La formazione imprenditoriale serve anche a chi non fa startup

Negli ultimi decenni l’attenzione delle università alla formazione imprenditoriale è cresciuta in tutto il mondo fino a diventare una delle leve strategiche dei piani di sviluppo sostenibile tracciati dall’Unione Europea. Benché la letteratura scientifica riconosca che i benefici della formazione imprenditoriale vadano ben oltre il fare impresa, prevale ancora il diffuso stereotipo secondo cui essa sia pensata principalmente per aspiranti imprenditori. Eppure le cosiddette soft skill, quali creatività, problem-solving, pensiero critico, capacità di lavorare in gruppo, che si possono acquisire cimentandosi in attività di formazione imprenditoriale sono fondamentali in qualsiasi posizione lavorativa. Il paradigma della “education through entrepreneurship”, formulato da studiosi e formatori, suggerisce proprio che lo sperimentare e simulare processi di lancio di nuovi business sia un mezzo efficace per accrescere competenze cruciali anche per lavoratori dipendenti, in un mercato del lavoro sempre più competitivo e rapido nei mutamenti. Ne consegue che, sebbene la creazione d’impresa da parte di neo-laureati possa creare un importante contributo al sistema economico, è importante interrogarsi sugli effetti della formazione imprenditoriale su quegli studenti che non aspirano a fondare la propria impresa. La vasta letteratura sulla formazione imprenditoriale lascia ancora molti interrogativi come, per esempio, quali conseguenze ha tale formazione sulle traiettorie di carriera degli studenti? A questo tipo di domande risponde il recente articolo intitolato “Is it all about creating new firms? A broader look at the impact of the Entrepreneurial University on youth employment” sviluppato, tra gli altri, dai ricercatori dell’Università degli Studi di Bergamo Davide Hahn, Mara Brumana e Tommaso Minola e pubblicato nella rivista scientifica internazionale Studies in Higher Education. “Tipicamente alle capacità imprenditoriali si associa la gestione di piccole e giovani realtà organizzative. Eppure le abilità che cerchiamo di trasmettere nei corsi di imprenditoriali vanno ben oltre gli strumenti per creare impresa. Cerchiamo di trasmettere le capacità di identificare problemi e sviluppare soluzioni innovative in condizioni di estrema incertezza. Non è chiaro in che misura gli studenti si rendano conto della vasta portata di queste capacità. Le competenze acquisite dagli studenti dai corsi universitari contribuiscono a formare le loro aspirazioni di carriera dopo gli studi. Volevamo capire se acquisire competenze imprenditoriali rendesse più attraente il lavoro anche in una piccola impresa o in un’impresa medio-grande”, dice a Startupbusiness Davide Hahn. “Lavorando a progetti di formazione e ricerca con imprese di svariate dimensioni, ci rendiamo conto che sia le imprese più piccole che lottano per crescere che le imprese più grandi che eccellono grazie all’innovazione continua hanno bisogno di capitale umano con spiccato orientamento imprenditoriale. Capire in che modo la nostra formazione favorisca il lavoro in imprese piccole piuttosto che medio-grandi ci interessa non solo in qualità di ricercatori ma anche di educatori e membri attivi del tessuto socio-economico locale”, aggiunge Mara Brumana. Per rispondere a questi obiettivi, la ricerca si è avvalsa di uno dei più grandi database mondiali sull’imprenditorialità degli studenti universitari: il GUESSS (“Global University Entrepreneurial Spirit Students‘ Survey”). “Ogni due anni, il centro di ateneo CYFE (Center for Young and Family Enterprise) dell’Università degli Studi di Bergamo organizza a livello nazionale la raccolta dati GUESSS al fine di monitorare periodicamente la predisposizione e le attitudini imprenditoriali degli studenti universitari. Nel corso degli anni la banca dati GUESSS ci ha permesso di fornire un contributo scientifico importante allo studio del fenomeno dell’imprenditorialità giovanile” sottolinea il direttore del CYFE, Tommaso Minola.

L’apprendimento imprenditoriale serve a tutti

Studiando un campione di più di 150mila studenti provenienti da tutto il mondo, la ricerca riportata nell’articolo, rivela che l’apprendimento imprenditoriale associato all’identificazione e sfruttamento di nuove opportunità di mercato spinge gli studenti universitari a preferire l’impiego in imprese di maggiori dimensioni. “Il risultato è piuttosto sorprendente – osserva Hahn – . Da un lato la letteratura scientifica riporta il cosiddetto small firm effect, suggerendo che le organizzazioni piccole e snelle possano offrire maggiore autonomia decisionale e flessibilità a dipendenti dotati di spiccate attitudini imprenditoriale. D’altro canto, sappiamo anche che le imprese di maggiore dimensione sanno mettere a disposizione più risorse per realizzare e premiare le attitudini imprenditoriali dei propri dipendenti. Questo spiega il risultato ottenuto dalla nostra ricerca”. La ricerca descritta nell’articolo mostra anche che l’effetto dell’apprendimento imprenditoriale sull’intenzione di lavorare per una grande impresa è ancora più pronunciato per gli studenti che hanno alle spalle un business familiare. Brumana aggiunge: “Gli studenti esposti alle sfide e alle difficoltà dell’impresa di famiglia sono particolarmente consapevoli che la ridotta dimensione organizzativa può mettere un freno ai comportamenti imprenditoriali. Per costoro la piccola impresa non è certamente il contesto più appropriato per mettere a frutto l’apprendimento imprenditoriale”. In effetti, come evidenziato da un articolo dedicato al tema sono ben pochi i giovani che aspirano a rimanere nell’impresa di famiglia terminati gli studi universitari. Se da un lato i risultati dell’articolo ampliano la nostra comprensione sui possibili effetti della formazione imprenditoriale sulle carriere degli studenti universitari, dall’altro offrono alcune implicazioni chiave per il recruitment di neolaureati. Le imprese di maggiori dimensioni potrebbero prestare particolare attenzione ai neolaureati che hanno alle spalle formazione ed esperienze imprenditoriali. Questi ultimi, non solo possono contribuire all’impresa promuovendo cambiamento e innovazione, ma sono anche più entusiasti a farlo in un contesto ricco di risorse che li supporta. D’altra parte, le piccole imprese dovranno essere ancora più consapevoli della difficoltà di attrarre talenti dotati di capacità imprenditoriali. Di conseguenza, per distinguersi dovranno offrire condizioni di lavoro particolarmente premianti per i dipendenti pronti a dispiegare comportamenti imprenditoriali per la propria organizzazione. (Photo by Mikael Kristenson on Unsplash )

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