Per la prima volta in Italia, Otto Scharmer, professore ordinario del MIT di Boston, Presidente del Presence Institute e padre fondatore della U-Theory, un modello alternativo di apprendimento per il cambiamento, ha raccontato a “COMINCIAMO!”, evento organizzato a Sesto San Giovanni (MI) presso lo Spazio MIL (19 giugno) da PeopleRise e NaturaSì, la sua U-Theory e il vero significato della parola ‘leadership’. La U-Theory, conosciuta anche come “teoria del punto cieco”, è un modello alternativo di attuazione di una strategia, che consiste nel ribaltare completamente il punto di vista, una volta arrivati a un risultato critico, cioè ogni volta che ci trovare in difficoltà a proseguire con un determinato progetto o lavoro. Significa osservare da una diversa prospettiva il problema, esempio cliente / fornitore e fornitore / cliente, il risultato potrebbe risultare utile e positivo. “È applicabile il modello U-Theory anche in ambito startup?” “Sì. Se immaginiamo il numero delle persone che aspirano a diventare imprenditori e lo mettiamo in rapporto con il numero di imprenditori titolari di una startup con i progetti di educazione all’imprenditorialità esistenti, il modello U-Theory, è utilizzato proprio per favorire la crescita dell’individuo con un modello di riferimento che genera valore.” Al 31 dicembre 2017 in Italia, secondo l’osservatorio del ministero dell’Industria e dello sviluppo economico, oltre ottomila erano le startup innovative registrate (il dato riguarda quindi solo quelle registrate nell’apposito elenco allestito presso le camere di commercio e non la totalità delle imprese e startup che in Italia fa innovazione, ndr), un dato in crescita dell’8% rispetto all’anno precedente, nuove aziende fondate, per la gran maggioranza, da persone che non hanno avuto la possibilità, nel periodo scolastico o adolescenziale, di assistere o poter prendere parte a una iniziativa di stimolo e formazione all’autoimprenditorialità. “Quanto è importante la figura di un mentor? Ne ha mai avuto uno?” “Non ho mai considerato l’idea di avere un mentor, o meglio, non ho mai immaginato che una singola persona potesse essere per me l’unico mentor. Considero le esperienze. L’insieme delle esperienze passate con persone di valore, mi hanno permesso di migliorarmi e poter essere, a mia volta, un mentor per molti altri, in modo naturale”. Mentor e leadership hanno qualcosa in comune: l’essere persona. Perché se mentor è una parola che non è contestata, lo è di recente la parola “leadership”, che come rivelato da Otto Scharmer, anche al MIT di Boston si stanno chiedendo se è opportuno o meno cambiare il nome del loro “Mit Leadership Centre”. Ma “leadership ha un doppio significato: guidare e paura. Ed è per questo che è una parola bellissima!”. Otto Scharmer sostiene che la parola leadership debba essere letta sotto una chiave diversa, un messaggio diverso, cioè quello della paura del nuovo, di una nuova idea di impresa, di un nuovo progetto, di qualcosa di nuovo del quale non si ha una conoscenza pregressa. Una paura costruttiva e non limitante, una paura che consente di affinare i sensi per meglio comprendere il cambiamento paradigmatico in atto, una paura che aiuta a comprendere meglio le responsabilità perché un leader non solo deve sapere intuire la strada da percorrere ma anche avere la capacità di portare con se tutte le persone di valore che ritiene siano importanti per condividere il viaggio. Leadership è saper guidare al cambiamento, e non aver paura di affrontare un mondo nuovo. Contributor: Valentino Magliaro @valemagliaro
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