, il concetto di ufficio diventa fluido per il mio team. La nostra sede centrale si trova presso gli spazi di coworking di Talent Garden a Milano e qui organizziamo riunioni periodiche o incontri con i clienti, ma per il resto si lavora totalmente da remoto. All’inizio lo smart working ha rappresentato uno strumento funzionale alla realizzazione del mio progetto di business. Come molti startupper alla prima esperienza, non possedevo tutte le competenze verticali necessarie per sviluppare il progetto che avevo in mente e ho capito che avrei dovuto coinvolgere professionisti con un certo livello di anzianità, avvalendomi della loro collaborazione come freelance (anche per un motivo molto pratico, che in quella fase non avevo fondi sufficienti per fare delle assunzioni full time nè per permettermi un ufficio stabile). L’organizzazione del lavoro in questa direzione fin dalle prime battute si è rivelata vincente, tant’è che l’abbiamo mantenuta nel tempo, anche ora che siamo diventati un team di 20 persone in tutta Italia. Collegati da Lombardia, Campania, Emilia Romagna e Sicilia, condividiamo un ufficio virtuale e portiamo avanti un business sempre in crescita: a distanza di cinque anni, Worldz continua a investire in questa direzione, cristallizzando quella scelta iniziale e facendone addirittura uno dei capisaldi aziendali.
Dipendenti più coinvolti con lo smart working
Con lo smart working i dipendenti acquisiscono una consapevolzza maggiore del ruolo cruciale che giocano. Ogni membro del team contribuisce a realizzare un progetto più ampio di cui si sente parte integrante: per il bene dell’azienda e per la buona riuscita del lavoro dei suoi colleghi ognuno sa che deve garantire una certa continuità lavorativa, unitamente alla disponibilità e alla reperibilità. Dalla responsabilizzazione di ogni componente deriva un clima di fiducia reciproca che contribuisce a rendere il team unito. E così le occasioni di confronto e le iniziative di team building sono percepite come un momento di incontro “speciale” e non come una routine obbligatoria.
Smart working e work-life balance
Esistono molteplici ragioni per cui lo smart working è una scelta vincente. A cominciare dal fatto che, in un contesto in cui non tutte le aziende applicano questo modello, garantire ai dipendenti e ai collaboratori di poter lavorare dove preferiscono, è considerato un vero e proprio benefit. Ammetto che mi è capitato di incontrare persone che lascerebbero posizioni in aziende multinazionali per lavorare con noi proprio per le modalità di lavoro agile che offriamo. In secondo luogo, lo smart working consente una gestione del tempo che rispetta meglio il work-life balance e valorizza le attitudini delle singole persone, senza imbrigliarle in orari e ritmi rigidi, ma anzi venendo incontro alle loro inclinazioni: ci sono persone che rendono meglio al mattino presto, altre al pomeriggio, alla sera o anche di notte. Oltretutto, in questo modo, l’attività aziendale non si ferma mai e, nel settore digitale, questo è un vantaggio competitivo molto importante. L’emergenza sanitaria ha fatto crollare certezze pregresse di molte aziende italiane, minando una sorta di comfort zone. Con il lockdown si sono accelerati processi di digitalizzazione e, in generale, di modernizzazione delle infrastrutture, stravolgendo modelli consolidati – soprattutto culturali – in base ai quali il datore di lavoro vuole fisicamente vedere i propri dipendenti per poterne supervisionare il lavoro. È un’idea non più attuale perché, anche in situazioni di emergenza, in aziende già abituate al coordinamento da remoto, basta una mail per confrontarsi e impostare i nuovi flussi di lavoro. Anche ora, con la riapertura delle attività, abbiamo deciso di restare al 100% in smart working, per limitare al massimo gli assembramenti e scongiurare epidemie di ritorno, lasciando la possibilità di spostarsi fisicamente a quei lavoratori che non possono farne a meno. È bene comunque ricordare che il processo di digitalizzazione – di cui lo smart working fa parte – da solo non genera la ricchezza o la sostenibilità di un’azienda. La progettualità e l’infrastruttura aziendale vengono sì agevolati dal digitale, ma resta fondamentale continuare a investire sul benessere dei dipendenti, mediante la predisposizione di strumenti e ambienti di lavoro che favoriscano il work-life balance. La ripartenza nel post lockdown si dovrà basare anche sulla centralità delle persone, con la consapevolezza che dipendenti soddisfatti performano al meglio delle proprie potenzialità, reagendo anche a momenti di forte stress emotivo. Joshua Priore, fondatore e CEO di Worldz Photo by Chris Montgomery on Unsplash
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