C’è un’Italia che fa innovazione, che va oltre la retorica dello storytelling che in molti casi ormai sfocia nella più palese propaganda. C’è un’Italia che non si ferma ad aspettare che dal governo arrivino finalmente segnali concreti e non solo bislacche normative come il recente Foia (Freedom of information act) che dovrebbe rendere accessibili tutti i documenti pubblici da parte dei cittadini senza limiti e senza costi, ma che invece è una serie di limitazioni e impedimenti. C’è un’Italia che produce risultati, che genera valore, che mantiene elevata la reputazione del Paese a livello internazionale. Questa Italia non è quella del sistema governativo, ma è quella di imprese che apparentemente incuranti delle difficoltà fiscali e burocratiche (che però ci sono e a volte si fanno sentire anche pesantemente: perché quando in Italia si fa impresa, bisogna sapere che lo Stato diventa socio di maggioranza e quando si fanno lavori per gli enti della Pubblica Amministrazione bisogna sapere che si verrà pagati con tempi così lunghi che le calende non sono più quelle greche). L’Italia che brilla è quella che ogni anno viene fotografata da numerose e diverse angolazioni dai rapporti della Fondazione Symbola per le qualità italiane. Quest’anno la Fondazione ha anche realizzato un documento sintetico provocatoriamente intitolato ‘L’Italia in 10 selfie’ (e che ho ripreso nel mio titolo L’Italia che brilla in 10 selfie) dove vengono poste sotto l’obiettivo dell’attenzione dieci chiavi di lettura che offrono del nostro Paese un’immagine positiva: il numero delle imprese italiane che abbracciano la green economy, il surplus manifatturiero, l’eccellenza internazionale di quasi mille prodotti, l’impiego di fonti di energia rinnovabile, il surplus commerciale, la sostenibilità dell’agricoltura, la leadership mondiale nell’industria nautica, l’efficienza nei consumi e la riduzione delle emissioni del sistema produttivo, la riduzione dei rifiuti e l’impiego di materie prime seconde, il ruolo dell’industria della bellezza, della creatività e della cultura. Dieci selfie che, in quanto selfie, sono degli autoscatti e quindi non sono analisi generate da fonti internazionali o validati da entità terze, magari anche prestigiose come il World economic forum che anche nell’edizione 2016 del suo Competitiveness report pone l’Italia oltre il 40esimo posto (al primo posto la tutt’altro che geograficamente lontanissima Svizzera ). Ha però un senso quello dei selfie: mettere in luce alcuni punti dai quali si può partire per sviluppare ulteriori azioni e sforzi fino a che tali elementi diventano di gran valore anche per chi guarda l’Italia da fuori. In un momento in cui perfino il grande sogno europeo sembra svanire sotto l’incapacità dei governi nazionali di gestire in modo coordinato le emergenze economiche e sociali, fare una fotografia del Paese cercando i suoi lati più sorridenti è un esercizio che ha il suo pregio e che, benché sia un autoscatto, è tutt’altro che retorico o propagandistico. Per ogni selfie poi Symbola ha anche sviluppato dei veri album fotografici: il rapporto I.T.A.L.I.A. sulle geografie del nuovo made in Italy è un esempio; ma lo sono anche il rapporto sulla cultura e l’interessante documento dal titolo ‘Filiera nautica, analisi dell’indotto economico e occupazionale attivato dall’industria nautica in Italia” . È questo un documento sintomatico perché offre lo spaccato di un settore che, benché colpito da normative non sempre lungimiranti negli ultimi anni e benché passato in buona parte in mano a investitori internazionali, mostra in piena luce la capacità italiana di costruire un sistema industriale di successo: nel 2014 la quota di mercato mondiale detenuta dai cantieri nazionali era del 21,7%, al secondo posto gli Usa con il 14,5% (nel 2009 i valori non erano molto diversi con Italia sempre prima con il 22,1%). – Qui l’elenco completo dei rapporti della fondazione Symbola – Altro esempio è quello della produzione vinicola. Esattamente trenta anni fa, nel marzo del 1986, in Italia avveniva una delle più gravi azioni di boicottaggio di un intero settore industriale, il vino al metanolo. La vicenda fu tristissima, ci furono oltre 20 morti e tutto prese il via dall’idea di qualche produttore di vino, tanto criminale quanto ignorante, di usare il metanolo invece dello zucchero (perché inferiormente tassato) per alzare la gradazione alcolica del vino. Il risultato fu devastante non solo per le vittime ma anche per la reputazione dell’intero settore, un settore che a distanza di 30 anni ha ripreso a camminare puntando più sulla qualità che sulla quantità e tornando a essere un campione di esportazioni. Qualità più che quantità, concentrazione delle risorse nei progetti e nei settori più promettenti, leggerezza amministrativa e burocratica, libertà del mercato di scegliere su cosa investire e cosa comprare è ciò che serve anche all’ecosistema italiano delle startup. Anche qui abbiamo bisogno di costruire sui risultati e di rafforzare la reputazione, anche qui possiamo iniziare dai selfie, ma prima bisogna togliere il trucco, togliere un po’ di quel fondotinta colorato di retorica, di intervento pubblico a pioggia, di leggi inefficienti e poi anche delle imprese innovative italiane inizieremo ad avere un’immagine più sorridente e ben definita. (l’autore dell’articolo è membro del comitato scientifico della Fondazione Symbola) Emil Abirascid
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