Slowd: il design a km0

“Immaginiamo un sistema collaborativo nell’ambito del design, per cui l’artigiano che risiede in Sardegna collabora e condivide il successo di un progetto con un designer che vive a Londra”: Sebastiano Longaretti, co-founder di Slowd insieme ad Andrea Cattabriga, descrive così la visione di questa startup, fondata nel 2013, ma che ha mosso i primi passi a fine 2011. Slowd, nello specifico, è la piattaforma che fa incontrare designer professionisti con artigiani di qualità, per dar vita ad una filiera di prodotto full-stack, disintermediata e p2p. Con il concetto del Km Zero poi, permette al cliente finale di acquistare un prodotto sulla piattaforma, con la possibilità di farlo realizzare direttamente da un artigiano che si trova nella sua zona geografica. Sebastiano, come nasce Slowd e quali sono state le motivazioni che vi hanno spinti a dare vita a questo progetto? La scintilla è stata innescata da un mix di intuizione e necessità. Andrea ed io che “nasciamo architetti”, nel 2011 eravamo colleghi all’interno dello stesso studio. Quando ci siamo conosciuti volevamo far realizzare dei prototipi di alcuni nostri pezzi nella zona di Bergamo e di Modena, in modo che chi avesse voluto acquistare il prodotto vicino a Bergamo avrebbe potuto farlo, senza spostarsi, e chi, invece, avesse voluto comprarlo nella zona di Modena, avrebbe potuto fare lo stesso. L’idea era quindi rimuovere la logistica dalla filiera del mobile e rimettere il rapporto umano al centro, lavorando a una narrazione più intensa e coinvolgente del saper fare. Il progetto ci aveva subito entusiasmato e volevamo rendere questo modello funzionante, aperto a tutti, basandosi sull’idea di una fabbrica diffusa, dove sono le idee a viaggiare e non i prodotti. E dall’idea, abbiamo creato qualcosa di concreto, dando vita alla piattaforma, dove un designer può caricare (gratuitamente) il proprio progetto, che verrà valutato dalla community degli altri designer e artigiani iscritti alla piattaforma, guadagnando il 10% di royalties sul venduto. La vera rivoluzione sta però nel fatto che anche l’artigiano che “adotta” il progetto ne condividerà la fortuna, sia del prodotto che dell’idea progettuale. Slowd ricava un piccolo markup sulle vendite, una fee quando avviene il matching designer-artigiano e quando le sub-licenze verranno vendute (funzionalità presto disponibile).

I founder di Slowd, startup del design a km0,

Che conseguenze e che benefici concreti può avere questo modello “open” e collaborativo per  designer e gli artigiani? Qual è stata la loro risposta? In questi anni, abbiamo scoperto, ad esempio, che molti designer inglesi vengono in Italia e soprattutto a Firenze, per prototipare i propri progetti con artigiani locali, impiegando  sostanziose risorse economiche (e tempo). Grazie a Slowd, hanno la possibilità non solo di entrare in contatto con una vasta community di artigiani (che possono restituire dei feedback sul progetto presentato), ma anche di abbattere alcuni costi legati, alla logistica ed al prototipo stesso, senza considerare i servizi per la vendita. I designer considerano il nostro progetto come un valido sistema per andare in produzione, con costi e tempistiche nettamente più bassi rispetto a quelli tradizionali. Gli artigiani, invece, vedono Slowd come la possibilità di accedere a quella ricerca e sviluppo di prodotto e processo che non potrebbero permettersi. Hanno a disposizione, infatti, un repository con i progetti caricati dai designer: li possono vedere, commentare e scegliere di prototipare e produrre. In ogni fase si mantiene forte l’idea della collaborazione, a partire da una fase art-direction collettiva o diciamo, di peer-review, fino al sistema a supporto della prototipazione condiviso tra designer e azienda. Andrea, voi rappresentate una startup che utilizza il digitale come strumento e come veicolo per generare la creazione di prodotti fisici e per dare spazio a nuove opportunità  professionali: secondo la vostra visione, in che modo il connubio tra digitale e “tradizione” continuerà a evolversi? Intanto dobbiamo chiarire cos’è la tradizione: sinceramente, oltre la retorica passatista e le indiscutibili peculiarità delle lavorazioni e tecniche territoriali (su cui abbiamo visto con piacere attivarsi iniziative di recupero e catalogazione), oltre al modello “bottega”, decantato e poi culturalmente calpestato, la tradizione che vorrei esaltare risiede nella metodica ricerca della qualità, nel costante e passionale studio di soluzioni “perfette”, nel voler mettere il bello anche nei particolari più nascosti, nel rendere prezioso anche l’intangibile. è questa filosofia che come tutti i modelli può continuare a progredire, non importa con quali materiali o con quali tecnologie. Questa intersezione tra saper fare e passione si trasferirà senza problemi alla manifattura digitale, passando magari da modelli ibridi come quelli che abbiamo già sperimentato anche noi mescolando componentistica fatta a mano in legno ad altra realizzata con tecnologie additive, fino ad una matura e solida integrazione tra cittadini, fab lab e aziende più specializzate, per mettere finalmente su strada un vero sistema post-industriale. Questo è quello che ci si aspetta dagli artigiani italiani ed è questo il modello che la nostra piattaforma porta nel mondo, raccontando un modello di “designed in” per superare il “made in”, così usurpato e denudato di significati reali. Trasferire un modello tecnologico come quello dell’artigianato italiano al mondo, significa lavorare a una sua elevazione, significa contribuire a preservarlo proprio perché divenuto dogmatico. Dove sta andando Slowd e cosa vedi nel vostro futuro? Slowd ha aperto la strada ai modelli di manifattura P2P e sta cercando di compiere alcuni passi determinanti per il successo del modello, primo fra tutti il passaggio a piattaforma internazionale connessa e collaborante con le altre realtà globali di spicco. Dal punto di vista dei prodotti realizzati tramite la piattaforma, stiamo lavorando per costruire un sistema di relazioni stabili con i grandi player della distribuzione online e retail di qualità, affiancando al modello “Km Zero” della produzione locale, sempre più radicale e aperto, un canale per designer e artigiani verso vetrine ancora più efficaci, concentrandoci quindi sulla parte alta della filiera offrendo però più chances di successo ai prodotti che riscuotono l’interesse degli operatori e del pubblico. Dall’altra parte, diversi progetti B2B con grandi e medie realtà ci stanno insegnando a valorizzare la nostra capacità di visione strategica sui sistemi e sulle dinamiche di produzione del futuro, con approcci di white-labeling della piattaforma così come di progettazione di filiere speciali o progetti di ibridazione dei distretti tradizionali con modelli “distribuiti” con partner internazionali. Infine, c’è il lavoro più in ombra, ma non meno impegnativo, sul fronte dell’open-innovation strutturata per le PMI. di Jessica Malfatto @JessicaMalfatto (image credits: Cristina Panicali)

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