Venti di crisi soffiano a Singapore. L’economia della città stato cresce meno del previsto, qualche malumore sociale si manifesta con un sommesso e diffuso lamento e gli osservatori si mettono in prima fila per poter vedere da vicino quali sono le mosse che il governo dell’isola intenderà mettere in atto. Nel frattempo all’ombra degli edifici della city attorno a Marina Bay il clima è da ‘business as usual’. Le grandi corporation, le società di consulenza, le più blasonate banche continuano a trarre vantaggio da una posizione che le mette in condizioni di arrivare alle economie dei Paesi del sudest asiatico, da un regime fiscale che ha una tassazione sulle imprese che non supera il 17%, un’imposta a valore aggiunto del 7% e una tassazione sui redditi personali anch’essa al 7%, stipendi che arrivano agilmente a 20-30mila dollari al mese (un euro vale circa 1,5 dollari di Singapore), un contesto di estremo ordine e organizzazione. Ma la crisi è in arrivo, il paradigma del modello di Singapore funziona sul doppio binario: gli investimenti in ricerca, innovazione, formazione, l’attrazione di capitali, la semplicità fiscale, da un lato e l’elevato controllo socio-politico, l’immaturità dei settori creativi e culturali, la ricerca dell’armonia tra gli elementi, tipica della filosofia asiatica, che però non sempre riesce al meglio, dall’altro. La popolazione dell’isola si avvicina ai sei milioni di unità, gli expat non asiatici sono circa 250 mila, tra loro anche moltissimi italiani: il manager della grande impresa, l’imprenditore con la sua startup, il funzionario di banca e tutti, almeno quelli che qui vivono da qualche anno, commentano praticamente all’unanimità che dopo il primo anno in cui si manifesta l’effetto ‘wow’ dovuto all’esperienza di una efficienza alla quale non si è abituati, a una organizzazione e una pulizia altrettanto inusuali per l’Italia e naturalmente al regime fiscale che appare, per chi è abituato a pagare il 60% di tasse, paradisiaco, le cose cambiano. L’effetto wow svanisce dopo un po’, soffocato in parte dal clima equatoriale che tale rimane per 365 giorni all’anno (l’intenso uso dell’aria condizionata è un tema sul quale si stanno facendo ricerche per renderla più efficiente energeticamente e anche più salutare), dalla mancanza di vivacità culturale, intellettuale (che per esempio a Hong Kong è più sviluppata), dalla vita che in rarissimi casi si mischia con quella della popolazione locale. Ma Singapore è business: è il business che regna qui, è il posto da cui in più o in meno di 2 ore e mezzo di fuso orario si raggiunge metà della popolazione del pianeta, è il grande centro commerciale del sud est asiatico (anche se oggi i Paesi limitrofi stanno recuperando terreno e la loro concorrenza è parte della crisi che si sta presentando), è l’hub di questa parte del mondo anche per chi fa ricerca, innovazione, formazione. Il momento di crisi è però interessante, lo è per chi guarda con l’occhio dell’innovazione, con l’occhio della prospettiva, con l’occhio della opportunità. Così i potenziali cambiamenti sociali, politici, economici che il governo dell’isola deciderà di adottare per rimettere in rampa di lancio la sua economia, si potranno rivelare occasioni di sviluppo per imprese internazionali. È ciò che pensano le imprese che hanno partecipato agli Italian Innovation Days organizzati e coordinati da Francesco Marcolini con il supporto attivo dell’Italian chamber of commerce Singapore (Iccs), con la Singapore manifacturing federation (la Confindustria locale), con Unicredit, Accenture, Enel, Italian trade agency, Confindustria servizi innovativi e tecnologici. E con naturalmente il supporto e la partecipazione dell’Ambasciatore d’Italia Paolo Crudele e del governo rappresentato dal senatore Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli affari esteri. Le imprese, da grandi organizzazioni a startup innovative, hanno potuto incontrare potenziali partner locali e conoscere i servizi di Iccs che in modo efficace, con una gestione del tutto aderente a un modello privato, supporta concretamente chi desidera espandere il business a Singapore e nell’area del sud est asiatico. Un’area che Alberto Luigi Sangiovanni-Vincentelli, noto per essere uno dei professori di spicco alla Berkeley University, sta approfondendo da quando a seguito di un accordo tra il suo ateneo e il governo di Singapore, accordo che vale oltre 50milioni di dollari, si è trasferito nell’isola per un periodo di qualche mese: “io credo che tutti i posti siano buoni per chi vuole fare startup, ma Singapore è stata molto brava a costruire un terreno veramente fertile e a capire che le startup sono fondamentali per portare ricerca di base verso il mercato, che sono il punto di contatto tra la ricerca e le grandi aziende”. Uno scenario che trova riscontro nei dati snocciolati da Gianfranco Casati, group chief executive growth markets di Accenture che sottolinea: “Singapore è congestionata di capitali e startup da tutto il mondo e l’Italia ha l’unicità di avere imprenditori con capacità uniche, bisogna venire qui e capire quali sono gli elementi che il governo ha individuato come importanti e portare soluzioni in tali contesti, qui la competizione è molto alta, si impara molto e se si ha successo si eleva di molto la reputazione della propria azienda e della propria capacità imprenditoriale. Singapore non è l’eldorado, non sono qui ad aspettare che arriviamo noi, ma se uno decide di venire e lavora bene si può raggiungere il successo”. Secondo il Global competitiveness report per il 2016-2017 del World economic forum, Singapore si piazza al secondo posto subito dopo la Svizzera con un indice del 5,72, in tale classifica l’Italia si piazza alla casella numero 44 (era 43esima l’anno precedente) con un indice di 4,50. Altri dati che aiutano ad avere un quadro dello scenario sono il rilevamento degli investimenti stranieri diretti (foreign direct investement) della conferenza sul commercio e lo sviluppo delle Nazioni Unite e soprattutto l’annual report del Singapore Economic development board (Edb) che mostra il valore degli investimenti che sono effettuati e la loro suddivisione per settore industriale, un buon inizio per capire quali sono le priorità e dove si possono manifestare le maggiori opportunità. Che l’esperienza a Singapore sia fondamentale per mettere alla prova le doti legate alla capacità di competere a livello internazionale è un aspetto che sottolinea anche David Luppi, demand manager information technology presso Menarini Asia-Pacific che già da qualche anno vive e lavora a Singapore. Altro schema da studiare è quello di TechinAsia che fotografa lo startup ecosystem snocciolando sia i dati degli investimenti, 1,16 miliardi di dollari Usa in 220 operazioni nel 2015, e delle exit che nel 2015 sono state 27 per un valore totale di quasi 50 milioni di dollari Usa, sia il contesto in cui le startup si muovo a livello di infrastrutture. L’infografica indica i principali settori con l’ecommerce e la logistica in testa, i nomi dei principali fondi di venture capital per numero di deal, e i pro e i contro dell’ecosistema: tra i primi la facilità di aprire un’azienda, la società multiculturale e cosmopolita, la stabilità politica, l’altissima penetrazione dei dispositivi mobili, la robustezza delle infrastrutture tecniche e finanziarie, l’accesso agli investimenti internazionali, tra i secondi invece spiccano la scarsità di talenti con competenze tecniche, l’alto costo della vita, i pochi investimenti di grosso taglio per le scaleup e le piccole dimensioni del mercato locale. Uno scenario che due imprenditrici italiane conoscono e stanno esplorando: Sara Lenzi è a Singapore da cinque anni e ci ha portato la sua startup Lorelei che nata in Italia si sta sviluppando in Asia con i suoi servizi legati al mondo del suono e Barbara Labate che con la sua RisparmioSuper che offre piattaforme di ecommerce sta iniziando a stabilire i primi contatti con potenziali partner locali. Un’ulteriore opportunità per le startup è il programma Millenial 20-20 organizzato da Accenture che tocca a rotazione New York, Londra e Singapore. Filomena Cappuccio e Alessandro Puccio si occupano proprio della tappa di Singapore la cui edizione 2016 si è svolta a settembre e nei primi mesi del 2017 si aprirà la call per quella nuova. Filomena e Alessandro si occupano anche del centro di innovazione di Accenture che si trova in un edificio con una bellissima vista su Marina Bay e che funge da vetrina per innovazioni, comprese quelle di startup, da tutto il mondo. Le startup che hanno vinto la scorsa edizione del Millenial 20-20 Singapore hanno potuto godere di un periodo di ospitalità presso una delle istituzioni dell’ecosistema startup di Singapore che si chiama The Great Room ed è un po’ il centro pulsante del movimento startup nella zona centrale della città stato, mentre gli incubatori principali e i grandi centri di ricerca finanziati dallo stato come per esempio AStar (Agency for science, technology and research) hanno sede perlopiù in una zona a ovest del centro città che si chiama Fusionopolis. Ma anche il campus della Nanyang Technological University ospita centri di ricerca internazionali come il tedesco Fraunhofer che è guidato da Antonio Feraco (se a questo punto vi state domandando se sono molti gli italiani di Singapore che occupano posizioni di rilievo anche in organizzazioni internazionali la risposta è sì) che sviluppa progetti di computer grafica per l’industria e di human-computer interaction decisamente sofisticata. Singapore startup city è un tema che ho anche approfondito con una intervista video fatta ad Andrea Monni imprenditore e consulente che vive da anni sull’isola e Marco Villa business angel che ci viene spesso, ma chiudiamo questa carrellata con una battuta di Giacomo Marabisio, segretario generale dell’Iccs che insieme a Francesco Marcolini ha gestito la due giorni degli Italian Innovation Days, che dice “se venite a Singapore contattateci”, ponendo enfasi sull’importanza che la presenza a Singapore anche dell’Iccs ha per imprese innovative di qualsiasi dimensione e settore che ambiscano a fare quel salto di maturazione strutturale, internazionale e anche dimensionale che ogni impresa di successo deve affrontare. Emil Abirascid
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