C’è un modo di parlare di open innovation, di relazione tra imprese consolidate e startup, che mette in luce come le dinamiche richiedono una conoscenza approfondita delle due tipologie di realtà. Un esempio di tale necessità è emerso in modo molto chiaro e articolato nel corso dell’evento conclusivo del programma Fintech Lighthouse del Cetif, il centro di ricerca su Tecnologie, innovazione e servizi finanziari dell’Università Cattolica. Evento che giunge al termine di un percorso realizzato con il supporto di Ibm che ha portato le migliori startup e scaleup italiane del fintech a incontrare le principali banche e compagnie assicurative che operano nel nostro Paese. A confrontarsi sono stati Massimiliano Mosca, Head of internet and online banking payments di Banca Monte dei Paschi di Siena, Ivan Giuseppe Barcellona, Digital project management di Credit Agricole, Livio Montesarchio, Business development di Borsadelcredito.it e Diego Caputo, Head of business and product management di Neosurance. I relatori sono stati introdotti da Clelia Maria Tosi, Senior research manager del Cetif e da Federico Mattei, Innovation and technical leader financial services di Ibm Italia che hanno illustrato come la relazione tra startup fintech e mondo delle banche e delle assicurazioni deve svilupparsi in modo strutturale declinandosi su tutti i principali filoni: pagamenti, gestione del risparmio, investimenti soprattutto, ma anche applicazione di nuove tecnologie, prima fra tutte la blockchain e non solo per le criptomonete, ma anche per la realizzazione di sistemi di gestione decentralizzati. Un primo elemento sul quale si è acceso il dibattito è stato il confronto tra la flessibilità organizzativa delle startup e la più rigida struttura delle organizzazioni tradizionali. Questo è un tema chiave che coinvolge l’asset principale di entrambe le realtà: ovvero le persone che vi lavorano. Se da un lato c’è la capacità di procedere speditamente e con una agilità sufficientemente rapida per adeguarsi ai repentini e frequenti cambiamenti del mercato, dall’altro esiste una maggiore difficoltà data proprio dalla latenza con la quale la nuova cultura non solo imprenditoriale ma anche del mercato arriva a essere pienamente colta, appresa, condivisa, dalle centinaia di persone che lavorano nelle grandi banche e nelle grandi assicurazioni. Questo elemento culturale è fondamentale, lo è a ogni livello: deve essere certamente prima compreso e acquisito dai vertici e poi da tutta la struttura, deve diventare patrimonio anche per quelle organizzazioni dove ancora oggi il concetto stesso di proposta, di suggerimento è visto ancora come qualcosa di non sempre bene accettato. Insomma una staticità conservativa che pervade spesso le grandi organizzazioni e che diventa limite strutturale alla piena implementazione dell’innovazione. Sempre più spesso però anche all’interno delle banche più tradizionali, e Mosca e Barcellona (il fatto che entrambi portino il nome di una città è del tutto casuale) lo dimostrano, ci sono persone che insistono per fare in modo che l’innovazione si propaghi. Entrambi i manager lavorano infatti per fare compiere passi avanti sia nell’implementazione di nuove tecnologie, sia nello sviluppo di nuovi servizi alle loro rispettive organizzazioni, prendendo anche qualche rischio ma con la consapevolezza che solo così si può contribuire alla costruzione del futuro anche per i business apparentemente, e solo apparentemente, più solidi e consolidati. Per le banche questa percezione è ancora più forte perché da un lato operano in un settore altamente regolamentato che quindi in un certo modo tende a imbrigliare l’avvento dell’innovazione anche se è solo una questione di tempi affinché l’innovazione attecchisca, e perché dall’altro sono un settore delicato in relazione alla fiducia presso gli utenti: il fallimento di una sola banca rischierebbe di infrangere il patto fiduciario con conseguenze profonde su tutto il sistema. Condizioni queste che benché facciano dell’ambito finanziario e assicurativo un mercato con specifiche unicità (ovviamente non è l’unico regolamentato, si pensi per esempio a quello dei farmaci e in un certo modo anche a quello alimentare), non frenano certamente il processo di innovazione come dimostra appunto il fenomeno delle fintech. È proprio il rapporto con le fintech a costituire elemento che richiama una ulteriore interessante analisi. Nell’evolversi del dibattito tra i quattro manager più volte si è accennato a una sorta di ‘intermediazione culturale’ che non riguarda, come visto, solo la struttura e le persone, ma anche la definizione di modelli di business e la comprensione di come la mentalità dei consumatori stia cambiando. Pagare con il cellulare, gestire tutte le operazioni bancarie via internet, affidare i propri risparmi a piattaforme snelle e trasparenti, operare in modalità condivisa, si pensi per esempio al social lending, sono tutte funzionalità che per le banche tradizionali richiedono profonde ristrutturazioni per essere implementate su larga scala ma che per le startup rappresentano il punto di partenza. Un cambiamento di mentalità che riguarda anche gli imprenditori stessi, e da qui deriva la necessità della intermediazione, perché l’avvicinamento tra questi due mondi è potenzialmente quello che più sarebbe capace di generare valore ad ampio spettro, ad alta velocità, potendo contare su risorse e su visione. Certo le banche grandi e le grandi assicurazioni non stanno a guardare e lavorano in modo consistente, ma la velocità e la flessibilità delle startup resta unica come Montesarchio e Caputo enfatizzano mostrando soprattutto come anche nell’ambito dei servizi di tipo business to business come sono i loro, tale caratteristica è considerata sempre più vitale dal mercato. Sullo slancio che porta all’avvicinamento tra le startup e le banche, programmi come quello del Cetif creano valore, così come fanno anche quelli realizzati dalle banche stesse come per esempio il neonato Lab di Monte dei Paschi e il programma Le Village di Credit Agricole, entrambi pensati per essere ponti con le startup e autostrade sul quale fare correre il processo di innovazione culturale.
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