La tanto attesa legge di conversione del decreto-‐legge “Sviluppo-‐bis” in tema di start up innovativa è stata approvata dalla Camera dei Deputati il 13 dicembre 2012 ed è attualmente in vigore.
Lo spauracchio che il decreto legge potesse cessare di essere efficace in mancanza dell’adozione della legge di conversione nei tempi tecnici richiesti è stato fugato e siamo grati ai nostri parlamentari per l’impegno dedicato. Pensiamo che questo di per sé già costituisca un buon risultato.
Avevamo sperato che la legge di conversione apportasse modifiche più significative al decreto-‐legge, soprattutto con riferimento al concetto di innovazione ed ai parametri identificativi dello stesso. Le nostre aspettative al riguardo sono rimaste piuttosto disattese. Tuttavia, vogliamo guardare con occhi positivi al futuro e ci auguriamo che ulteriori interventi chiarificatori arrivino in sede di implementazione della normativa.
Quali sono le novità introdotte dalla legge di conversione?
1. Le novità sulla definizione di start up innovativa
La legge di conversione ha confermato tutti i requisiti previsti dal decreto legge per identificare una start up innovativa apportando poche modifiche.
-‐ Il testo del decreto legge prevedeva che la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale della start up e dei diritti di voto dei soci in assemblea fosse detenuta da persone fisiche. La legge di conversione è intervenuta sul punto disponendo che i soci persone fisiche devono detenere la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto in assemblea “al momento della costituzione e solo per i successivi ventiquattro mesi”. Quindi, dopo due anni dalla costituzione della società non è più necessario che la maggioranza dei soci sia rappresentata da persone fisiche e potranno considerarsi start up innovative anche quelle società che, nel rispetto degli altri requisiti di legge, presentino una compagine societaria rappresentata in prevalenza da investitori costituiti in forma societaria.
-‐ Il decreto legge richiedeva che una società per essere qualificata quale start up innovativa dovesse avere come oggetto sociale esclusivo “lo sviluppo, la produzione e commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico”. La legge di conversione ha integrato tale disposizione stabilendo che il suddetto oggetto sociale potrebbe non essere “esclusivo” ma anche solo “prevalente”. Tale aggiunta certamente agevola il processo identificativo delle start up consentendo di inglobare in tale categoria società che, in base alla precedente normativa, sarebbero state escluse. Tuttavia, restano i dubbi e le perplessità riguardo ai parametri ed ai requisiti identificativi dei “prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico”. Che cosa debba intendersi per “alto valore tecnologico” e come tale valore debba essere parametrato non è ancora ben chiaro.
– A norma del decreto legge, la start up innovativa doveva possedere almeno uno dei seguenti tre requisiti (come meglio specificati alla lettera h) dell’art. 25):
(i) le spese in ricerca e sviluppo devono essere uguali o superiori al 30% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione della start up innovativa;
(ii) almeno un terzo o più del terzo della forza lavoro complessiva deve essere rappresentata da personale in possesso di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto attività di ricerca certificata per almeno tre anni presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero;
(iii) la start up sia titolare o licenziataria di una privativa industriale connessa al suo oggetto sociale.
Il legislatore in sede di conversione ha ribadito la necessità che almeno uno dei suddetti tre requisiti risulti esistente, fornendo qualche indicazione in più rispetto a quanto previsto dal decreto legge. Si tratta di interventi certamente utili, anche se, a nostro parere, restano aperte alcune delle questioni sollevate da chi vuole avviare una start up in merito al contenuto ed alla scelta di tali requisiti. Precisamente:
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a) con riferimento al punto (i) sulle spese di ricerca e sviluppo, è stata prevista la riduzione dal 30 al 20% del valore minimo richiesto per tali spese; è stato precisato che nel calcolo di tali spese devono escludersi non solo le spese di acquisto di immobili ma anche quelle di locazione, mentre potranno computarsi, in aggiunta a quanto previsto dai principi contabili, “le spese relative allo sviluppo pre-competitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso”. Stando alla lettera delle nuove disposizioni, sembrerebbe volersi includere nella categoria delle spese per ricerca e sviluppo anche quelle spese sostenute (anche da soci ed amministratori) nella fase iniziale di avvio ed organizzazione della nuova attività. Da capire se e come eventualmente potrebbero rientrarvi anche le spese sostenute prima della costituzione della società.
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b) Quanto al requisito della privativa industriale di cui al punto (iii), la legge di conversione dispone che la start up possa essere non soltanto titolare o licenziataria (come previsto dal testo del decreto legge), ma anche “depositaria” di tale privativa. Questo significa che il requisito sarebbe soddisfatto anche nel caso in cui la start up abbia presentato domanda per la registrazione del brevetto, pur non conoscendone ancora l’esito.
Continua a non essere chiaro se per il soddisfacimento del requisito (di cui al punto (ii)) riguardante il titolo di studio di almeno un terzo o più del terzo della forza lavoro di una start up sia sufficiente l’impiego di personale in possesso di un qualsiasi dottorato di ricerca indipendentemente dalla materia oggetto del dottorato (ad es. è sufficiente possedere un dottorato in materie umanistiche), oppure sia necessario che il dottorato di ricerca riguardi materie concernenti l’attività di impresa, come sarebbe più corretto.
Inoltre, in mancanza di precisazioni, sembrerebbe che i soci e gli amministratori della start up siano esclusi dal calcolo della percentuale di personale e collaboratori in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa, nel caso in cui gli stessi non siano legati da rapporti di consulenza o di lavoro con la start up. Quando, invece, a nostro parere, sarebbe stato opportuno estendere i suddetti requisiti anche ai soci ed amministratori, tenuto conto del fatto che molte start up nella loro fase di avvio attività non hanno collaboratori o dipendenti, ma fanno affidamento esclusivamente sulle capacità dei propri soci fondatori o amministratori.
Sempre in tema di requisiti identificativi della start up innovativa, restano senza riposta gli interrogativi sull’opportunità di mantenere il riferimento alla Societas Europaea, quale forma societaria adottabile da una start up innovativa.
2. Le novità fiscali
La legge di conversione ha mantenuto tutti i benefici fiscali previsti dal decreto legge a favore della start up innovativa (piuttosto pochi!), di chi investe nella start up e di chi lavora per la start up, la cui applicazione è soggetta all’emanazione dei relativi decreti attuativi.
In più rispetto a quanto già previsto dal decreto legge, è stato introdotto il nuovo articolo 27-‐bis che estende alle start up innovative e agli incubatori certificati il credito di imposta (di cui all’articolo 24 del D.L. n. 83/2102) in misura pari al 35% (con limite massimo di 200.000 Euro annui per ogni singola impresa) del costo aziendale sostenuto per le assunzioni a tempo indeterminato di personale altamente qualificato, compreso quello assunto mediante contratti di apprendistato.
In linea di principio, la previsione del credito di imposta a favore delle start up innovative e degli incubatori certificati è da accogliere positivamente, soprattutto alla luce delle semplificazioni procedurali previste per usufruire di tale agevolazione (infatti, non occorre produrre la certificazione contabile del costo; sono previste modalità semplificate per la presentazione della istanza al ministero competente; è introdotto un meccanismo di preferenza per la concessione del credito di imposta in favore delle start up innovative e degli incubatori certificati rispetto alle altre imprese).
Tuttavia, ad una lettura più attenta del dato normativo, l’agevolazione in questione presenta alcuni profili critici che non possono essere sottaciuti. In primo luogo, si tratta di un beneficio fiscale ancora solo potenziale. Difatti, la normativa generale sul credito di imposta non è ad oggi efficace. A tal fine, si attende l’emanazione del decreto ministeriale attuativo di cui all’art. 24, comma 11, del D.L. n. 83/2012 (tale decreto dovrà, ad esempio, specificare il significato di “costo aziendale sostenuto” a cui va parametrato il credito di imposta; dovrà indicare le modalità semplificate, anche telematiche, di presentazione dell’istanza alla competente autorità ministeriale per l’ammissione alla fruizione del credito di imposta, ecc.).
Inoltre, il credito di imposta concesso per l’assunzione di personale assunto a tempo indeterminato (o mediante contratti di apprendistato) sembrerebbe porsi in contraddizione con la ratio delle disposizioni tese a favorire l’assunzione da parte delle start up innovative di personale dipendente a tempo determinato.
Infine, la scelta del legislatore di concedere un’ulteriore agevolazione fiscale alle start up innovative e agli incubatori certificati sotto forma di credito di imposta potrebbe risultare limitativa in un’ottica di effettiva fruizione del beneficio. Difatti, in assenza di redditi imponibili e, quindi, di effettivi debiti tributari da parte della start up innovativa o dell’incubatore certificato (scenario assai probabile nei primi esercizi sociali), il credito di imposta in questione rischia di essere un’agevolazione meramente teorica, priva di una concreta portata applicativa.
3. Le novità giuslavoristiche
La legge di conversione ha mantenuto le misure introdotte dal decreto-‐legge per agevolare l’assunzione da parte delle start up innovative di lavoratori a termine, in deroga alla ordinaria normativa sul rapporto di lavoro a tempo determinato. Le modifiche apportate risultano davvero poche e poco significative.
In particolare, l’art. 28 del decreto-‐legge aveva previsto che le ragioni di carattere tecnico, sostitutivo, organizzativo o produttivo che sono richieste per la stipulazione di contratti a termine devono presumersi sussistenti nel caso di assunzioni di lavoratori a termine da parte di start up innovative nei primi quattro anni di vita delle stesse. Il decreto legge si era limitato ad applicare la suddetta presunzione ai soli rapporti di lavoro a tempo determinato standard, cioè quelli instaurati tra il lavoratore e il datore di lavoro. La legge di conversione ha confermato tale presunzione estendendola anche ai rapporti di somministrazione a tempo determinato, ossia a quei rapporti instaurati per tramite di un’agenzia di lavoro.
A nostro parere, questa estensione non costituisce una vera e propria novella, bensì una mera precisazione che si pone in linea di continuità con i recenti provvedimenti legislativi, in primo luogo con la legge 28 giugno 2012, n. 92 (la cd. Riforma Fornero), che hanno assimilato la tipologia contrattuale del rapporto di lavoro a termine alla somministrazione a tempo determinato, in ragione delle medesime ragioni di temporaneità.
La legge di conversione ha confermato che i contratti a termine stipulati da una start up innovativa saranno soggetti ad una disciplina in parte diversa da quella ordinaria purché abbiano una durata non inferiore a sei mesi e non superiore ai 36 mesi. In aggiunta, è stato precisato che le start up innovative potranno anche stipulare contratti a tempo determinato aventi una durata minima inferiore ai sei mesi; in tal caso, si applicherà la disciplina ordinaria prevista dalla normativa vigente per i contratti a tempo determinato. A nostro parere, tale precisazione risulta superflua, in quanto era già desumibile da una lettura sistematica delle norme contenute nel decreto-‐legge.
Ulteriore novità contenuta nella legge di conversione è l’espressa esenzione dei contratti a tempo determinato e di somministrazione a tempo determinato, stipulati da start up innovative, dalle limitazioni quantitative imposte dalla normativa vigente alle altre imprese. Anche in questo caso riteniamo che non si tratti di una vera e propria novità. Tale disposizione poteva già evincersi in via interpretativa, tuttavia, l’averla esplicitata fuga ogni dubbio circa la non soggezione di tali contratti ai limiti numerici imposti dalla contrattazione collettiva di settore per finalità antielusive.
Infine, l’approvazione della legge di conversione comporta il riconoscimento alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale della possibilità di delegare anche ai propri livelli decentrati la stipulazione di contratti collettivi volti a definire i criteri per la determinazione dei minimi retributivi tabellari e le disposizioni finalizzate all’adattamento delle regole di gestione del rapporto di lavoro alle esigenze delle start up innovative. A questo riguardo, è auspicabile che i sindacati, in virtù della loro stretta vicinanza alle imprese e ai lavoratori, possano adeguare in sede di implementazione il dettato normativo alle esigenze concrete del mercato del lavoro e così aiutare la crescita del livello occupazionale.
Antonia Verna, Giuseppe Battaglia, Lucia Ceccarelli, Luca Gambini – Portolano Cavallo Studio legale
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