I più recenti dati delle ultime ricerche, report e indagini di mercato riguardanti il settore dell’innovazione, continuano a evidenziare e confermare quella che sembra essere diventata una solida tendenza anche nel 2021: investire nelle startup è una delle strade per il futuro italiano. A febbraio lo ha avvalorato anche l’ultima indagine di Ernst Young in collaborazione con VC Hub Italia, EY Venture Capital Barometer 2020 – Italia . Secondo lo studio il dato che emerge sugli investimenti in venture capital nelle startup e scaleup italiane nel 2020 è positivo: 569 milioni di euro in investimenti con un incremento del +55% rispetto allo scorso anno (367 milioni di euro), un dato che di spinge a riflettere come nell’arco dell’ultimo quinquennio l’anno della covid-19 risulti essere quello con i numeri maggiori. Ecco la carrellata di dati positivi sulle startup italiane nel 2020: il trend di crescita del ticket medio di investimento registrato negli ultimi anni si è confermato nel 2020 (circa 5.1 milioni di euro) con un incremento del +144% rispetto al 2019; le startup nella fase seed sono le più ricercate dal venture capital; e si evidenzia anche una significativa crescita degli investimenti in società in fasi di vita più mature (late VC); la Lombardia, tra le regioni italiane, conferma il podio in termini di volumi investiti – dato emerso anche dal Report dell’ultimo trimestre 2020 del MISE, InfoCamere e Unioncamere (come scrivevamo qui ); il 2020 segna una maggiore attenzione da parte delle istituzioni sul panorama dell’innovazione: vedasi i diversi Dpcm e soprattutto il ruolo di CDP Venture Capital ; inoltre il ruolo che hanno avuto le grandi società italiane attraverso il corporate venture capital (CVC) ha confermato il trend in netta crescita rappresentando lo strumento di apertura all’innovazione delle realtà più consolidate. I settori dell’Health and Life Science, Food and Beverage, Software & Digital service e Transportation and Delivery hanno raccolto un numero notevole di capitali investiti, ciò benché tra i settori che si sono configurati come veri poli di attrazione per gli investimenti emerge quello del Fintech che nel 2020 in Italia è il settore che ha catalizzato maggiormente l’attenzione degli investitori con circa 173 milioni di euro complessivamente raccolti. A riguardo ricordiamo che le operazioni più rilevanti includono le seguenti aziende: Satispay con un round da 93 milioni di euro e con investitori internazionali quali Square, Tencent e Lgt Lightstone nonché Tim Ventures – è da sottolineare che questa operazione oltre a essere la principale per il mercato italiano, figura anche essere stata tra i 10 principali investimenti effettuati nel Fintech europeo nel 2020; Sardex con 5,8 milioni di euro raccolti da un gruppo di fondi guidati da CDP venture capital, Primomiglio e Innogest; Aidexa con un investimento di 45 milioni di euro dal Gruppo Generali, Banca IFIS e Banca Sella; Cortilia con 34 milioni di euro raccolti nel mese di dicembre da P101 Ventures, Primomiglio SGR, Five Seasons Ventures, Red Circle Investment ed Indaco SGR; Milkman che ha raccolto 25 milioni di euro da 360 Capital Partners, Vertis SGR, P101, Italia 500 e Poste Italiane. Ci sono stati altri settori che nel 2020 si sono finalmente distinti superando le aspettative, quali: Enterprise Software & Digital Services: si pensi ai 14 milioni di euro raccolti da Sighup, una delle rare startup in Italia a offrire un prodotto in ambito cloud infrastructure; oppure l’investimento di Boom! Imagestudio, con 6,4 milioni di euro del nuovo round guidato da United Ventures e con la partecipazione di Technogym e Wellness holding. EdTech: esempio WeSchool, dove hanno investito P101 Ventures (in qualità di lead investor), Italia500, TIM Ventures, CDP e CII2. WeSchool ha rappresentato un consolidamento strategico: il problema della digitalizzazione della scuola accentuato dalla covid-19 è stato affinato grazie al supporto e partnership con WeSchool e il MIUR. Questo settore ha avuto risvolti maggiormente positivi in governi europei più attenti, infatti a livello globale ha toccato quota 16.1 miliardi di dollari con oltre 1.500 deal da parte di fondi di venture capital. In Europa gli investimenti hanno toccato quota 800 milioni di dollari, +80% rispetto al 2019, rivelandosi uno dei mercati più impattati e in crescita del 2020. Healthcare e Life Sciences: l’Italia si attesta al primo posto per numero di investimenti, con 16 operazioni e posizionandosi al secondo posto per ammontare investito con 101,8 milioni di euro circa il 20% del totale; esempio Enthera Pharmaceuticals protagonista di un round da 28 milioni di euro con AbbVie, Sofinnova Ventures e Indaco SGR. Per riassumere: il 2020 segna operazioni con maggiore concentrazione in investimenti di realtà più mature (per esempio Satispay e Sardex) o maggior appetito da parte degli investitori in round earlystage più importanti (per esempio Aidexa), sembrerebbe rendere il nostro ecosistema così maturo da poter competere con quelli europei. A confermare i dati finora esposti e soprattutto l’ultimo punto è anche il rapporto Venture Capital Monitor (VeM) realizzato e recentemente presentato da AIFI e Liuc Università Cattaneo : «Le attività di sindacato tra venture capital, corporate venture capital e business angel hanno fatto registrare investimenti pari a 325 milioni di euro su 108 operazioni. I soli business angel hanno investito 51 milioni in 96 round. Il totale di queste attività ha portato la filiera dell’early stage a investimenti per 646 milioni spalmati su 330 round, in linea con i 650 milioni complessivi del 2019». Dallo studio emerge altro dato molto rilevante che riguarda il totale degli investimenti nel trasferimento tecnologico: dal 2018 al 2020 sono stati investiti 258 milioni di euro su 101 operazioni, ciò principalmente grazie al lancio nel 2018 dei fondi della piattaforma ITATech, con una raccolta di circa 285 milioni di euro. Nell’anno della pandemia quindi non solo non vi è stato un rallentamento dei round di investimento ma si registra una significativa crescita e in modo particolare va dato atto alle startup italiane di essersi date da fare per rispondere in modo efficace sia all’emergenza sia al repentino cambiamento del mercato. Il 63% delle startup high-tech italiane ha avviato iniziative a supporto dell’emergenza (raccolte fondi per donazioni, lancio di nuovi prodotti o servizi, rilascio di soluzioni gratuite); sono state attuate 256 iniziative del panorama startup hi-tech italiano per fronteggiare l’emergenza sanitaria, attraverso i settori più diversi (dalla digitalizzazione di processi ai servizi alle persone, dai sistemi di distanziamento allo svago, dal delivery ai dispositivi sanitari, dall’eLearning alla sanificazione degli ambienti); il 30% delle startup high-tech ha modificato il proprio modello di business durante la pandemia, nella maggioranza dei casi per rispondere a un nuovo bisogno del mercato; nelle imprese è emersa una nuova spinta alla collaborazione con le startup. Il 34% delle grandi aziende evidenzia un maggior stimolo all’Open Innovation; il 22% ha riscontrato maggiore interesse o avviato concrete collaborazioni con startup per superare l’emergenza sanitaria. Da quest’ultimo studio degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano intitolato Startup ed emergenza covid-19 emerge come la risposta alla crisi, soprattutto quando si parli di aziende di varia dimensione che hanno difficoltà nell’approcciare questo cambio generazionale nel proprio modello di business, sia stata quella della collaborazione di grandi aziende e istituzioni, anche pubbliche (da ricordare l’esempio di WeSchool), con le startup. Non può passare inosservato nemmeno il trend di una notevole presenza di imprese nei round di venture capital: complessivamente venture capital e corporate venture capital hanno investito 270 milioni su 126 round. Una tendenza questa che vale la pena valorizzare e che ci auguriamo possa proseguire anche nella ripresa. Intersecando i dati emerge che gli investitori hanno così premiato in alcuni casi le startup che hanno sviluppato soluzioni per contrastare gli effetti della pandemia, pensando prima all’interesse della comunità che al ritorno economico, e in altri le startup che hanno saputo cogliere i settori che la pandemia avrebbe accelerato nel loro sviluppo, sia perché ancora tradizionali e quindi da innovare, sia perché innovativi e quindi pronti a crescere in modo esponenziale. Giacomo Mele Photo by Aaron Munoz on Unsplash
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