Proprietà industriale, tramonta il “professor’s privilege”

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Era l’aprile del 2022 quando parlavamo della approvazione da parte del CDM del disegno di legge per l’approvazione del nuovo Codice della Proprietà Industriale, inserito all’interno del Piano strategico di riforma del sistema della proprietà industriale del ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti (valore 30 milioni di euro del PNRR), e salutato con favore anche da Tech Italian Alliance. Ora, a un anno e mezzo circa di distanza, si giunge al passo finale, la formalizzazione della firma del decreto interministeriale congiunto emanato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) e dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), riguardante l’implementazione delle direttive prescritte dall’articolo 65 del nuovo Codice della Proprietà Industriale. La riforma della legislazione sulla proprietà industriale è stata realizzata attraverso l’approvazione di una legge di modifica al Codice della Proprietà Industriale (Legge n. 102 del 24 luglio 2023), accompagnata dall’emissione di strumenti attuativi connessi, quali quattro circolari esplicative e le linee guida appena sottoscritte dai Ministri Adolfo Urso e Anna Maria Bernini. Urso aveva nel corso di questi mesi sottolineato come l’approvazione del nuovo codice della proprietà industriale sia ”maturato’ in oltre 10 anni di tentativi e sia oggi molto importante anche ai fini del PNRR. Il nuovo codice agevola l’accesso al sistema della proprietà industriale e rafforza l’importanza dei brevetti, dei marchi e dei disegni all’interno del tessuto produttivo. Inoltre snellisce i processi di trasferimento tecnologico grazie all’abolizione del cosiddetto professor privilege.

Cosa cambia con il nuovo Codice

Il provvedimento in questione porta con sé una serie di importanti cambiamenti nel panorama della proprietà industriale in Italia. Di seguito, sono elencati i principali punti salienti: 1. Titolarità dei Brevetti: il provvedimento stabilisce che i brevetti derivanti dalla ricerca condotta da ricercatori presso università, enti pubblici di ricerca e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico saranno di titolarità delle rispettive strutture. Ciò semplificherà notevolmente i processi di trasferimento tecnologico e la valorizzazione delle invenzioni. 2. Invenzioni Finanziate dalle Imprese: l’articolo 65 del provvedimento regolamenta le invenzioni generate tramite finanziamenti da parte delle imprese. Questo sarà fatto con l’obiettivo di massima flessibilità nei rapporti tra le imprese e le istituzioni universitarie. I criteri specifici saranno definiti entro 60 giorni dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy in collaborazione con il Ministero dell’Università e della Ricerca. 3. Protezione dei Disegni e dei Modelli: la riforma introduce la possibilità di ottenere una protezione specifica per i disegni e i modelli presentati in fiere nazionali ed internazionali. 4. Lotta alla Contraffazione: il provvedimento prevede misure per contrastare la contraffazione, tra cui la possibilità di sequestrare prodotti contraffatti esposti in fiere. 5. Tutela delle Indicazioni Geografiche: si rafforza il sistema di tutela delle indicazioni geografiche, particolarmente importante per l’Italia. Si ampliano le situazioni in cui è possibile opporsi all’uso di marchi che imitano le Denominazioni di Origine Protetta (DOP), patrimonio di grande valore del Made in Italy. 6. Flessibilità nei Pagamenti: una novità rilevante è l’introduzione della possibilità di pagare le tasse di deposito dei brevetti non solo al momento della presentazione della domanda, ma anche in un secondo momento. Questo aspetto è di particolare interesse per le imprese e potrebbe contribuire ad attirare investimenti. In conclusione, il provvedimento mira a rendere il sistema di proprietà industriale italiano più flessibile, inclusivo e in linea con le esigenze delle imprese e delle istituzioni di ricerca. Le modifiche apportate avranno un impatto significativo sulla gestione e la protezione delle invenzioni nel paese.

Cos’è il professor’s privilege

Il professor’s privilege è stato introdotto in Italia con la legge 383 del 18 ottobre 2001, titolata anche  “Primi interventi per il rilancio dell’economia” (rilancio che non decolla mai…). Questa norma voleva essere una risposta alla incapacità delle università e di altri istituti di ricerca pubblici di trarre valore dalla proprietà intellettuale (PI) da loro creata. Tuttavia, non ha portato ai risultati sperati, trasformandosi anzi in un elemento critico nei processi di trasferimento tecnologico e sicuramente anche in controtendenza rispetto al resto dei Paesi europei. L’Italia ora pone fine a questo esperimento ventennale di “privilegio del professore”, una norma che attribuiva agli accademici, anziché alle università, la proprietà dei brevetti da loro creati. Sebbene la regola sia seguita molto raramente, e si sia spesso ricorsi nella prassi e escamotage contrattuali per aggirarla, attraverso la riforma possiamo dire che il privilegio del professore sia tramontato per si scorga l’alba di una fase di modernizzazione e snellimento dell trasferimento tecnologico nelle università del Paese.

Cosa prevedeva il privilegio del professore

La normativa riguardante le invenzioni sviluppate da ricercatori universitari, come definita nel già citato articolo 65 del Codice della Proprietà Industriale (CPI) pre-riforma, stabiliva che la titolarità e i diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione di tali invenzioni fossero assegnati direttamente ai ricercatori stessi, anziché all’Università in qualità di loro datore di lavoro, come previsto invece nell’articolo 64 del CPI per le invenzioni dei dipendenti. Nel caso, frequente, di invenzioni di equipe, i diritti derivanti dall’invenzione appartenevano a tutti gli inventori in parti uguali (salvo diversi accordi). All’ente, datore di lavoro, spetta una quota percentuale di sfruttamento dell’invenzione (non inferiore al 30%), determinabile autonomamente dall’ente purché resti comunque in capo all’inventore almeno il 50% dei proventi di tale sfruttamento. Questa distinzione ha reso l’ordinamento italiano notevolmente differente rispetto alla prassi comune in paesi come la Germania, la Danimarca, l’Austria, la Norvegia, ecc. In virtù di questa riforma, la titolarità viene trasferita alla struttura di appartenenza dell’inventore, consentendo al ricercatore di presentare autonomamente la domanda di brevetto solo in caso di inattività da parte della suddetta struttura. Questo cambiamento consentirà alle strutture di ricerca di iniziare efficacemente processi di valorizzazione delle innovazioni e trasferimento tecnologico, contribuendo al miglioramento della competitività del nostro Paese. L’obiettivo principale è di allineare l’Italia alle principali nazioni occidentali e di rendere concreta la collaborazione tra il mondo della ricerca pubblica e quello produttivo, con riflessi positivi sulla promozione delle nuove tecnologie. In sintesi, questa riforma valorizza la cooperazione tra università, enti di ricerca pubblici e IRCSS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e le imprese. È da notare che il decreto è attualmente in fase di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, rendendo così la nuova legislazione ufficialmente operativa.

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