“Nel mondo editoriale non esiste contrapposizione tra gli strumenti, tra supporti cartacei e digitali: c’è un’opportunità in più, quella legata al digitale, che può essere sfruttata da tutti gli editori e anche dai nuovi player di mercato. Bisogna saperla cogliere.” Sono queste le parole di Paolo Giovine, CEO e co-founder di PubCoder, la startup che ha sviluppato una piattaforma che permette di realizzare e pubblicare libri digitali interattivi nei più diffusi formati per tablet, smartphone e browser. “Soprattutto oggi, in un momento in cui gli indici di lettura non sono entusiasmanti, ogni nuova occasione di lettura e di avvicinamento al libro deve essere colta. L’editoria digitale rappresenta una possibilità per trovare nuovi modelli e utenti.” La startup PubCoder rappresenta un progetto che ha compiuto da poco due anni (con un modello di business che si basa su licenze a tempo) e che sta lavorando con realtà editoriali in tutto il mondo: circa il 50% degli utenti di PubCoder, infatti, non sono italiani. Se da una parte, secondo i dati AIE, tra il 2010 e il 2014 si sono persi 2,6milioni di lettori, dall’altra, nel 2014, il mercato degli ebook è cresciuto del 32%. Questo conferma che pubblico e case editrici si stanno avvicinando sempre di più al digitale. Tenendo in considerazione anche questi dati, il focus del vostro progetto, quindi, è orientato sulla creazione di progetti editoriali digital first? Quando si entra in contatto con il mondo editoriale spesso ci si trova davanti a un atteggiamento che nel medio periodo non è produttivo: il lavoro sul digitale, infatti, per la maggior parte degli addetti ai lavori sembra essere ancora limitato alla semplice conversione di un testo dal cartaceo (con qualche link, notazioni, immagini). Noi cerchiamo di spostare l’attenzione sulla realizzazione di progetti editoriali interattivi, che nascono in un’ottica prima di tutto digitale. Il focus, per noi, non è la conversione, ma la possibilità di rendere un prodotto editoriale digitale utilizzabile ovunque, su qualsiasi dispositivo. Solo così, infatti, si possono creare delle nuove esperienze di lettura e solo così si possono portare delle innovazioni all’interno di un processo. Il mondo dell’editoria scolastica si è mosso per primo, è chiara a tutti la possibilità di usare al meglio il digitale nella didattica: anche per includere bambini con bisogni speciali o i tanti non madrelingua italiani che ogni giorno entrano nelle nostre classi. Considerato il formato interattivo dei libri realizzati attraverso il vostro strumento, puntate maggiormente i riflettori su case editrici per ragazzi, che stanno muovendo dei passi verso il digitale, o il vostro target è più ampio? Il punto di partenza, da subito, è stato quello legato alle pubblicazioni per ragazzi e continua a essere un elemento fondamentale. Si parte da questo settore, perché non ha mai considerato il testo come l’unica parte di un libro: i libri per bambini, infatti, rappresentano un mix di immagini, testo e grafica. Il nostro campo di azione, però, si allarga anche verso la non fiction, che comprende, ad esempio, i libri di cucina, la manualistica, fino ad arrivare alla parascolastica e alla scolastica pura. Il settore della fiction, invece, è ancora in una fase di sperimentazione, perché la narrazione non è “naturalmente” interattiva e si devono cercare e trovare le chiavi giuste per creare nuove forme e nuove esperienze. Noi, però, vorremmo dare una prospettiva diversa anche a chi sviluppa un’opera letteraria. In ogni caso, da parte del mondo editoriale, ci deve essere un tentativo di innovazione di processo. Secondo la vostra esperienza, le case editrici italiane sono realmente pronte per sviluppare progetti editoriali interattivi o c’è una resistenza? C’è una grande resistenza. Gli editori hanno un grande problema a livello di gestione del processo di innovazione, perché sono necessarie risorse economiche, competenze specifiche, tempo e un pubblico pronto ad accogliere determinati cambiamenti. Inoltre, c’è una frammentazione ancora alta, il player più importante con cui “si gioca” la partita si chiama Amazon, e non sta sollecitando un’offerta di qualità. Il mondo della scolastica, poi, ha bisogno di una controparte reattiva: ovvero, un editore può voler abbracciare anche un progetto interattivo, ma nelle scuole manca la connessione a internet, non ci sono gli strumenti e gli insegnanti non sono abbastanza preparati a gestire questo cambiamento. Considerando queste condizioni, è ovvio che il processo proceda con molta fatica. Nelle case editrici o nelle agenzie di servizi editoriali, si trovano oggi delle figure professionali in grado di dare vita a progetti editoriali interattivi o il mondo della formazione dovrebbe porre maggiore attenzione verso lo sviluppo di determinate competenze digitali? Io consiglio a tutti gli editori di fare un investimento nello sviluppo di competenze interne alla propria realtà legate al digitale e di assumere figure professionali capaci di confrontarsi con questo mondo. Quest’anno, ad esempio, abbiamo stretto un accordo con lo IED a Torino ed è stato attivato un corso in cui il programma formativo si focalizzava sull’utilizzo di PubCoder e i ragazzi hanno prodotto nove progetti editoriali interattivi, sotto la supervisione di un famoso illustratore, che saranno presentati alla Bologna Children’s Book Fair, a inizio aprile. Inoltre, è importante sottolineare che le professioni “classiche” legate all’editing, alla traduzione, alla correzione di bozze non scompariranno, ma verranno necessariamente affiancate da nuove figure professionali. Anche qui, quindi, non c’è contrapposizione tra digitale e cartaceo, ma c’è un viaggio da compiere insieme, fianco a fianco. di Jessica Malfatto @JessicaMalfatto
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