Private equity, quando è interessante per le startup e scaleup (I)

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Definizione e caratteristiche del settore del private equity

Il private equity è una tipologia particolare di fondo chiuso di investimento (non quotato in Borsa). Consiste in una operazione finanziaria a medio-lungo termine in cui un investitore privato punta il suo capitale di rischio in aziende private a forte potenzialità di crescita, con l’obiettivo di valorizzarle per poi trarne profitto (disinvestimento) attraverso la vendita della propria quota o l’approdo in Borsa.

Differenza con il venture capital

Fino a questo punto il private equity potrebbe essere confuso con il venture capital. Anche se con obiettivi simili e trattandosi sempre di capitale di rischio, differiscono nelle strategie. Il venture capital, infatti, è un’operazione finanziaria che interviene nelle prime fasi (es. seed) di una startup, mentre il private equity punta su società più mature.

Gli attori nel private equity

Una società di private equity da un lato investe capitale proprio, dall’altro raccoglie quello di altri investitori istituzionali (banche, assicurazioni, fondi pensione, holding finanziarie e family office) o qualificati (persone molto ricche) denominati Limited partner (LP) all’interno di un fondo. La società che detiene il fondo è detta General Partner (GP), perché responsabile della gestione e delle decisioni strategiche riguardanti il fondo, mentre i Limited partner sono responsabili solo del proprio capitale senza un ruolo attivo nella gestione corrente. I fondi di PE identificano già in partenza la quantità di capitale da investire, la durata della propria attività (di solito inferiore ai 10 anni) e i propri obiettivi. I fondi si distinguono in base ai target, ovvero la tipologia di azienda in cui investire: per esempio se in un settore specifico o per tipologia di impresa in base al numero di dipendenti o fatturato (grandi deal), se non nelle società in crisi (turnaround degli asset distressed).

Capire il concetto di private equity e la sua relazione con la scaleup delle imprese

L’azienda target che entra in operazioni di private equity deve rientrare nei criteri e strategie di investimento del fondo di PE. Queste aziende hanno così la possibilità di scalare molto più rapidamente attraverso una crescita di fatturato e iniezione di grosse quantità di capitale liquido, senza le quali dispenderebbero più tempo, risorse ed energie. Inoltre il GP offre il suo know-how nelle scelte e logiche finanziarie, dando così supporto ai founder o all’imprenditore dell’azienda target. Ecco che essa, grazie al PE, può raggiungere i livelli di una scaleup: aziende che hanno raccolto (negli ultimi tre anni) o hanno un fatturato fino a 100 milioni di dollari.

Ruolo dei finanziatori nel processo di scaleup delle imprese

Quando l’azienda è in una fase avanzata potrebbero entrare nuovi investimenti dal private equity, attraverso operazioni come quelle di growth equity – con l’acquisto di quote -, di secondary buyout – con l’acquisto da altri fondi di PE (quindi fondi che hanno già acquisito le quote di un’azienda target), e infine ci sono i fondi di settore, spesso chiamati industriali o tecnologici, che si avvalgono di un team, advisor, network o know-how specializzati in un certo settore.

Come il private equity supporta la crescita delle startup in fase di sviluppo

Spesso si sente l’affermazione che il private equity si differenzia dal venture capital perché non investe in startup. Attenzione: l’affermazione corretta è che il PE investe nelle startup ma nelle fasi più avanzate di esse, quando la startup è cresciuta con il passaggio da microimpresa a PMI o azienda di grandi dimensioni, grazie anche al contributo del venture capital. Infatti il private equity entra in una startup attraverso operazioni ad esempio di growth equity: quando la startup è in fase avanzata (dopo la fase seed) potrebbero entrare nuovi investimenti dal Private equity, che compra le quote della società dal venture capital (in questo caso il VC fa un’operazione di exit), fino ad allora in loro possesso. È così che l’azienda ha la possibilità di scalare più velocemente e diventare una scaleup.

Criteri di selezione degli investimenti nel private equity

Una volta che il fondo di private equity è stato creato, segue una fase di raccolta di capitale. Questa fase ha un periodo e, quando la raccolta sarà definita chiusa, nessuno potrà più investirvi, nemmeno gli stessi LP. Dopo la raccolta, avviene una fase di ricerca delle imprese target, spesso svolta da advisor ben qualificati, che, individuate le aziende, tramite una due diligence capiranno se esse rispecchiano i criteri del GP.

Come i finanziatori di private equity valutano le opportunità di investimento

La due diligence quindi è una vera e propria tac dell’azienda: può essere di tipo legale, finanziario, contabile o industriale. Se il risultato è positivo, acquisite le quote dell’azienda, l’operatore di private equity l’accompagnerà per gli anni successivi nelle decisioni di miglioramento della società e laddove, magari, l’imprenditore non riuscirebbe a prendere da solo, ad esempio nella scelta di internazionalizzare, creazione di una newco, M&A; oppure grazie al proprio network nel mondo finanziario, il PE riesce a ridurre l’indebitamento dell’azienda rinegoziando tassi di interesse e condizioni sui finanziamenti che l’azienda ha in corso con gli istituti bancari.

Vantaggi e opportunità offerti dal private equity nella crescita aziendale

Il private equity in modo agile fornisce alle aziende liquidità e competenze utili per una loro crescita esponenziale. Ma non si limita soltanto a ciò: offre supporto e in alcuni casi guida l’azienda target nelle scelte strategiche e finanziare in tutta la durata che precede il disinvestimento del fondo.

Strategie operative per sfruttare al meglio gli investimenti di private equity

Ultimamente molti operatori di private equity stanno rompendo i classici schemi e strutture del fondo chiuso: investono con una logica di permanent capital (senza una scadenza predefinita), ovvero offrono alle aziende capitali sempre più pazienti e adatti a supportare crescite di lungo termine con un approccio molto industriale e di creazione di valore nel tempo, senza rispettare quindi il limite dei 10 anni. Ma le strategie dei PE possono essere diverse in base alle esigenze del mercato. Negli ultimi anni i fondi di PE hanno cercato di creare un miglior bilanciamento nei loro portafogli di investimento gonfiando gli investimenti nei settori controciclici. D’altra parte alcuni hanno accelerato le loro exit strategy, mentre altri sono diventati più cauti nella valutazione delle imprese target. Da tener sempre presente che le strategie in partenza differiscono in base all’azienda target cui l’operatore di PE vuole operare e per le sue fasi:

  • In una fase early stage la strategia di intervento si applica mediante operazioni di venture capital, che comprendono interventi di seed capital fund, startup fund, VG capital fund, IPO. Seguendo queste strategie, vengono acquistate partecipazioni di minoranza in imprese piccole e molto giovani. L’alto rischio dell’investimento trova la sua ragione nel suo elevato ritorno, entrambi dati dal potenziale del tutto inespresso al momento dell’investimento. Anche se il capitale iniziale investito è spesso di piccola entità, è bilanciato dalla sottoscrizione di stage financing: finanziamenti erogati gradualmente al conseguimento di determinati obiettivi.

Per tali ragioni gli investimenti iniziali di PE tendono ad avere una dimensione limitata per porzioni altrettanto limitate del capitale delle società.

  • La strategia dei growth capital o growth financing è quella di investire in imprese in rapida crescita e già ben strutturate, per aiutarle a crescere più rapidamente: imprese dai ricavi e profitti operativi significativi ma da insufficienti capitali per perseguire programmi di trasformazione in imprese più grandi e più evolute, in mercati emergenti dove le imprese non hanno facile accesso ai capitali provenienti dalle banche o dai mercati azionari e obbligazionari. La strategia da seguire è quella del buyout che si distingue in: leverage buyout (LBOS), management buyout (MBOS) e in ultimo in management buyin (MBIS).
  • La strategia di investimento distressed-debt e turnaround è quella che riguarda la fase di declino di un’impresa. In questa strategia sono previsti due diversi approcci: il control oriented approach (il PE acquista il debito dell’impresa) ed il turnaround approch (il PE negozia la ristrutturazione del debito per investire nuovi capitali ed assumere il controllo.). Coinvolgono imprese in uno stato di stress finanziario dovuto all’eccessivo indebitamento assunto o in una fase di declino dei ricavi; imprese che possono avere quindi una struttura di capitale disequilibrata o che operano in un settore industriale in cui si palesano forti minacce.

Partnership strategiche tra investitori e imprese per una crescita accelerata

Due o più società di private equity possono associarsi per acquisire un’azienda target (co-sponsor deal). Tale partnership può avvenire per diversi motivi:

  • aumentare la dimensione dell’investimento
  • diversificare il rischio
  • condividere le competenze e le risorse

I co-sponsor deals possono essere strutturati in diversi modi: le società di private equity possono creare un nuovo fondo di investimento per l’operazione. Altrimenti possono utilizzare fondi di investimento già esistenti. I co-sponsor deal sono una strategia comune nel private equity. Nel 2023, circa il 30% delle operazioni di private equity sono state co-sponsor deal. Nel 2023 ce ne sono stati diversi, come per esempio quello del fondo Blackstone che ha collaborato con il fondo Carlyle per acquisire la società di servizi finanziari Aon. Oppure nel 2022, con il fondo KKR che ha collaborato con il fondo Permira per acquisire la società di telecomunicazioni Telecom Italia. E nel 2021, il fondo di private equity CVC Capital Partners che ha collaborato con il fondo di private equity Advent International per acquisire la società di lusso Tiffany & Co. (Foto di m. su Unsplash )    

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