Quando una start up può considerarsi innovativa? Una start up che ha sviluppato una nuova applicazione per smartphone può considerarsi tale? Dipende! E una start up che sta aprendo una catena di cioccolaterie on line, può considerarsi innovativa? Forse in questo caso è molto probabile che la risposta sia negativa.
Quali sono i parametri per misurare e valutare l’innovazione di un progetto?
Il legislatore richiede innanzitutto che l’attività esclusiva della start up sia rappresentata dallo “sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”. Che cosa deve intendersi per “prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”? La norma non lo dice né fornisce dei parametri identificativi.
Da un’interpretazione letterale, sembrerebbe che non sia sufficiente che il prodotto o servizio sia di per sé innovativo, in quanto deve anche essere il risultato ovvero l’espressione di una tecnologia avanzata. Ad esempio, potrebbe sostenersi che sia innovativa la start up che ha ideato una nuova ed originale forma di raccolta dei rifiuti qualora l’idea sia sorretta da una tecnologia di alto valore.
Ma ciò non basta. La start up innovativa per essere tale deve anche possedere almeno uno dei seguenti requisiti:
(i) le spese destinate alla ricerca e sviluppo devono essere uguali o superiori al 30 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start up;
(ii) un terzo o più di un terzo della forza lavoro complessiva della start up deve essere rappresentato da personale dotato di dottorato di ricerca o comunque altamente qualificato;
(iii) la start up deve essere licenziataria o titolare di una privativa industriale direttamente afferente all’oggetto sociale e all’attività d’impresa e relativa ad una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o ad una nuova varietà vegetale.
Taluni dei suddetti parametri, singolarmente considerati, appaiono piuttosto discutibili.
Non è riduttivo pensare che una start up sia innovativa solo perché annovera tra il suo personale dottorandi di ricerca, senza precisare quale sia la materia della ricerca? E se la qualifica di dottorandi sia riferibile solo ai soci fondatori o agli amministratori, il requisito può comunque considerarsi soddisfatto? Nel silenzio della norma, la risposta non è certa.
E ancora non è riduttivo parlare di start up innovativa solo nel caso in cui la start up abbia dedicato un certo ammontare delle sue spese alla “ricerca e sviluppo”, senza che sia adeguatamente spiegato che cosa debba intendersi per “ricerca e sviluppo” e senza considerare che in alcuni casi la start up potrebbe non avere somme da annotare in bilancio alla voce “ricerca e sviluppo” essendo state le relative attività svolte direttamente dai soci fondatori prima della costituzione della società?
Così come potrebbe essere riduttivo escludere dal novero delle start up innovative quelle aziende che, pur non essendo titolari o licenziatarie di alcuna delle privative industriali previste dalla normativa, abbiano basato il loro business sullo sviluppo di un software di avanguardia.
E’ auspicabile che i suddetti requisiti siano oggetto di revisione ed approfondimento da parte del legislatore in sede di emanazione della legge di conversione.
I connotati dell’innovazione, tuttavia, non sono sufficienti per completare l’identikit della start up innovativa.
La normativa attualmente in vigore richiede che la start up innovativa abbia la forma di una società di capitali residente a fini fiscali in Italia; la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria dei soci sia detenuta da persone fisiche; la società sia costituita da non più di quarantotto mesi (termine considerato congruo per la fase di lancio ed avviamento di una nuova impresa) e non nasca da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o ramo di azienda (al fine di sostenere aziende di nuova costituzione e non quelle già esistenti ed in crescita); abbia la sede principale degli affari ed interessi in Italia; il valore della produzione a partire dal secondo anno di attività non superi i 5 milioni di euro; non distribuisca e non abbia mai distribuito utili.
Per società di capitali devono intendersi anche le società a responsabilità limitata semplificate o a capitale ridotto, le società in forma cooperativa e la Societas Europeae, anche se quest’ultima forma societaria insieme anche alla società per azioni sembra lontanissima, da un punto di vista sia di struttura che funzionale, dal concetto di start up.
Non sono posti vincoli riguardo alla nazionalità o all’età dei soci fondatori, né con riferimento ai settori di attività della start up.
Per essere riconosciute come start up innovative, le società dovranno iscriversi in una sezione speciale del registro delle imprese depositando un’autocertificazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti di cui sopra. Le informazioni così depositate dovranno essere aggiornate su base semestrale. Ad oggi non ci risulta che le Camere di Commercio abbiano istituito la suddetta sezione speciale. Quindi ancora non può riconoscersi la qualifica di innovativa ad alcuna start up.
Chissà se la legge di conversione, attesa per il 19 dicembre, non apporti alcune modifiche alla normativa vigente, fornendo i chiarimenti auspicati!
Antonia Verna di Portolano Cavallo Studio Legale
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