Intervista a Marco Cantamessa, Presidente e Amministratore Delegato di I3P

Marco Cantamessa, professore ordinario presso il dipartimento di Sistemi di produzione ed economia dell’Azienda del Politecnico di Torino, è l’attuale presidente e amministratore Delegato di I3P, l’Incubatore di Imprese Innovative del Politecnico di Torino.

I3P ( http://www.i3p.it/ ) è un incubatore, nella forma di società consortile per azioni senza fini di lucro, promosso dal Politecnico di Torino e attivo dal 1999. Il suo scopo è quello di promuovere e sostenere la creazione di nuove imprese hi-tech, in particolare facendo leva sul potenziale innovativo sviluppato nei centri di ricerca del territorio. La sua attività si inquadra nelle strategie globali del territorio piemontese volte a sostenere la ricerca, l’innovazione tecnologica e la nuova imprenditoria.

La seguente intervista è stata rilasciata durante l’edizione torinese di quest’anno dello Startup Weekend, ospitata da I3P. Lo Startup Weekend ( http://startupweekend.org/ ) è un format internazionale che permette l’incontro di aspiranti nuovi attori dell’innovazione,  dalle diverse competenze (software developer, graphics designer, business people ecc.) che si dividono in team di lavoro e, nell’arco di 54 ore, creano progetti di business credibili e sono pronti per presentarli a potenziali investitori. Startupbusiness è partner di Startup Weekend nelle edizioni di Torino e Milano.

 

Come è stata per I3P l’esperienza dello Startup Weekend?

Siamo stati molto contenti di ospitarlo. In realtà abbiamo già fatto iniziative simili in passato, ma questa credo sia una delle meglio riuscite, sia come qualità delle persone che come livello delle idee. E’ un momento importante per noi perché abbiamo intenzione a breve di aprire uno spazio di pre-incubazione per idee internet. L’idea è ancora in cantiere, ma avere già un po’ di progetti che bollono in pentola attraverso questa iniziativa ci rincuora sulla bontà dell’idea.

 

Che aspettative avevate sull’evento?

Sui numeri, avendo già avuto esperienze simili, sapevamo di doverci aspettare più o meno questa partecipazione. Rispetto al passato però ho visto, oltre a idee interessanti, ragazzi più convinti e consapevoli degli ostacoli da superare per fare impresa nell’ambito internet: questo è importante perché è sintomo che la cultura dell’innovazione sta crescendo anche dalle nostre parti.

 

Ci racconti invece qualcosa sull’I3P.

L’I3P è, per ordine di nascita, il primo incubatore italiano, essendo nato nel ’99. Ma è anche il primo dal punto di vista dei numeri: a oggi abbiamo incubato 128 aziende e il nostro deal flow si è ormai stabilizzato sulle 200 idee di imprese ogni anno, che poi diventano una 50ina di business plan, dai quali alla fine nascono una 15ina di imprese all’anno che si presentano dal notaio a costituirsi. Ciò vuol dire che, fotografando l’incubatore in qualunque momento, al suo interno si troverebbero 45/46 aziende incubate, e più o meno altrettante idee di impresa che in procinto di diventare tale.

 

Cosa offre l’I3P di Torino alle startup?

L’I3P offre alle startup innanzitutto gli spazi. Inoltre offriamo consulenza sia strategica che professionale, fondamentali per portare avanti l’impresa nelle sue fasi iniziali. Oltre all’attività di accompagnamento, fondamentale apporto di I3P è il lavoro che facciamo dal lato del networking: uno dei nostri principali obiettivi è far sì che gli imprenditori trovino finanziatori e partner che permettano di completare le risorse che già esistono nell’azienda.

Se l’azienda è fondata da un tecnico, I3P cerca il manager, e viceversa. E poi operiamo dal lato del reperimento dei capitali: lo scorso anno abbiamo tirato su investimenti in equity per 2,7 milioni di euro, e al momento abbiamo dossier aperti per altri tre milioni.

Infine aiutiamo anche nel finanziamento bancario tradizionale, anche se ci muoviamo in questa direzione solo quando l’impresa è quasi pronta a fatturare. Abbiamo partnership con le due principali banche italiane e le altre minori che ci permettono di far pervenire finanziamenti a debito dai 100mila euro in su (e a seconda dei casi siamo arrivati anche a 500mila euro), e tutto questo senza garanzie reali, fatto abbastanza inusuale in Italia: la garanzia è la nostra faccia e, da quando operiamo, abbiamo avuto 1 solo default su 50 casi.

 

Che risultati avete avuto in termini di creazione dell’occupazione da quando operate?

Le nostre imprese operano principalmente dal lato high tech e Ict, e praticamente tutte hanno il proprio baricentro nell’area torinese e piemontese (anche se qualcuna – come ha fatto per esempio Eps nel Far East – sta aprendo sedi anche all’estero). Stimiamo che il cumulato delle nostre imprese dia oggi lavoro a più di 600 persone sul territorio.

Se contiamo che abbiamo concorso alla nascita di 128 imprese, emerge subito la questione dimensionale: le nostre sono imprese piccole, e ognuna offre lavoro a più o meno 5 dipendenti.

A mio avviso ci sono tre principali assi su cui ragionare per spiegare tale fenomeno:

  • il primo è una normale media di Pareto, ovvero il fatto che qualche impresa cresce mentre qualcuna no;
  • il secondo riguarda l’anzianità delle nostre imprese, che sono imprese da poco entrate sul mercato, e che quindi presentano fisiologicamente pochi dipendenti;
  • il terzo, e a mio avviso più importante, riguarda il fatto che la dimensione occupazionale dell’impresa dipende molto dal suo modello di business; le prime imprese che abbiamo incubato erano imprese di servizio, che fanno quindi fatica a scalare, mentre quelle che abbiamo supportato negli ultimi quattro anni sono, per la maggior parte, imprese di prodotto, che scalano con molta più facilità, ma bisogna tener conto che sono anche quelle più giovani.

 

Siete contenti dei risultati che avete ottenuto?

Direi che siamo abbastanza contenti, ma non del tutto. Il nostro obiettivo è ovviamente trovare la Google del futuro, e non l’abbiamo ancora trovata; ma anche se non la trovassimo, essere riusciti nell’arco di questo periodo a costruire oltre 600 posti di lavoro, che non sono scesi durante la crisi (e questo è un dato molto importante), con un contributo pubblico ridicolo (che stimiamo costante sui 10mila euro di soldi pubblici per posto di lavoro creato, quando mediamente – per esempio per attirare la grande multinazionale, piuttosto che per riconvertire l’area industriale – si spende dieci volte tanto) è decisamente un buon risultato. Detto questo, ripeto che non saremo ancora contenti finché non avremo trovato la nostra Google, ma quanto abbiamo fatto certamente rimane.

 

C’è qualche startup che avete avviato di cui vuole raccontare qualche particolare in più?

Ve ne racconto due che si trovano oggi in due diversi stadi di maturazione.

La prima è Eps ( http://www.electrops.it/ ), azienda di prodotto operante nel settore high tech, che si occupa di generatori continui a fuel cell a idrogeno. E’ un’azienda che ha saputo mettere assieme competenze manageriali e tecniche di alto livello e inventarsi un prodotto e un mercato che ancora non esistevano. Dal 2005 a oggi ha tirato su equity per 8/9 milioni di euro, ed è riuscita a ottenere nel proprio settore la leadership a livello mondiale.

La seconda è EPoS ( http://electronpower.wordpress.com/ ), un’azienda che punta il proprio vantaggio competitivo su una forte innovazione di processo, e che si occupa della progettazione, realizzazione e vendita di utensili ed oggetti nanostrutturati massivi metastabili ad alta densità. E’ stata fondata da una coppia professionale che abbiamo forgiato noi dell’I3P, due nostri ex studenti con un background accademico complementare, uno con un dottorato in metallurgia e l’altro laureato in ingegneria gestionale, uno con la competenza tecnica e uno con quella manageriale.

Sono ancora nella fase iniziale, e l’azienda è ancora incubata presso l’I3P, ma hanno già raccolto finanziamenti iniziali per 500 mila euro, e adesso dopo un anno e mezzo stanno iniziando a produrre i primi pezzi.

 

Quali sono gli obiettivi di I3P per il futuro?

Un nostro importante obiettivo è quello di occuparci, cosa che non abbiamo ancora fatto, anche di imprese innovative nel settore internet.

Altro punto importante, e abbiamo già iniziato a farlo, è quello di andare oltre la sola fase di consulenza, ma di essere più presenti anche nella vita dell’impresa: uno dei problemi che hanno le imprese innovative in Italia è, banalmente, quello di fatturare; se vogliamo che le imprese di prodotto riescano a ottenere fatturati importanti, dobbiamo aiutarle più concretamente.

Inoltre, vorremmo anche iniziare ad aiutare maggiormente le imprese sul piano finanziario, ampliando i servizi che già offriamo. E, a oggi, siamo già in fase di elaborazione di un progetto per aumentare il supporto finanziario attraverso partnership con possibili investitori. Al momento, invece, non ci sono ancora partnership formali, ma più che altro collaborazioni di fatto: noi abbiamo contatti con tutti i fondi di venture capital e tutti i gruppi di business angel italiani, e conosciamo le loro exit strategy, loro conoscono I3P come partner affidabile e, nello scegliere i propri investimenti, tengono conto della nostra attività di pre-selezione e supporto delle idee.

Infine, altra cosa che ci preme fare è mettere il più possibile a frutto la massa critica che abbiamo: questo è un mestiere dove le dimensioni contano tantissimo, perché è fondamentale ottenere economie di scala, ma oggi sono sempre più importanti soprattutto le economie di rete, il network.

Se il compito di I3P è quello di fare matrimoni professionali, dobbiamo sfruttare i numeri che abbiamo raggiunto: per fare l’agenzia matrimoniale è difficile fare gli abbinamenti se i clienti sono solo 4 uomini e 4 donne. La nostra rete è un asset che riteniamo di dover mettere a servizio a livello nazionale (e in futuro anche a livello internazionale), di incubatori anche più piccoli del nostro: anziché tentare con scarse probabilità di scalare come abbiamo fatto noi dell’I3P (che abbiamo saputo sfruttare condizioni favorevoli – come il fatto di essere in una grande città con una buona cultura d’impresa quale Torino – che non si trovano in tutti i contesti), un piccolo incubatore si deve poter mettere in rete con noi, cosicché possa ricevere il nostro supporto e usufruire dei vantaggi di partecipare alla nostra rete e al contempo noi possiamo allargare ulteriormente il nostro network. E’ una cosa che abbiamo già iniziato a fare con gli incubatori di Aosta e Napoli, ma su questo punto stiamo lavorando per svilupparci ulteriormente.

 

Come si sta sviluppando oggi l’ecosistema dell’innovazione? Come è cambiato da quando operate?

E’ cambiato tantissimo. Noi abbiamo iniziato 11 anni fa, quando non c’era proprio la cultura dell’innovazione ma solo miraggi che venivano dall’America: se avessi chiesto di un business angel a Torino qualche anno fa probabilmente mi avrebbero mandato a cercarlo in parrocchia. Oggi invece, più o meno, tutti sanno di cosa stiamo parlando: come dicevo prima, questa maturazione la si vede anche dalla preparazione dei ragazzi che sono qui oggi per lo Startup Weekend.

Il vero problema è che questo ecosistema è oggi abbastanza fertile da far nascere delle nuove imprese ma non tanto da farle crescere. Questo, però, non è un problema dell’ecosistema dell’innovazione, ma del contesto industriale del nostro mercato nazionale che non è competitivo.

L’innovazione non si fa per motivi etici o estetici ma perché c’è una pressione competitiva che spinge a innovare. Se le imprese italiane non hanno pressione competitiva allora non avranno incentivi a innovare e se le imprese italiane non innovano ciò vuol dire che non compreranno beni e servizi dalle startup, né compreranno le startup stesse, offrendo così un’exit ai venture capitalist, e l’intero processo di innovazione risulta bloccato.

A volte mi chiedono perché ci sono poche gazzelle (imprese ad alta crescita, ndr) in Italia? La mia risposta è che le gazzelle sono nella savana, dove possono correre libere, mentre qui in Italia siamo nella giungla e nella giungla è più difficile la vita per le gazzelle.

 

Quali prospettive vede per il futuro dell’ecosistema dell’Innovazione in Italia?

Le potenzialità ci sono, ma bisogna coltivarle. Il contesto produttivo industriale italiano è un contesto abbastanza orientato alla staticità: le grandi imprese sono poche e innovano poco, le piccole e medie imprese non sentono l’esigenza di crescita. Il nostro tessuto produttivo è sintomo di un paradigma dal quale dobbiamo uscire se vogliamo far crescere e sviluppare l’innovazione.

Io penso che fondamentalmente ci sia bisogno di due cose:

  • la prima è la fondamentale necessità di una maggiore concorrenza, perché è solo la concorrenza che crea l’habitat ideale per l’innovazione;
  • la seconda è, ovviamente, la necessità di più soldi, ma questa seconda condizione non è sufficiente da sola, perché se manca la concorrenza si vanificherebbero anche gli sforzi di maggiori investimenti in innovazione e ricerca.

E’ inutile sviluppare i vari componenti di un aereo se poi non gli si permette di volare: è inutile dare finanziamenti alle imprese se poi non le si mette nelle migliori condizione di operare.

 

Qual è invece la situazione locale dell’innovazione in Piemonte?

Dal punto di vista della cultura dell’innovazione, rispetto al resto dell’Italia, il Piemonte è certamente un’isola felice: qui abbiamo trovato tanto supporto a livello locale, perché tutti gli attori imprenditoriali (che sono oggi tutti anche soci di I3P) fanno tutto ciò che possono per dare una mano a questo piccolo segmento del settore produttivo e anche se sono ancora piccoli i numeri stanno diventando sempre più interessanti.

La sensibilità c’è e sta maturando. Gli attori, sia privati sia pubblici locali dimostrano sempre maggiore attitudine a investire in innovazione, e soprattutto a farlo con intelligenza: quando dico che abbiamo tirato su 2,7 milioni di euro di equity, sicuramente siamo stati bravi noi dell’I3P, ma dall’altra parte abbiamo trovato qualcuno che questi capitali ce li ha forniti altrimenti il meccanismo non avrebbe funzionato.

D’altra parte, il Piemonte è anche più fortunato di altri contesti dal punto di vista dell’efficienza delle istituzioni (per esempio, secondo le statistiche, il sistema giudiziario civile è molto più rapido a Torino che in altre città italiane). Il problema è che, nonostante tutto, siamo in Italia. E il fattore Paese purtroppo pesa.

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