Ci siamo, i dati sugli investimenti in startup relativi al 2018 iniziano ad arrivare. Gli Osservatori del Politecnico di Milano hanno presentato la loro analisi che dice, in sostanza, che si cresce e anche bene. Finalmente. Il dato tendenziale è quindi positivo e ciò è bene, anzi benissimo, il dato relativo al peso dell’Italia nel contesto dell’ecosistema europeo è però sempre troppo basso per essere considerato competitivo con Francia, Spagna per non parlare di Regno Unito e Germania come riporta per esempio l’European Venture Report di Pitchbook di cui abbiamo scritto qui e come assai probabilmente riporterà la edizione 2018 del report di Atomico che sarà presentata il 4 dicembre. Concentriamoci sui dati italiani. Lo scorso anno il report degli Osservatori stimava che il 2017 si sarebbe chiuso con investimenti totali pari a 261 milioni di euro di cui 92 milioni di euro provenienti da investitori internazionali, 89 milioni di euro da investitori informali e 80 milioni di euro da investitori formali. Dato che rappresentava una crescita, seppur debole, rispetto ai 217 milioni di euro totali del 2016.
Nel rapporto presentato giovedì scorso 29 novembre, si dice che per il 2018 si stima un valore complessivo pari a 598 milioni di euro, si parla di stime perché ovviamente l’anno non è ancora finito e per esempio il rapporto non rileva l’investimento da 18 milioni di euro in BeDimensional che infatti non è citato nemmeno tra i principali deal dell’anno in cui si inserirebbe al quarto posto per dimensione del valore. Manteniamoci sul valore di 598 milioni di euro che è diviso così: 215 milioni di euro da investitori formali, 154 milioni di euro da investitori informali e 229 milioni di euro da investitori internazionali. Questi valori vanno però confrontati non con i 261 milioni di euro che il rapporto stimava lo scorso anno per il 2017 ma con un valore superiore che, a consuntivo per il 2017 si è attestato su 331 milioni di euro totali. Insomma, e qui si pone enfasi sull’attenzione che i ricercatori del Politecnico pongono nello sviluppare il loro lavoro, i 261 milioni di euro stimati lo scorso anno sono diventati, 331 milioni di cui 107 milioni di euro da investitori formali, 98 milioni di euro da investitori informali e 126 milioni di euro da investitori internazionali. Ora fino qui sembra il gioco dei numeri ma è importante sottolineare come agli Osservatori del Politecnico facciano un lavoro di precisione e non si limitino a riportare i dati stimati l’anno precedente ma facciano i dovuti aggiustamenti che, in questo caso sono al rialzo. Volendo quindi confrontare i 331 milioni di euro del 2017 con i 598 milioni di euro (stimati) per il 2018 abbiamo una crescita di poco più dell’80%. Un bel numero. Un numero che, come detto è ancora piccolo se confrontato con quelli delle altre economie europee simili alla nostra, ma che offre un segnale di forte ottimismo e fa pensare che con una ulteriore accelerazione anche il nostro Paese possa raggiungere i livelli che merita. Se poi il prossimo anno, così come accaduto con il ritocco al rialzo delle stime 2017, vi sarà anche in quel caso un ritocco al rialzo su quelle del 2018 (considerando i 18 milioni del deal di cui sopra siamo già a 616 milioni di euro peraltro e non è escluso che da qui alla fine dell’anno si annuncino ulteriori operazioni), ancora meglio. Avere superato, e abbondantemente, la soglia psicologica del mezzo miliardo di euro è fondamentale, tendere a un consolidato 2018 prossimo ai 700 milioni di euro pure, puntare a superare il miliardo di euro nel 2019 è obiettivo tutt’altro che peregrino. Il rapporto degli Osservatori cita anche altri numeri, rileva per esempio una maggiore omogeneità tra il numero di deal di piccole dimensioni e quelli più grandi, ciò a indicare che in Italia non si fa più prevalentemente early stage, cita la provenienza degli investitori stranieri rilevando come dei 229 milioni di euro investiti nel 2018 dall’estero in startup e scaleup italiane quasi il 73% arrivi dagli Usa, poco più del 23% dall’Europa, e quasi il 4% dalla Cina, percentuale quest’ultima che è facile prevedere sia destinata a crescere significativamente in futuro. E nomina anche le exit dell’anno e qui una cosa va detta: sono quasi tutte ‘mute’. È infatti raro che all’annuncio di una exit venga anche detto il valore della stessa, i motivi sono i più vari e tutti comprensibili, c’è però da dire che dare valore alle exit, e quindi mostrare come si concretizza il ritorno per gli investitori, oltre che il valore industriale delle aziende innovative, aiuterebbe ad accrescere ulteriormente l’attenzione verso questo tipo di investimenti e di conseguenza ad aumentare la quantità di capitali destinata a questo tipo di operazioni con un effetto moltiplicatore sull’andamento tendenziale positivo. La sfida è importante e anche l’Italia sta offrendo segnali positivi sostanziali e lo deve fare anche se il contesto generale non è certo dei più positivi, è infatti bastato attendere un giorno per passare dall’euforia generata dai buoni dati sugli investimenti in startup alla prudenza generata dall’andamento del Pil che registra una contrazione (dello 0,1%) per la prima volta dal 2014 con possibile conseguenze negative dirette sugli investimenti, e della disoccupazione di nuovo in salita (nel trimestre tra agosto e ottobre si sono persi 40mila posti di lavoro), ma ciò non deve essere né un freno né una scusa perché è proprio investendo in aziende di nuova generazione che si può invertire anche la tendenza sulla crescita dell’economia e quindi dell’occupazione e in tal senso servirebbero anche maggiori fondi di genesi pubblica, maggiori di quelli previsti dalla manovra finanziaria che alloca al venture capital 90 milioni di euro per i prossimi tra anni e ulteriori 15 milioni di euro per il triennio successivo, pochini . @emilabirascid© RIPRODUZIONE RISERVATA