Carla Zorzo (founder di AFajolo, blogger, creativa) è la guest blogger autrice di questo breve racconto tratto dal suo blog che parla di Iubenda, la startup italiana che ha automatizzato la generazione di privacy policy per siti web risolvendo un aspetto delicato (diciamolo, una vera seccatura) di moltissime aziende online. Carla ha incontrato la parte legale del team Carlo Rossi, che ha spiegato come sia complicato in una startup come Iubenda affrontare la crescita dell’azienda e quindi del team. Iubenda è uscito dalla beta ed è online con il nuovo sito dallo scorso febbraio.
Buona lettura
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Chapter 1
Oggi in una giornata di luglio presa in prestito da Maggio, ho incontrato Carlo Rossi ai piedi del dito medio di Cattelan in piazza affari a Milano, per parlare con lui del suo recente ingresso nello schizzofrenico mondo degli startupper. Carlo infatti è un giovane avvocato milanese di successo, 30 anni, origini venete, avvocato in uno dei maggiori studi legali a livello internazionale e docente di diritto privato all’Università Bocconi, dal 2011 entrato come socio nella startup legale “Iubenda”.
Carlo mi racconta che in realtà lui non ha vissuto il processo di startup dall’inizio, infatti i primi passi sono stati mossi da Andrea Giannangelo, un 22enne (21 al tempo del lancio) con l’imprenditorialità iscritta nel primo cromosoma. Ancora studente Andrea si era cimentato nello sviluppo di diversi progetti online scontrandosi ripetutamente con la macchinosità di ottenere le varie privacy policy, obbligatorie per qualsiasi servizio online che maneggi dati personali dell’utente. Andrea intuì che la frustrazione non poteva essere solo sua; oggi creare siti e app è diventato semplice, le porte del web si sono spalancate; ma la consulenza legale rimane tutt’altro che user-friendly.
In effetti la prassi più diffusa tra gli squattrinati web developer è il famoso copia-incolla, che non sempre è seguito da un minimo di revisione e adattamento del testo alla diversa attività.
L’idea di Iubenda è semplice quanto innovativa, fornire uno strumento facile ed interattivo che permetta di adattare dei modelli pre-esistenti a delle variabili registrate, fornendo un documento più affidabile di quello che si potrebbe copiare da altri siti.
Il giovane startupper fa diversi tentativi per reperire le risorse che gli servono per realizzare il suo progetto, in primis persone e competenze, e poi ovviamente la pecunia. Al progetto si aggiunge Domenico Vele (Mimmo) un programmatore di 38 anni. La svolta quando con un pitch si aprono le porte di uno dei principali VC italiani in campo digitale.
Inizia allora una lunga fase di refining e sviluppo dell’idea per portarla ad uno stato di seed che ne consenta una stima del potenziale valore commerciale sul medio termine, elemento fondamentale per permettere al fondo d’investimento di decidere se investire o meno.
L’idea viene illustrata in poche pagine web su di un sito che è solo abbozzato, ma sul quale ci si può già registrare per essere informati del suo sviluppo. Carlo si registra ed Andrea, incuriosito a sua volta dal profilo di Carlo, non esita a contattarlo, Il primo incontro non è altro che una video call su skype tra Milano, dove lavora Carlo, e Bologna, dove vive Andrea: c’è subito intesa.
Poi da cosa nasce cosa, Carlo ha partecipato alla stesura del contratto che vedeva DPixel impegnarsi a fornire a Iubenda i fondi necessari per partire, fase piuttosto delicata della nascita di una startup incubata da VC; dopodiché la presenza di un legale nel team di startup era piuttosto vitale e Carlo ha preferito mettersi in gioco in prima persona come socio del progetto.
Chapter 2
La svolta per il progetto Iubenda è arrivata quando il pitch è stato selezionato da DPixel per il fondo di Venture Capital Digital Investment SCA SICAR, l’idea di business è stata quindi perfezionata e stimata economicamente per arrivare al finanziamento vero e proprio. Parlando con Carlo emerge il ruolo strategico che DPixel ha costituito per la nascita di Iubenda, il fondo infatti, oltre ai 100.000€ stanziati, ha contribuito con il suo network ad ampliare l’impatto mediatico dell’iniziativa e con il nome dei sui componenti, a dare quella credibilità di cui un servizio legale online non può fare a meno, soprattutto in Italia dove rimane una certa diffidenza dell’utente medio rispetto ai servizi online.
Il fatto che il team Iubenda fosse costituito da 3 persone, con 8 anni e diversi km di differenza l’uno dall’altro, mi ha intrigato molto. In fondo siamo un po’ tutti vittime dello stereotipo, amiamo immaginare le startup nascere nei garage o nelle camere da letto tra birre e nottate di lavoro ascoltando prodigy e bevendo caffè e coca cola.
E invece no, Carlo mi racconta una realtà molto più aziendale di quanto immaginassi, il successo di Iubenda sta in una precisa divisione dei compiti che permette a ciascuno di seguire autonomamente diverse aree del business, proprio come corrispondenti esterni.
Carlo mantiene inoltre il suo precedente lavoro e per lui i tempi morti sono una manna: pause pranzo, viaggi in treno, weekend sono gli spazi per portare avanti il progetto. Secondo Carlo questo è il modo più corretto di creare una startup in questo contesto storico: “l’idea di fare tutto full time in tre mesi non è immaginabile, molto meglio diluire in 12 mesi mantenendo aperti altri canali e avendo il tempo di approfondire le diverse tematiche” questo lascia il tempo fisiologico alla startup di assestarsi, crescere, senza le pressioni che un team full-time creerebbe. Questa strategia permette anche di spalmare sul lungo termine l’investimento ricevuto dal fondo: “la vera sfida è durare il più a lungo possibile, ottimizzare le spese, risparmiando su tutto. Più tempo passa, più il team si consolida, l’idea si affina e maggiori sono le possibilità di avere successo.”.
Iubenda vive inoltre un’ulteriore complessità: avere un team disomogeno ha il vantaggio di avere poche sovrapposizioni, ma rende difficile far coincidere le diverse necessità e aspettative quantificando e riconoscendo in modo “giusto” l’impegno di ciascuno: “mantenere un’omogeneità di obiettivi non è semplice, soprattutto perché questi cambiano nel tempo… ci sono situazioni familiari e ritmi di vita diversi, ciascuno deve sentire che il proprio lavoro equivale a quello degli altri, non ci devono essere trainatori e trainati e l’impegno di ognuno dev’essere giustamente riconosciuto” ne va del clima di lavoro, che è poi il motore stesso di ogni startup che si rispetti: la passione.
Una startup è una scommessa, un’investimento a fondo futuro come dice Carlo; ci si dedica tempo ed energia senza ritorni nel breve termine, l’impegno di chi ci crede è l’unica risorsa. Questo ci ha portato a discutere della sfida che Iubenda si trova ad affrontare ora, che è poi una questione piuttosto sensibile per tutte le startup: prima o poi arriva il momento in cui i ritagli di tempo non bastano più, servono nuove competenze, persone dedicate a mansioni specifiche, ma aprire a risorse esterne non è semplice. La promessa di ritorni futuri e la soddisfazione di veder crescere il progetto, non ripaga eventuali collaboratori, a meno che non si decida di aprire a nuovi soci, cosa che però rischia di far perdere coesione al progetto. Ma cosa offre una startup a dei dipendenti/collaboratori? Offre poca stabilità, mansioni poco definite e un’incertezza di fondo in quanto non c’è nessuna garanzia che il business decolli. La startup è una sfida, una partita a poker e in quanto tale ha bisogno di amanti del tappeto verde disposti a rischiare e poi a perseverare nonostante le difficoltà o gli intoppi.
Ma oggi, chi può permettersi di rischiare? Forse i giovani sono più indicati in quanto hanno meno da perdere, ma già se si avvicinano ai 30 e iniziano a progettare una famiglia, l’idea della sfida perde tutto il suo fascino. D’altro canto una startup più di altre imprese avrebbe bisogno di persone competenti ed esperte per compensare la giovane età dell’impresa stessa, ma ovviamente i benefit e le garanzie che una startup offre sono briciole rispetto alle grandi corporation o alle parcelle da consulente che potrebbero ottenere altrove. Il successo di una startup in definitiva dipende da numerose variabili: una buona idea in primis, un team capace di eseguirla al meglio, dei finanziamenti adeguati portati da finanziatori capaci, in grado di portare esperienza e competenze, una buona copertura mediatica, e infine la capacità di continuare ad attirare talenti per crescere al di là dell’impegno dei soci fondatori.
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