L’AI Act europeo e il dibattito tra norme e innovazione

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Il meraviglioso video che illustra le straordinarie capacità dell’innovativa intelligenza artificiale di Google denominata Gemini è un falso. Per stessa ammissione di Google il video che è diventato virale in pochissimo tempo e che mostra come Gemini sarebbe in grado di reagire ad immagini in movimento è stato costruito ad arte, insomma un maldestro tentativo sfociato in quello che potremmo definire come lampante esempio di intelligenza-artificiale-artificiale. L’artifizio che crea l’illusione di qualcosa che promosso come intelligenza artificiale, ha molto poco di intelligenza e troppo di artificiale, almeno in questo caso. La questione si è però compiuta: fatto il video, reso virale, scoperto l’arcano, ammesse le colpe, fine della storia, magari resta qualche danno reputazionale per Google che però la gran parte di noi dimenticherà nel giro di pochi giorni. Perché però ci interessa questo fatto, perché dimostra ancora una volta che servono regole ben chiare affinché l’innovazione possa esprimersi al meglio e senza conseguenze indesiderate. Va da sé che la questione del video è minimale, qui citata in pura funzione esemplare, se confrontata con le potenzialità dell’intelligenza artificiale, con le sue capacità di sviluppo e varietà applicative. Ecco perché servono le regole. E qui si aprono due porte: quella che dà sulla stanza dove si discute della bontà ed efficacia delle regole, e quella che invece dà sulla stanza dove si discute dell’ormai tradizionale tema che vede contrapposte le fazioni di coloro che vogliono l’innovazione a ogni costo e che sostengono che l’eccesso di regole freni li processo innovativo e di coloro che invece sostengono la necessità di norme ben chiare e definite altrimenti l’innovazione rischia di andare fuori controllo.

AI Act

Ora il tema è fondamentale quando si tratta di intelligenza artificiale anche a valle dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo e degli Stati membri del cosiddetto AI Act, di fatto il primo framework normativo al mondo che regola impieghi e applicazioni dell’AI. Del progetto si parla da mesi, ne avevamo scritto a giugno , ma solo ora dopo maratone per trovare accordi sui vari punti si è arrivati al testo definitivo. La cronaca dei fatti è riportata da molti (Euronews per esempio ), cronaca che pone enfasi sulle fatiche fatte per arrivare all’accordo, sulle limitazioni che l’AI Act pone all’uso dell’intelligenza artificiale in relazione alla lettura delle emozioni e soprattutto all’impiego di dati biometrici, con le sole eccezioni di eventi terroristici, gravi crimini, ricerca di vittime e persone scomparse a seguito di atti criminali. Limiti sono posti anche relativamente all’uso della cosiddetta polizia predittiva e dell’uso dell’AI per la sicurezza anche se rispetto al testo iniziale si è giunti a un ammorbidimento delle limitazioni anche a seguito di posizioni specifiche, come per esempio quella della Francia che sta sviluppando soluzioni basate su AI per la sicurezza e la sorveglianza da usare durante lo svolgimento dei giochi olimpici e paralimpici di Parigi in programma il prossimo anno. Le cronache continuano riportando la gioia di Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno che ha commentato l’avvenimento come momento storico, cosa che in effetti è essendo la UE la prima organizzazione governativa al mondo ad approvare un documento che regolamenta l’impiego della intelligenza artificiale. L’AI Act prevede anche sanzioni molto pesanti che possono arrivare a multe fino a 35 milioni di euro o pari al 7% del fatturato delle aziende e organizzazioni che violano la normativa e precede anche, come è naturale che sia, un continuo aggiornamento a seguito dello svilupparsi di nuove derivazioni, possibilità, applicazioni tecnologiche basate sull’intelligenza artificiale. L’approvazione dell’AI Act è inoltre atto che si innesta nel solco che la UE ha già tracciato con il Digital Service Act, il Digital Market Act, il Data Act di cui avevamo scritto qui anche in funzione dell’impatto che hanno sul lavoro delle startup .

Regole e innovazione

Chiudiamo per il momento la porta sulla stanza dove si discute il dettaglio delle normative, visto che un testo approvato ora c’è, concentriamoci sulla stanza dove le fazioni pro e contro regolamentazione si confrontano. Qui il tema è assai aperto e lo sarà per sempre: da un lato ci sono coloro che dicono che è fondamentale regolamentare, che l’Europa gioca un ruolo da leader mondiale su questo tema, l’esempio più lampante è quello del GDPR sulla tutela della privacy che ha ispirato anche altri governi del Pianeta, dall’altra ci sono invece coloro che temono che la regolamentazione rischi di diventare freno all’innovazione e faccia perdere all’Europa ulteriore terreno rispetto al resto del mondo, segnatamente USA e Cina, dove la regolamentazione non c’è e quindi è più facile innovare e sviluppare nuove tecnologie e applicazioni. È la ricerca dell’equilibrio tra maker e shaper (ne scrivemmo qui ) che sta al centro di questa questione. Il dibattito è apertissimo, da un lato c’è chi sostiene che è vero che in altri Paesi non essendoci regole stringenti l’innovazione ha la possibilità di correre più veloce, dall’altro chi invece sostiene l’importanza di dare pieno compimento a strumenti democratici e capaci di tutelare gli individui, strumenti che in altri Paesi non ci sono con le relative conseguenze. Un buon compromesso, o meglio un buon modello di approccio è quello che ha proposto Ian Hogarth, che nel frattempo è stato nominato alla guida della taskforce britannica sull’AI, come scrivemmo qui , si tratta di un modello che si ispira a quello del CERN di Ginevra, quindi la realizzazione di uno spazio definito dove condurre esperimenti senza limiti normativi, uno spazio quindi dove l’innovazione può esprimersi al massimo delle sue potenzialità, e poi verificare che quando sviluppato sia effettivamente compatibile con la società e la vita di tutti i giorni prima di renderlo disponibile sul mercato.

Startup in Europa

C’è infine un ulteriore elemento che si può aggiungere a questo quadro: la realizzazione di un quadro normativo europeo per le startup. È un elemento che si inserirebbe perfettamente nell’approccio che la UE sta avendo e che darebbe impulso all’innovazione fatta dagli imprenditori perché se è vero che le normative possono essere elemento di freno all’innovazione è anche, e soprattutto, vero che avere normative non coordinate e non omogenee come oggi è per le startup in Europa, rappresenta una moltiplicazione di tale freno. Ecco quindi che, anche in vista delle ormai prossime elezioni europee, una proposta per armonizzare il modo in cui le startup europee si sviluppano, raccolgono fondi, vanno sul mercato, potrebbe rappresentare una occasione quasi unica per dimostrare come l’aspetto normativo possa farsi efficacemente volano dell’innovazione. (Foto di Marius Oprea su Unsplash )

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