Indice degli argomenti
Quale tecnologia per lanciare una edutech in Africa? Domanda sbagliata. Non è tanto quella che serve, non solo, non subito, non nell’immediato. In molte aree del continente ciò che manca sono le competenze digitali e l’accesso a internet. Lo sa bene chi ha fondato SeedScience, un’associazione no profit che “insegna ad insegnare” le materie STEM ai docenti africani in Tanzania, Uganda a Ghana perché riescano a trasmettere agli alunni curiosità e passione verso studi che possono un domani diventare utili per il loro futuro e per quello del loro Paese.
Digital divide: per comunicare serve partire dall’ABC
“C’è un grande lavoro da fare a livello umano, prima, per preparare un terreno fertile per qualsiasi progetto tecnologico. Senza contare le difficoltà di connessione legate più ai costi che alla mancanza di infrastrutture. Andare on line in molte zone ha lo stesso prezzo che in Europa: peccato che lì il tenore di vita sia molto diverso. Questo doppio digital divide, formativo ed economico, taglia fuori dal mondo molti giovani che perdono opportunità e fanno poca esperienza con Internet. Rende complesso anche mandare una mail”, spiega Michele Raggio, co-fondatore di SeedScience. Non è un caso, quindi, che ogni progetto di questa associazione preveda sempre una parte dedicata alla formazione digitale, molto spesso con tanto di tutor dedicato che, passo a passo, mostra come usufruire di smartphone e portatile. Tecnologia di base, nulla che possa “fare titolo” per una edutech che ambisce ad apparire come elemento di svolta per il continente. Tecnologia di base che ancora troppe persone non sanno o non hanno la possibilità di maneggiare. “Molti insegnanti hanno lo smartphone con applicazioni ‘base’ social o di messaggistica, ma manca loro l’abitudine a utilizzarlo per lavoro. Non tutti hanno sviluppato modalità lavorative che includono la tecnologia. Per gli studenti dipende molto dalle zone: i più grandi ne hanno uno o usano quello dei genitori, sbarcando su TikTok, per esempio, ed esponendosi così a dinamiche a cui non sono preparati”. Alla luce di tutto ciò, nelle attività di SeedScience la tecnologia rappresenta soprattutto un mezzo per comunicare. Al momento se ne include solo la parte essenziale, mirando a trasmettere le basi per il suo utilizzo. Quelle che servono per trasformarla in un canale di accesso a informazioni utili e in un mezzo di collegamento con altri “mondi”. Molti progetti si fondano su gruppi di lavoro internazionali. “Esistono progetti ‘ponte’ Italia-Africa in cui serve costruire community di insegnanti, miste e organizzate. La tecnologia in questo caso diventa essenziale e ci si rende conto di non poter dare nulla scontato, in alcuni contesti. Per fare una video call serve fare un setup completo, audio e video, partendo da zero, lo stesso vale per l’invio di una mail”, racconta Raggio. Nonostante questo necessario e complesso allineamento iniziale, SeedScience è riuscita a introdurre con successo una piattaforma di formazione on line. Ha scelto Omprakash, di cui è diventata anche partner, apprezzandone soprattutto le funzionalità mirate a favorire le interazioni tra partecipanti. Un aspetto essenziale in ogni suo progetto, dove resta sempre e comunque implicitamente presente una parte di educazione digitale, nonostante negli ultimi 3-4 anni la situazione sia velocemente migliorata.
La tecnologia trasforma gli studenti in Nature Ambassadors
Ciò vale anche per Nature Ambassadors, il nuovo progetto finanziato da National Geographic Society per supportare gli insegnanti in attività educative outdoor che spingano gli studenti ad avere una maggiore consapevolezza del valore della biodiversità locale e li stimolino ad adottare un “explorer mindset”. In questo caso, il digital divide va colmato in primis per arrivare a utilizzare un’app e i social network. L’app è i-Naturalist e serve per identificare e mappare flora e fauna locali abbracciando il paradigma della citizen science. Studenti, insegnanti, e la comunità tutta, saranno come “inviati speciali”, pronti a catturare immagini delle specie tipiche dei paraggi. “Trattandosi di regioni poco note e fuori dai circuiti scientifici e turistici, penso potremo dare un considerevole contributo al database. Grazie a questa app, potremo interagire anche con esperti in biodiversità di ogni parte del mondo, compresi quelli interni al team del progetto, tutti tanzaniani, che per primi ci aiuteranno a orientarci e sfruttare al meglio le opportunità di i-Naturalist”. La tecnologia sarà fondamentale anche per lo storytelling che costituisce una parte essenziale del progetto. Storytelling che avverrà soprattutto on line, tramite social network. “Gli studenti dovranno creare video per raccontare il progetto. Per alcuni sarà la prima volta. Ci sarà una persona dedicata per guidarli e insegnare loro a comunicare le proprie scoperte. Ciò significa anche e soprattutto renderli in grado di far sentire la propria voce a livello globale e, un domani, di accedere gratuitamente a contenuti informativi preziosi per il loro presente e per il loro futuro”. Fresco di lancio, Nature Ambassador durerà fino a fine 2024 e se ne può seguire lo sviluppo “live” sui profili social dedicati. Per curiosità, per passione oppure, meglio ancora, per toccare con mano come tecnologie per molti scontate, se ben introdotte, possano diventare straordinari vettori di sviluppo. Certo, serve pazienza e saggezza per comprendere ciò che realmente serve, creando terreno fertile adatto, in futuro, ad accogliere adeguatamente tecnologie più roboanti ma ora utopistiche per un contesto avvolto in un digital divide castrante. (Foto: Roberta Baria)
© RIPRODUZIONE RISERVATA