È nato quasi per gioco, il progetto che rischia di mettere in seria difficoltà le case di produzione e distribuzione cinematografiche. Un piccolo software sviluppato con tecnologie open, già morto e risorto, e spaventosamente semplice da utilizzare.
Popcorn Time è nato come l’esperimento di alcuni sviluppatori argentini, desiderosi di creare una modalità semplice per fruire dei film disponibili in maniera più o meno legale sui canali torrent, la famosa tecnologia di file sharing peer-to-peer.
Con l’avvento di un sistema decentralizzato dai tracker, le strutture di supporto che orientavano gli utenti scaricatori, BitTorrent è considerato il metodo preferito di condivisione di file da parte di milioni di persone in tutto il mondo – ma il suo meccanismo di funzionamento non era considerato particolarmente accessibile all’utente medio.
L’idea di integrare il tutto in un sistema che, grazie ad un unico click sulla copertina del film scelto dia il via allo streaming in HD e Full HD, non era ancora venuta a nessuno. Il piccolo programmino dall’adorabile mascotte è diventato una hit instantanea su Reddit e su moltissimi altri siti web che hanno riportato la notizia della sua esistenza.
Qualche settimana dopo, i creatori del progetto ne hanno annunciato la morte, poiché non in grado di confrontarsi con le battaglie legali che le case avrebbero sicuramente ingaggiato da lì a breve. A seguito di pochissime ore, il progetto è rinato in due altre braccia di sviluppo, e tutt’ora è in fase avanzata una revisione del software con un’interfaccia ancor maggiormente semplificata e l’aggiunta del supporto alle serie tv.
Molti commentatori hanno definito Popcorn Time il «momento Napster» dell’industria cinematografica. Napster fu il primo servizio di condivisione illegale di musica, che nei primi anni 2000 mise in seria crisi le majors, le quali vi ingaggiarono una costosa battaglia legale e lo costrinsero alla chiusura. Da sempre la pirateria ha costituito una spina nel fianco per tutto il mondo della produzione di contenuti multimediali. L’avvento del digitale e la replicazione gratuita e infinita di contenuti – nonostante maldestri tentativi di limitazione con i sistemi di Digital Rights Management, odiati a morte dagli utenti – l’hanno sdoganata alle masse e resa molto più semplice. Eppure il messaggio che i consumatori hanno lanciato in questi anni è stato molto chiaro, e le aziende che lo hanno recepito sembrano essere le uniche in crescita.
Un esempio su tutti riguarda le società che permettono lo streaming di contenuti musicali, come l’europea Spotify: la convenienza di pagare 10 euro al mese per avere accesso ad un catalogo di oltre 20 milioni di brani è infinitamente maggiore rispetto all’acquisto di un singolo album, in qualità compressa, allo stesso prezzo. Netflix, la compagnia americana pronta a sbarcare in Italia nei prossimi mesi, è nata per rispondere alle stesse esigenze. A differenza della controparte musicale scandinava, ancora non è chiaro quanto sarà ampio il catalogo on-demand a disposizione degli utenti a fronte di un canone mensile che si prospetta molto contenuto.
Se da una parte è chiaro quali siano le difficoltà che si trovano ad affrontare questo tipo di società, invero estenuanti negoziazioni per ottenere i diritti delle case di produzione e susseguenti limitazioni macchinose degli stessi accordi per zone geografiche e altre clausole, è chiaro che le persone richiedono a gran voce una sola cosa: la libreria più grande possibile, la massima velocità e semplicità nell’utilizzo su qualunque dispositivo e alla massima risoluzione. A queste condizioni sarebbero disponibili a pagare. Per tutto il resto c’è Popcorn Time. L’industria cinematografica è avvisata.
(se qualcuno volesse scaricarlo, l’unico link che al momento non è stato oscurato è questo su GitHub e questo official ).
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