Francesco Mantegazzini inviato speciale di Startupbusiness al Global Entrepreneurship Congress di Mosca racconta quello che ha visto e le persone che ha incontrato in una serie di quattro articoli che pubblicheremo nel corso della settimana. Questo è il primo.
Atterrando a Mosca non riesco a smettere di stupirmi dell’impatto della globalizzazione sul turismo negli ultimi 30 anni, ovvero da quando ho iniziato a viaggiare fuori dall’Italia.
Per andare a Londra un tempo, oltre all’impegno economico per pagare il biglietto, la preparazione iniziava almeno un mese prima. Prima tappa il cambio della valuta in banca, per poi andare alle varie agenzie per la preparazione del viaggio. Albergo consigliato dall’agenzia, recupero della mappa della metro portata da un amico che già ci era stato, indispensabile guida con molto testo e pochissime immagini. Telefono? Il roaming non era un problema. Non esisteva il roaming. Piuttosto serviva preoccuparsi di un sacchetto per le monete o di portarsi contanti a sufficienza per il conto salatissimo delle telefonate in albergo. La lingua era un problema in Inghilterra, figuriamoci negli altri Paesi, dove la gestualità italiana diventava un asset formidabile per la sopravvivenza. E andare in Paesi dell’est era un’avventura riservata a pochissimi coraggiosi, spesso mossi dai racconti leggendari di altri viaggiatori intrepidi che affrontavano lo spauracchio del comunismo per cercare bionde statuarie pagabili in jeans, profumi, e altre chincaglierie.
Primavera 2014. Mosca.
Parto senza nulla se non il mio trolley e il visto (quello continua a essere richiesto, ma facilmente ottenibile anche se per giorni contatissimi a un prezzo di circa 70€). Non solo. Nel 2014 è possibile nel giro di dieci giorni fare tranquillamente Milano-Lecce-Milano-Tromso (Norvegia)– Milano-Mosca-Milano. 10 tratte aeree. Una al giorno. Un tempo sarei stato uno degli uomini più ricchi del Paese.
A Mosca oggi si può arrivare alle 3:30 del mattino in aeroporto e non ti trovi nel deserto assoluto, anzi. Non ti stupisci neanche che i classici tassisti abusivi si siano organizzati meglio di quelli di alcune città italiane con tanto di tesserini e listini prezzi “ufficiali”. Ci cado in pieno, alla faccia di centinaia di viaggi in giro per il mondo. Ma tanto di cappello. Il giovane ragazzo che mi trasporta nel suo abusivissimo pulmino tipo ducato sfrecciando a 120 chilometri l’ora nella notte senza traffico mi spiega che sono stato pure fortunato ad andare con lui, avrei rischiato di pagare fino a 100 euro. Ho pagato 5000 rubli trattando al ribasso da 7500. Ma quanto vale un rublo? Meraviglie del viaggio moderno. Sono partito senza neanche preoccuparmi di quanto vale la moneta locale…tanto ho la carta di credito…e per i grandi circuiti internazionali tipo Visa e Mastercard esiste un solo unico grande Paese, quello dei consumatori. Passo i successivi 30 minuti a sbirciare dal finestrino i cartelli commerciali per cercare un punto di riferimento. Spero solo di vedere una pubblicità di Mc Donald. A Columbia durante l’MBA ci spiegavano che il miglior modello di riferimento per capire il vero potere di acquisto dei popoli (ma anche il cambio tra le valute) è il prezzo del Big Mac. Ma nulla. Mac c’è (ed è sempre pieno), ma qua pubblicizza solo l’indirizzo. Solo uno special su pollo e una confezione gigante di wurstel (entrambi a circa 300 rubli) in un supermercato locale mi danno delle indicazioni non particolarmente confortanti. Il mio sospetto è confermato. Grazie alle vicende della Crimea il rublo si è deprezzato, ma sono sempre 51 rubli per un euro. Circa 100 euro. Appunto. Costa meno andare in limousine da JFK a Manhattan. Benvenuto nella nuova New York.
Dei vecchi stereotipi rimane ben poco. Ormai qua dominano macchine tedesche e griffe di lusso. Per gli italiani non è difficile sentirsi a casa. Nel centro commerciale più bello di Mosca, il bosco dei ciliegi, giusto davanti al Cremlino, ci sono veramente tutti i nostri brand di lusso. Chi non è ancora arrivato con il suo marchio se la deve essere dormita a lungo. Da pochi anni è aperto anche il nuovo negozio di Stefano Ricci accanto al Ritz. Nel 1995 mi ero occupato dell’apertura della Stefano Ricci America in uno dei palazzi del Rockefeller Center a NYC. Deja-Vu.
Questa è la città dove in quattro giorni non ho dovuto mai collegarmi a una rete cellulare. Free Wi-Fi quasi ovunque. Privato o pubblico. Poco importa il dubbio sollevato da qualcuno che così ci possano spiare i messaggi. Se non hai nulla da nascondere al massimo si faranno due risate. Beata la nuova net social generation! Dopo 10 anni di lavoro nelle telecomunicazioni incappare nel login automatico e gratuito è come aver trovato il sacro Graal. Significa arrivare in un Paese straniero e avere con te il miglior Virgilio di questo mondo. Traduzioni, mappe, informazioni su aeroporti, treni, ristoranti, musei. Tutto. Viene da pensare se le vere frontiere nazionali in realtà siano costituite dalla mancanza di wi-fi libero.
Questa è anche una città dove camminando per strada mentre parli in italiano succede che ti fermino per parlare con te. Ciao, italiano? Anche io parlo italiano. Ho vissuto in Italia. Ah, bene, e perché mai sei tornato qua? Sono di qua. Ho vissuto in Puglia 10 anni. Ora là non c’è più lavoro e sono tornato qua. La nuova frontiera. Morale, stiamo risolvendo il problema dell’immigrazione con quello dell’economia. Noi italiani abbiamo sempre una soluzione creativa a problemi complessi.
A Mosca, spiega Giovanni, gentile nostro cicerone venuto a lavorare qua da Bergamo oltre sette anni fa (oltre a fare l’imprenditore gestisce la comunità italiana in città), vivono circa 1300 italiani iscritti all’albo degli italiani residenti all’estero, che equivalgono a circa 4000 italiani totali residenti, di cui 60 ristoratori. Di questi, quelli che hanno generato una significativa ricchezza personale sono pochi e non si fanno notare. Si professano agenti di commercio qualunque. Probabilmente da queste parti tenere un basso profilo ti fa durare più a lungo. Molti di questi si sono arricchiti arredando le case degli oligarchi con tutto ciò che di più costoso il nostro Paese potesse produrre. La cosa interessante è che questa tradizione sembra partire almeno dal 1475, ai tempi di Ivan III, quando l’architetto italiano Aristotele Fioravanti fu chiamato a costruire la cattedrale dell’Assunzione dentro il Cremlino (dopo che l’edificio realizzato dagli architetti Krivtsov and Myshkin era collassato nel 1474 per errori di progettazione). In questa cattedrale, inaugurata nel 1479, furono poi incoronati gli Tsar e successivamente gli Imperatori russi. Circa 20 anni dopo Cristoforo Colombo scopriva l’America. La prima “fuga dei cervelli”.
Nel 2014 a Mosca la sensazione è di essere arrivati troppo tardi. A parte vodka, caviale e matrioske sembra che ci sia poco altro rimasto da comprare di produzione locale, oramai soppiantata da prodotti d’importazione. Ma questo secondo me genera opportunità per la giovane imprenditoria russa e la nascita di nuovi brand locali (come avvenuto in Canada negli anni ’90). Considerato però che gli spazi retail migliori sono già tutti presi da brand stranieri la soluzione ovvia sempre più sarà l’e-commerce. E con tanto wi-fi accessibile a tutti, la rivoluzione commerciale russa sarà possibile. Wi-Freedom!
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