Nel mondo, secondo il rapporto
Mental Health at Work della World Health Organization, 301 milioni di persone nel mondo soffrivano di ansia già nel 2019 e il 15% dei lavoratori aveva disturbi mentali. Con il Covid19 e il post-Covid, come è noto il disagio mentale è aumentato, e non solo a causa della sindrome direttamente correlata chiamata
long Covid, che tra i disturbi include anche ansia, depressione e altre tipiche affezioni psichiche. Si tratta di una conseguenza legata allo stress psicologico, alla paura, all’isolamento, al senso di alienazione che la pandemia ci ha regalato e che non accenna a diminuire grazie a un susseguersi di problemi sociali ed economici che continuano a stratificarsi. Tutto ciò si manifesta nella vita privata delle persone, ma anche nell’ambito lavorativo, tradizionalmente considerata un ambiente di espressione e di ‘sfogo’ per la persona, quindi tendenzialmente protettivo per la salute mentale. Invece non più, sebbene gli stessi
rating ESG cui le aziende devono sottostare, trovi nei suoi pilastri proprio il benessere dei dipendenti e il clima aziendale. La richiesta di performance è molto spesso la causa di tanti disagi. Anche in ambito startup,
dove è frequente la sindrome di burn out, alla base c’è una richiesta eccessiva di prestazione lavorativa che lo startupper fa a se stesso e al suo team. Nel caso delle startup, tipicamente incentrate sulla leadership del founder e con team piccoli, non poter più contare su una persona può condurre all’evento estremo del fallimento.
Lo stress legato all’attività lavorativa, che si manifesta
quando le richieste superano le proprie possibilità, rappresenta la seconda malattia professionale più diffusa nell’Unione Europea dopo i problemi posturali. In Europa ne è affetto un lavoratore su quattro e
le donne sono le più colpite. E ancora di più sono colpiti i
giovani. Secondo l’edizione 2023 dell’indagine di
Cigna International Health su quasi 12mila lavoratori in tutto il mondo, il 91% di età compresa tra 18 e 24 anni dichiara di essere stressato, rispetto a una media generale che si attesta all’84%.
A livello globale, il 50% del costo sociale delle condizioni di salute mentale deriva da costi indiretti, tra cui la ridotta produttività lavorativa, assenze, assistenza sanitaria. Ogni anno, la
WHO stima che vengano persi 12 miliardi di dollari a causa di depressione e ansia. Dalla relazione dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro di qualche anno fa emergeva già come il costo economico dello stress legato all’attività lavorativa in Europa fosse pari a 20 miliardi di euro all’anno. Uno studio condotto con l’
Università di Sidney si stima che il costo della perdita di produttività legato all’aumento dello stress tra il 2020 e il 2025 sarà di 114 miliardi di dollari. Dello stress sul posto di lavoro si devono occupare certamente anche le aziende. Secondo la dottoressa Alisia Galli, Psicologa Clinica e Leader Pillar Mentale di Fitprime, piattaforma di servizi di welfare aziendale rivolti al benessere della persone, ci sono almento tre azioni che tutte le aziende possono facilmente adottare.
Tre azioni concrete per aiutare le persone a ridurre lo stress sul lavoro
Single Tasking. In un’epoca che ci sprona al multi-tasking, è giunto il momento di tessere le lodi al suo opposto, il single tasking, che vuole dire focalizzarsi su un’attività per volta, senza lasciarsi prendere dalla tentazione e dalla superficialità del fare tante cose insieme, puntando alla qualità e non alla rapidità. Facendo una cosa alla volta, si raggiungono risultati migliori e in meno tempo. Passare da un compito all’altro ci fa, invece, ingannevolmente pensare di poter portare avanti tanti compiti, senza lasciare indietro nulla, ma in realtà ogni volta che ci interrompiamo per fare qualcosa di nuovo il nostro cervello ha bisogno di tempo per ritrovare la concentrazione.
Per contrastare la nostra tendenza al multi-tasking, faremo attenzione a riconoscere se e quando stiamo iniziando un’attività senza aver terminato la precedente o se stiamo saltando da un’attività all’altra, cercheremo di notare quando veniamo distratti e da cosa (in generale dovremmo eliminare il più possibile gli stimoli emotivi e sensoriali) e infine impareremo a concederci una pausa ogni volta che la concentrazione cala, aiutandoci a tornare focalizzati sulle nostre priorità.
Mindfulness. La mindfulness di cui sentiamo parlare molto è una pratica che fonde alcuni principi della psicoterapia con tecniche di meditazione orientale, utili a migliorare la qualità della propria vita personale e professionale. La mindfulness è uno stato della mente che porta a uno stato di consapevolezza, portando intenzionalmente l’attenzione al momento presente in maniera non giudicante e gentile. Si può praticare in maniera formale prendendosi 10 minuti per stare a contatto con i propri pensieri, portando l’attenzione al proprio respiro. In ufficio la mindfulness diventa brain training, ossia un allenamento per imparare a riconoscere lo spazio tra lo stimolo attivante (una consegna imminente, un capo che incute timore e così via) e la nostra risposta/reazione, per imparare a diventare più consapevoli dei nostri schemi di pensiero. Se notiamo che ogni volta che il collega si lamenta, ci innervosiamo e perdiamo la concentrazione, potremo essere più pronti la volta successiva e prevenire la nostra reazione.
Un esercizio usato dalla mindfulness è chiamato
“S.T.O.P.”, acronimo inglese che riunisce le quattro indicazioni per entrare in contatto con il momento presente. Stop: stacca da ciò che stai facendo; take a few deep breaths: fai alcuni respiri profondi; observe: osserva ciò che stai sperimentando in questo momento, inclusi pensieri, emozioni e sensazioni fisiche; proceed: riprendi il lavoro con la nuova consapevolezza che hai raggiunto.
Ascolto delle emozioni. Un’altra falsa credenza sul lavoro riguarda le emozioni. Ci hanno sempre detto di lasciarle fuori dall’ufficio, ma non è possibile. Non possiamo come essere umani non provare emozioni e anzi cercare di sopprimerle può solo causare problemi. Bisogna praticare l’ascolto delle emozioni, che invece sono nostre grandi alleate, per avere più risorse. Possiamo considerare le nostre emozioni come delle bussole che ci indicano la strada da seguire e le decisioni da prendere. In questo senso bisogna anche imparare a riconoscere che lo stress è un campanello di allarme, come ogni sensazione fisica: non va ignorato né dobbiamo preoccuparci solo di eliminarlo, ma piuttosto va ascoltato, dicendosi “Perché sono in ansia? E cosa potrebbe aiutarmi a non provarla?”. Rispetto alle emozioni, alla necessità di diventare più tolleranti verso di esse, dobbiamo semplicemente accettare ciò che non possiamo cambiare perché è l’unico modo per sentirsi davvero liberi.