Dei 182 milioni di euro investiti da operatori italiani in startup italiane, 101 sono di origine formale, quindi provenienti da venture capital, corporate venture capital e finanziarie regionali (secondo la definizione applicata dall’Osservatorio), con una crescita del 33% rispetto al 2015, mentre i restanti 81 milioni di euro sono di provenienza informale: venture incubator, family office, club deal, business angel, equity crowdfunding e investimenti diretti da parte di aziende, qui la crescita è stata del 14% rispetto ai 71 milioni del 2015. Il dato tendenziale è quindi significativo e promettente come hanno anche affermato Diana Saraceni (co-founder e general partner di Panakes) e Paolo Gesess (co-founder e managing partner di United Ventures), i quali avvertono in modo chiaro che vi è una crescita sia della qualità delle startup italiane, sia dell’attenzione da parte degli investitori internazionali e ciò, affermano con voce condivisa, è da considerarsi significativo perché, aldilà dei numeri che ancora sono lontani dalle altre economie europee comparabili alla nostra, il valore della crescita della reputazione è leva per la crescita anche dei numeri. Diana ha anche enfatizzato come la crescita dell’attenzione da parte del mondo corporate rappresenta altro elemento significativo del processo di sviluppo dell’ecosistema, mentre Paolo ha posto l’attenzione sulla necessità di tenere in considerazione anche il fattore tempo che serve alle startup per crescere.
Il divario con l’estero resta però ampio. Prendendo per esempio la Francia il nostro ecosistema investe meno di un decimo. Secondo la più recente analisi pubblicata da Dealroom infatti il 2016 per l’ecosistema d’oltralpe si chiuderà con 2,5 miliardi di euro di investimenti e oltre 566 operazioni.
I dati dell’osservatorio sono quindi incoraggianti – in calce il link di download della ricerca completa – e mostrano come la qualità delle imprese italiane sia elevata, come le idee e la capacità di tradurle in progetti abbia nulla da invidiare a quanto avviene all’estero, ma serve, e non ci stancheremo di scriverlo, una salto quantico, un’accelerazione decisa per attirare ancora maggiori capitali e dare all’ecosistema italiano, inserito in uno scenario internazionale, maggiore forza e la strada per ottenere questo risultato è puntare sulle startup (e scaleup) di maggiore qualità (come per esempio sono le quattro che hanno partecipato alla presentazione della ricerca: Fabtotum, Credimi, Silk biomaterials, Movendo technology), dimostrare come esse sono in grado di produrre valore per l’economia e per i finanziatori e così creare quei casi di successo significativi, solidi, sostanziali che rappresentano lo strumento più efficace per portare poi al mulino delle startup l’acqua di quegli investitori, sia finanziari sia industriali, che ancora non guardano in questa direzione e che invece avrebbero solo da guadagnarci a farlo.
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