C’è stata la legge sulle startup, ormai stranota ai lettori di Startupbusiness, c’è stata la legge sul crowdfunding lanciata con grandi promesse perché l’Italia si poneva tra i primi Paesi al mondo nel regolamentare questo fenomeno, c’è stata, da pochissimo, la Carta dei diritti di internet, nota anche come ‘Internet bill of rights’, e ora arriva, puntuale anche la proposta di legge per regolamentare le Benefit Corporation mentre si attendono forti azioni legislative anche sul fronte della sharing economy (azioni di tipo generale perché quelle specifiche a difendere lo status quo di settori colpiti dal processo di innovazione già ci sono state). La legge sulle startup ha già mostrato la sua inefficacia, non solo non è riuscita a tradurre i propositi in risultati, ma nemmeno gli organi stessi dello Stato se ne curano troppo: i bandi regionali per le startup mai sono riservati solo a quelle definite innovative per legge, così nemmeno il nuovo fondo Invitalia Ventures alimentato da soldi pubblici si limiterà a investire, o co-investire, in startup innovative secondo la definizione di legge. Insomma una norma del tutto inutile e inefficace. La normativa sul crowdfunding for equity ha avuto l’apprezzabile risultato di uccidere questa potenziale forma di finanziamento direttamente nella culla limitando i soldi che ci si possono mettere, regolamentando all’inverosimile il processo di gestione e di decisione. Si spera solo che la recente consultazione pubblica volta a rendere tale norma più efficace produca dei risultati effettivi La Carta dei diritti di internet che – per inciso – non ha valore giuridico ma è una mera dichiarazione di intenti, è un documento del tutto teorico e il fatto che l’Italia sia il primo Paese al mondo ad adottare un documento simile forse qualche domanda la apre: perché Paesi dove internet è molto più diffusa, utilizzata, distribuita, disponibile, evoluta rispetto al nostro non si son mai posti questi problema? Forse perché i diritti sono diritti e valgono su internet come altrove e quindi non è necessario definirli in modo specifico, come se un individuo che sta su internet avesse diritti diversi da uno che su internet non ci sta. Ma è in ogni caso tutta accademia, tanto, come detto, non ha valore giuridico, ma è giusto che se ne parli e personaggi che internet la conoscono bene anche dal punto di vista del suo impatto sulla società hanno manifestato pubblicamente non poche perplessità come è per esempio hanno fatto Alfonso Fuggetta, Massimo Melica e Francesco Lanza aka Piattola. E ora la proposta di legge sulle Benefit corporation nota anche come ‘Disposizioni per la diffusione di società che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune’, primo Paese in Europa a fare questo passo, primo firmatario è il senatore del Partito democratico Mauro Del Barba. Il Ddl – consultabile qui – è fresco fresco, presentato lo scorso 23 luglio ha iniziato ora il suo iter. Le Benefit corp sono importantissime – lo abbiamo raccontato qui – e crediamo siano uno dei principali segnali del cambiamento paradigmatico che stiamo vivendo. Sono il superamento della dicotomia tra profit e no-profit, sono l’applicazione formalizzata di concetti che ogni nuova impresa già fa suoi come la positività dell’impatto sociale e ambientale (a nessuna nuova impresa oggi verrebbe in mente di sviluppare un modello di business che prevede l’inquinamento ambientale, la schiavitù o il colonialismo, tutte cose che fanno parte di un’altra epoca ma che in qualche parte del mondo e in qualche momento storico sono state perfino legali, ciò dimostra che le leggi non sono sempre e per per definizione qualcosa di buono per tutti, ma possono trasformarsi in strumenti di potere per pochi). Le Benefit corp già esistono in Italia, serve dargli una veste giuridica definita e propria affinché possano crescere e moltiplicarsi? Allora ben venga la norma, che sia però scritta e soprattutto applicata con questo spirito. A seguire il disegno di legge ci sono anche persone che le Benefit corp le hanno create e conoscono a fondo il fenomeno a livello globale e questo è un elemento che può giocare a favore della definizione di una legge che sia efficace e che, per una volta, ci permetta di poter dire che arrivare primi significa anche arrivare bene e fare da modello per gli altri. Non è sempre necessario fare leggi e normative per regolare tutto e soprattutto non è sempre utile fare leggi e norme per regolare fenomeni nascenti che invece andrebbero lasciati liberi di crescere ed eventualmente, qualora si renda necessario, normati solo quando sono più solidi e consolidati e quindi quando se ne comprende la reale potenzialità, il reale valore economico e sociale e il reale impatto sulla creazione di opportunità e valore. Per molti temi le leggi ci sono già e spesso quelle nuove non fanno altro che estendere la portata di tali leggi che però se definite e applicate senza che vi sia a priori una conoscenza ampia e approfondita dei nuovi fenomeni rischiano di fare più danno rispetto ai problemi che si propongono di risolvere. Per questo è importante che tali fenomeni prima possano crescere liberamente e poi eventualmente vengano normati. Ciò lasciando però libertà di azione e di scelta al mercato, alle imprese e ai cittadini altrimenti si rischia di cadere nella trappola dell’ansia normativa che ha più lo scopo di consolidare il potere di chi le leggi le scrive e le fa applicare, più che quello di avere leggi efficaci e capaci di portare benefici a tutti, come invece si propongo appunto di fare le Benefit corp. Emil Abirascid
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