Open banking, il punto di vista di Marie Johansson (Tink Italia)

Già prima dell’arrivo della pandemia, l’industria dei servizi finanziari si stava evolvendo ad un ritmo serrato – guidata da un cambiamento nella domanda dei consumatori, dall’aumento della concorrenza di banche storiche e nuovi player, e dal significativo sviluppo della tecnologia. Negli ultimi anni, infatti, l’industria dei servizi finanziari è stata protagonista di un passaggio fondamentale dall’analogico al digitale, mentre – parallelamente – il settore bancario ha iniziato quel processo di transizione da sistema chiuso ad aperto. La pandemia globale ha ovviamente accelerato questa evoluzione, spostando ogni business online e di conseguenza velocizzando il processo di digital transformation. L’open banking in particolare sta rivoluzionando l’esperienza bancaria. Questo modello, se implementato correttamente, ha davvero il potere di democratizzare il mondo dei servizi finanziari, rendendolo fruibile a molte più persone. E ciò significa più scelte per i consumatori, un bacino di potenziali clienti molto più ampio per le imprese, più efficienza ed una riduzione significativa dei costi operativi. Nel 2020, Tink ha rivelato un cambiamento incoraggiante nel modo di porsi delle istituzioni finanziarie italiane. Nel Bel Paese, infatti, è stato il 60% degli intervistati a mostrarsi positivo nei confronti dell’open banking, segnando un +3% rispetto allo stesso dato analizzato nel 2019. Oggi, con l’emergenza sanitaria che ha accelerato la migrazione verso i canali digitali, le istituzioni finanziarie hanno ora un’opportunità in più per superare la concorrenza e implementare ulteriormente la customer experience. Ecco tre elementi su cui dovrebbero concentrarsi per raggiungere questo obiettivo: 1. Creare una chiara strategia di open banking. Sebbene sia cresciuta la positività nei confronti dell’open banking, i dati di Tink hanno messo in luce come alcune istituzioni finanziarie non abbiano ancora una chiara strategia che porti alla creazione di valore. In Italia, infatti, quasi il 27% degli istituti intervistati nel 2020 non aveva ancora una pianificazione stabilita in merito. Si tratta di un gap da colmare quanto prima per sfruttare al massimo le opportunità offerte dall’open banking. Nel mercato altamente competitivo odierno, chi adotta una strategia chiara sarà il primo ad ottenere ritorni concreti. Sta ad ogni organizzazione valutare il modello di business ideale e decidere come approcciarsi. Il momento di agire è ora, con la consapevolezza di iniziare il proprio viaggio con casi d’uso di open banking più elementari, avanzando poi verso casi d’uso più sofisticati nel tempo. 2. Concentrarsi sulla risoluzione di problemi concreti e investire dove ci sono opportunità commerciali. I dati di Tink hanno rivelato che le istituzioni finanziarie stanno aumentando i propri investimenti in open banking. Nello specifico, in Italia, se il 47% degli istituti finanziari non spende più di 50 milioni di euro nelle strategie di open banking, è oltre la metà dei dirigenti italiani ad indicare di spendere più di 100 milioni di euro. Questo mostra chiaramente che le istituzioni finanziarie stanno iniziando a guardare alle opportunità commerciali che l’open banking può offrire. Bisogna, però, dire che in Italia alcune banche stanno investendo in soluzioni di open banking solo per essere riconosciute come innovative, ma senza nutrire fiducia nel mezzo o aver riscontrato interesse reale da parte dei clienti finali. La verità è che se si implementa una nuova tecnologia e la si lascia al suo destino, ci sono poche possibilità che abbia successo. In questi casi, il ritorno sull’investimento potrebbe anche non arrivare mai. Non importa, quindi, quanto budget venga stanziato in open banking, la priorità deve restare quella di creare valore reale e risolvere problemi concreti operando come fornitori di terze parti (TPP) per trarre pieno vantaggio dall’open banking. 3. Dare priorità alle partnership fintech. Infine, gli istituti finanziari dovrebbero cercare di costruire partnership con le fintech per accelerare l’innovazione e dotarsi di tecnologia, competenze e una giusta visione per guidare questa crescita. In molti casi, questo sta già accadendo. Secondo i dati Tink, il 69% degli istituti finanziari europei intervistati ha aumentato il numero di partnership fintech nel 2019 ed in Italia, nello specifico, è il 17% degli istituti ad avere attualmente in corso una partnership fintech per alimentare la propria strategia di open banking. Numeri destinati a crescere nell’anno in corso, attraverso collaborazioni intelligenti che aiutino le banche ad affrontare processi di approvvigionamento e di onboarding, sempre nell’ottica di migliorare l’esperienza del cliente finale. Le istituzioni finanziarie che non abbracciano il passaggio dall’analogico al digitale, dunque, rischiano di rimanere indietro. Il futuro sta nel dare alle persone la possibilità di capire, avere il controllo e gestire le proprie finanze e ciò sarà possibile a stretto giro se le istituzioni finanziarie continueranno a dare priorità allo sviluppo di casi d’uso di open banking innovativi studiati per i clienti – fornendo servizi finanziari smart, accessibili e inclusivi, sui canali digitali. Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia  

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