“Le principali aziende italiane hanno ampliato la loro profondità operativa. Per migliorare ulteriormente, sia le leader che le PMI dovrebbero abbandonare il cosiddetto “innovation theater” e concentrarsi piuttosto sui risultati, in particolar modo coinvolgendo le business unit, focalizzando le attività di scouting sui bisogni di quest’ultime e ampliando il proprio raggio di scouting tecnologico agli ecosistemi più maturi. Qui l’esperienza e le best practice dei leader mondiali dell’innovazione e delle PMI all’avanguardia costituiscono un benchmark prezioso. L’opportunità di imparare dai migliori è sicuramente un vantaggio per i late movers e un’opportunità che non dovrebbe essere trascurata”. Con queste parole Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge, ha sintetizzato i risultati dell’indagine, recentemente presentata a Smau Milano, che ha indagato come stanno lavorando le aziende italiane con l’open innovation. Il messaggio di Onetti è piuttosto chiaro: negli anni passati c’è stata molta ‘scena’ anzichè concretezza sia da parte delle grandi aziende che delle pmi (le poche) sul tema open innovation, forse si scontava una certa improvvisazione e disorganizzazione, una mancanza di esperienza, ma anche una carenza di scaleup. D’altro canto, questa situazione è perfettamente coerente con tutte le questioni già note che affliggono l’ecosistema italiano delle startup e dell’innovazione. In particolare la scarsità di scaleup in Italia, (secondo il rapporto sono 471 e hanno raccolto complessivamente $5.2B in equity dalla data di fondazione), segna un divario con altri Paesi europei, e crea un ostacolo anche all’open innovation delle grandi aziende che sono costrette a guardare all’estero (Silicon Valley, Middle East, Israele) per i loro bisogni di innovazione. La buona notizia è qualcosa sta cambiando e in bene: l’open innovation sta decollando. L’analisi dell’ultimo “Open Innovation Outlook: Italy 2023” prodotto da Mind the Bridge con il supporto di SMAU è stata condotta sulle principali grandi aziende italiane (le cosiddette “billion-dollar companies”) e su un ampio campione delle migliori PMI italiane, andando a confrontare le performance di queste ultime con quelle dei leader mondiali dell’innovazione (ovvero le “Corporate Startup Stars”) al fine di fornire una panoramica dello stato attuale dell’Open Innovation e individuare punti di forza e aree da migliorare. I principali risultati sono che:
- quasi tutte le grandi aziende hanno una struttura dedicata all’open innovation e il 75% annovera l’innovazione tra i propri valori o mission aziendali. Nonostante le molteplici recenti aperture, solo il 20% ha un innovation outpost in Silicon Valley o in Israele. Il modello Venture Client resta limitato al bacino nazionale o regionale mentre i programmi di accelerazione sono affidati a soggetti esterni in un terzo dei casi. In aumento i programmi di intrapreneurship. Il 20% fa investimenti in startup (CVC) ma le acquisizioni di startup restano episodiche.
- Anche le migliori PMI italiane fanno progressi nell’open innovation con unità dedicate in oltre il 70% dei casi. Il 12% ha anche un avamposto dedicato all’innovazione in altri ecosistemi. Il 16% partecipa a programmi di accelerazione di terze parti mentre cresce l’interesse per i programmi di intrapreneurship. I risultati in termini di POC e collaborazioni si attestano su circa 1 all’anno per azienda. Circa la metà delle PMI ha investito in startup in passato e intende ripetere l’esperienza; un terzo è aperto ad acquisizioni di startup in futuro.
Per approfondire è possibile scaricare il report integrale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA