A fine anno fioccano le analisi, le ricerche, le classifiche ed è per questo che torniamo a parlare di città digitali. E di ecosistemi di startup e capacità, delle città, di sostenerli. È stata pubblicata recentemente l’edizione 2016 dell’European Digital City Index (Edci), va subito detto che questa nuova edizione è stata aggiornata sia nel numero delle città prese in considerazione, passate da 35 a 60, sia nella metodologia applicata quindi ogni confronto con l’edizione precedente non avrebbe senso, ma non è ciò che ci interessa maggiormente (in questo testo il Nesta, che ha realizzato la ricerca, spiega nel dettaglio metodologie e criteri mettendo anche in luce le criticità dei modelli che, nonostante ciò, ci aiutano però a comprendere lo scenario). L’indice non contiene sorprese, nelle due classifiche: quella in cui si esamina il supporto alle startup e quella in cui si esamina la fertilità per le scaleup, al primo posto, ferma, solida, c’è Londra. Al secondo appare Stoccolma in entrambe le classifiche, eh sì la capitale svedese continua a crescere in modo esponenziale e la sua reputazione si consolida. Parigi è al terzo posto nella classifica scaleup, mentre è Amsterdam a occupare il terzo gradino del podio quando si tratta di startup. Berlino è sesta e settima, Helsinki e Copenaghen occupano, con piccola varianza, le altre posizioni di testa. Bene anche Madrid e Barcellona con Dublino, Monaco di Baviera, Vienna, interessante il posizionamento di Bristol che è 13esima nelle startup e 16esima nelle scaleup. Lisbona, per prendere una città che si sta dando molto da fare per conquistare un ruolo chiave nello scenario, riveste la 24esima (startup) e 29esima (scaleup) posizione. E le italiane? Beh bisogna scorrere la classifica perché in ambito startup Milano si posiziona 46esima e Roma 54esima, mentre sulle scaleup Milano guadagna una posizione, Roma no. L’indice, come detto, si concentra sull’imprenditoria digitale, è probabile che se si considerassero anche altri settori i risultati sarebbero forse diversi, ma il tema è che l’analisi sull’imprenditoria digitale, che è pervasiva in tutti i settori e abilitante anche per quelli maggiormente tradizionali, offre comunque la misura dello scenario europeo con le due principali città italiane occupare posizioni di rincalzo e con l’Europa del sud che sembra avere concentrato i suoi sforzi nelle città più grandi della penisola iberica, il resto sta tutto a nord di Alpi e Pirenei. Così da questa ricerca ci arriva una nuova conferma del messaggio che già abbiamo anticipato quando abbiamo presentato i dati sugli investimenti del 2016 resi noti nei giorni scorsi dagli Osservatori della School of management del Politecnico di Milano, il messaggio è che quando ci confrontiamo con il resto d’Europa appare in tutta la sua profondità il ritardo che il Paese ha nel sostenere l’innovazione, il digitale e l’imprenditorialità. Secondo Nesta l’Italia ha un deficit soprattutto di tipo culturale e ambientale, un deficit che nemmeno le leggi sulle startup sono riuscite a scalfire (leggi che, come abbiamo più volte scritto, vanno modificate profondamente e rapidamente). Secondo l’analisi le città italiane soffrono per mancanza di talenti, come sviluppatori software ed esperti di dati, e di competenze tecniche, cosa che può essere una conseguenza della cosiddetta ‘fuga dei cervelli’, e della lentezza con cui la transizione digitale dell’economia e della società si sta verificando, cosa che quindi tiene bassa la domanda di prodotti e servizi. Secondo gli analisti l’accesso al capitale non sembra rappresentare un grande problema, almeno a Milano, ma il mentoring di alta qualità e il supporto nelle fasi di early-stage sono ancora una risorsa scarsa, mancanza che, in particolare, intacca il processo di passaggio da startup a scaleup. Simona Bielli che lavora nel team che ha realizzato Edci in veste di research programme coordinator digital startup, enfatizza come un’altra ragione per cui l’Italia si posiziona a un livello così basso nella classifica può essere dovuta al fatto che la ricchezza e le attività di business sono meno concentrate nei grandi centri urbani rispetto a quanto per esempio avviene nel Regno Unito o in Francia dove Londra e Parigi sono chiaramente identificate come gli hub dell’innovazione ed è li che si genera la gran parte del valore e del contributo al Pil: “Personalmente credo che Milano abbiamo tutto il potenziale per emergere sulla scena europea – aggiunge Simona – grazie alle sue Università, al fatto di essere un importante centro per la finanza, per la moda, per il design, per la cultura dell’alimentazione e per il suo approccio all’innovazione. Serve però che la politica locale attui azioni chiare ed efficaci per rendere la città maggiormente startup-friendly, per aumentare le azioni di promozione internazionale e per attrarre talenti con le giuste competenze da fuori”. Certo le pubbliche amministrazioni locali non possono agire da sole, ma a Milano il tessuto sociale ed economico ha già dimostrato di volere correre verso l’innovazione e perfino le azioni di tipo istituzionale che sono state attuate stanno portando un contributo, ma ciò non è sufficiente e serve un’accelerazione che forse può avvenire mettendoci più coraggio e attuando politiche che non necessariamente siano nel solco delle leggi nazionali che hanno dimostrato di funzionare per nulla. Per le startup e le scaleup potrebbero così rivelarsi maggiormente efficaci azioni locali che fanno leva sulle specificità dei territori delle aree urbane e che mirino a lavorare su elementi altrettanto specifici, come per esempio i criteri utilizzato da Edci, al fine di migliorare in modo sistematico lungo tali parametri che possono essere quindi usati anche come guida per definire politiche e strategie e per monitorare i risultati in modo costante. Emil Abirascid
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