Mymenu, l’evoluzione del food delivery

Il food delivery è forse uno degli ambiti dove l’utilizzo di strumenti digitali per rivoluzionare un mercato suscita reazioni contrastanti, quasi quanto avviene con il mondo dei taxi che sono in costante lotta per fermare servizi alternativi come Uber o, più recentemente con casi come la sentenza del Tar del Lazio contro MyTaxi. Il food delivery è spesso attaccato sul fronte della tutela dei lavoratori, i cosiddetti rider che fanno le consegne dei cibi a domicilio, e, più recentemente, per lo scandalo delle mance che ha visto un collettivo di reader denominato Deliverance Milano lamentarsi pubblicamente per le mance che i Vip ai quali consegnano il cibo non danno. Episodio che ha avuto come conseguenza la condanna dell’azione da parte di Assodelivery che racchiude i principali operatori del settore attivi in Italia. Insomma il food delivery è un mondo complesso con operatori che lavorano con diverse modalità e che si articola su diversi piani dando vita anche a fenomeni del tutto nuovi come per esempio è quello delle dark kitchen di cui abbiamo scritto qui . Per conoscere meglio questo mondo ci siamo fatti aiutare da Giovanni Cavallo che è presidente e co-fondatore di Mymenu che oggi è l’unica azienda totalmente italiana del settore. “Siamo nati nel 2013 per offrire il servizio che permette ai clienti di ordinare il pranzo e la cena a domicilio da un’attenta selezione dei migliori ristoranti della città. Ci occupiamo dell’intero processo, dall’inserimento dell’ordine da parte del cliente alla consegna dello stesso completata da un nostro driver incaricato”. Mymenu negli anni si è fusa con Sgnam e ha acquisito Bacchetteforchette, due operazioni che la rendono oggi in grado di competere con i colossi internazionali: Just Eat, Deliveroo e Glovo. Secondo quanto ci dice Giovanni Cavallo il mercato del food delivery globale oggi vale circa 84 miliardi di euro. Quello italiano ha invece un valore di 4.73 miliardi di euro (la fonte è Euromonitor International 2018), in forte crescita percentuale anno su anno negli ultimi 5 anni: da 3.9% nel 2013 a 6.1% nel 2017, su un totale di 77.5 miliardi di euro di valore del mercato del consumer food service in Italia. I principali player internazionali oggi presenti in Italia sono appunto Just Eat, Deliveroo e Glovo, ai quali si aggiunge anche Uber Eats, “ci sono poi anche operatori particolari come per esempio quelli che, a Milano, lavorano solo con ristoranti cinesi e consegnano esclusivamente a consumatori cinesi” dice Cavallo, che aggiunge: “i nostri concorrenti si focalizzano su una fascia più bassa di clientela rispetto a quanto facciamo noi, con un’offerta più ampia ma meno qualitativa. Mymenu dall’altra si focalizza su ristoranti di fascia più alta con un unico obiettivo: la qualità in tutti i processi. Ne risulta un conseguente scontrino medio più importante, con quindi maggiore marginalità e sostenibilità del modello di business”. Insieme a Giovanni Cavallo hanno fondato Mymenu Edoardo Tribuzio che è il Ceo e Lorenzo Lelli che è il Cto, la società ha un team di 20 persone e opera oggi in sei città: Milano, Brescia, Bologna, Modena, Padova, Verona. Conta oltre 500 ristoranti partner selezionati di fascia medio/alta, oltre 600 driver che collaborano e ha registrato 5 milioni di euro di vendite nel 2018. “Negli ultimi 18 mesi siamo cresciuti del 100% – aggiunge il co-fondatore – e il 46% dei volumi che abbiamo generato nel primo trimestre di quest’anno sono realizzato con ristoranti che operano in esclusiva con noi, abbiamo il valore dello scontrino medio di 37 euro che corrisponde a circa il doppio della media del settore e soprattutto non facciamo solo business to consumer ma anche business to business, quindi lavoriamo con le aziende, un ambito che vede salire ulteriormente il valore dello scontrino medio a oltre 62 euro e crescere la frequenza media degli ordini che può arrivare a tre volte rispetto a quella del B2c con anche sei ordini al mese”. Due sono quindi gli elementi sui quali Mymenu punta per differenziarsi: la qualità dei ristoranti e il servizio B2b: “all’inizio ci siamo focalizzati sulla creazione di un servizio di consegna di pasti a domicilio tendenzialmente a consumatori finali, persone con un target di età tra i 25 e i 45 anni prevalentemente in abitazioni private, da sempre ci siamo differenziati per la gamma di ristoranti selezionati e il servizio di qualità, con conseguenti maggiori marginalità lato azienda e poi dal primo trimestre del 2019 dopo aver ultimato i processi di aggregazione post operazioni straordinarie varie abbiamo esteso la nostra offerta anche ai clienti B2b tramite convenzioni aziendali, questo permette di dare un servizio più continuativo vista la quotidiana necessità del target di riferimento. Sempre più grandi realtà di consulenza e studi legali internazionali ci scelgono come loro fornitore, spesso esclusivo, vista la tecnologia sviluppata per far fronte alle necessità di fatturazione più diverse. Per questo tipo di clientela stiamo anche testando un’integrazione verticale finalizzata ad aumentare l’offerta di prodotti di qualità anche nelle zone meno servite da ristoranti di fascia media e alta”. Inoltre Mymenu ha avviato programmi di open innovation collaborando con grandi aziende del settore alimentare italiano e internazionale per la loro digitalizzazione e innovazione: “stiamo rendendo la nostra tecnologia sempre più modulare in modo da poter condividere la nostra esperienza con corporate che hanno necessità di creare nuovi processi innovativi. Stiamo inoltre testando, in collaborazione con grandi aziende alimentari italiane, anche la cottura in modo innovativo di prodotti per la ristorazione in modo da poter fornire alla nostra clientela B2b un’offerta unica sul mercato, con vantaggi in termini di prezzo e di qualità, nonché di standardizzazione di processi in un’ottica di scalabilità”, quindi qualcosa che si avvicina molto al concetto di dark kitchen che citavamo all’inizio. La strategia della qualità paga e lo dimostra anche il fatto che Cavallo condivide con i lettori di Startupbusiness ciò che i proprietari di ristoranti pensano del servizio che la sua società offre, tra loro Vincenzo Scida, direttore del ristorante Stendhal a Milano dice: “Mymenu ci permette di consegnare a casa dei nostri clienti più affezionati i piatti come se fossero appena usciti dalla cucina, un’opportunità inoltre per aumentare mensilmente il fatturato e coprire i costi fissi”, così invece Sergio Ingrilli, direttore Coquillage by Osteria di Brera: “entrare in Mymenu ci ha permesso tra le varie di acquisire nuovi clienti, che spesso vengono a trovarci al locale dopo aver ordinato online” e infine Matteo Aloe, direttore di Berberè: “un’azienda giovane che da subito ha saputo rispondere alle nostre esigenze nel tempo gli ordini sono cresciuti in modo importante e oggi il delivery per noi è fondamentale per raggiungere i clienti che non riescono a venire al ristorante”. Tornando al tema iniziale come Mymenu affronta la questione dei rider, cioè di tutti quei seicento collaboratori che sono quelli che effettivamente portano a casa o nell’ufficio del cliente il pasto? “Mymenu a maggio 2018 è stata la prima realtà a firmare la ‘Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano’, un primo punto d’incontro tra azienda, lavoratori e istituzioni per cercare di regolamentare il ruolo del driver sul mercato italiano. Da allora siamo seduti al tavolo del governo per supportare la tematica a livello nazionale – spiega Cavallo -. Dall’inizio della nostra avventura pensiamo che la qualità sia una delle parole chiave da ricercare ogni giorno in ogni singolo processo, motivo per cui anche i nostri collaboratori vengono reclutati e formati quasi uno a uno, con retribuzioni maggiori rispetto alla concorrenza, non solo per soddisfare un’esigenza ma anche per lasciare il ricordo di un’esperienza positiva ai nostri clienti”. Mymenu ha raccolto fino a oggi circa 1,5 milioni di euro da investitori privati e istituzionali, tra cui il fondo VC P101. Conta ad oggi una compagine societaria composta da 15 soci. Da pochi giorni ha aperto una raccolta di capitali con un target 1,5 milioni di euro. Le risorse serviranno principalmente per raggiungere il punto di pareggio, obiettivo previsto nel primo trimestre del 2020; per il consolidamento e crescita sul food delivery nelle sei città presenti, con particolare attenzione all’ambito B2b ed espansione su nuove città target; al supporto a grandi aziende del settore alimentare italiano per la propria digitalizzazione e innovazione; all’ampliamento del team.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

    Iscriviti alla newsletter