La crescente digitalizzazione nel settore del wellness e della salute rappresenta un vasto terreno fertile per innovatori capaci di creare soluzioni che soddisfino le esigenze di consumatori sempre più sofisticati e attenti alle ultime novità digitali per il monitoraggio della propria salute e del proprio benessere.
La consapevolezza dell’importanza dei legami tra alimentazione, sonno, attività fisica, salute e longevità si unisce ad una sempre maggiore autonomia dei consumatori nel gestire il proprio benessere in un contesto in cui i sistemi sanitari pubblici e privati restano orientati principalmente alla cura delle malattie anziché alla prevenzione.
I wearable sono ormai parte integrante della nostra quotidianità; hanno trasformato i nostri abiti e accessori in strumenti per migliorare le prestazioni sportive, guidare le nostre scelte alimentari e il nostro stile di vita attraverso il monitoraggio del nostro corpo e delle nostre azioni. La gestione e interpretazione dei dati attraverso l’AI, sta inoltre creando nuove entusiasmanti prospettive consentendo una sempre maggiore personalizzazione di prodotti nel settore della nutrizione, dello sport, della medicina e del benessere in generale.
Nel 2022 McKinsey stimava la spesa di prodotti e servizi legati al wellness a 450 miliardi di dollari con un incremento annuale del 5%, previsione che si sta rivelando più che reale.
Negli USA c’è un vero e proprio boom di startup legate al mercato del wellness con stime di crescita a due cifre nei segmenti della diagnostica personalizzata e del cosiddetto comparto del benessere connesso. Un mercato sicuramente affollato e competitivo ma con ampie zone di opportunità.
Tiziana Marcuccio da molti anni si occupa di investimenti e di business development, dapprima come head of investment per il governo britannico e ora, ricollocatasi negli USA, come consulente dice a Startupbusiness: “Recentemente mi sono appassionata, un po’ per interesse personale, un po’ perché vivendo in questa cultura, è inevitabile, al settore del wellness, della salute metabolica, e della longevità. Vivendo qui si è immersi nella cultura del marketing e dell’entreprenuership che pervade tutti gli ambiti della vita. I numeri del mercato del benessere e della salute, in un sistema dove la salute pubblica è una vera e propria emergenza, sono impressionanti e di conseguenza le opportunità di business. L’interesse per tutto ciò che è salute e benessere mi ha fatto incontrare Giovanni Battistini, fondatore di Phenotap, una startup giovanissima con sede a New York e con un team internazionale di altissima competenza e esperienza con il quale ho il piacere di collaborare”.
L’esperienza di Phenotap
Battistini, dopo una lunga carriera corporate nell’ambito dell’innovazione e della nutrizione, ha deciso di lasciare il suo ruolo di vicepresidente senior dell’open innovation di Ferrero e di lanciare la sua startup, individuando, in anticipo rispetto ai trend del mercato, le enormi opportunità nel settore dei wearable nell’ambito della prevenzione e della salute metabolica.
Phenotap sta collaborando con il centro dei Wearable Sensors dell’Università di San Diego per sviluppare e portare sul mercato il primo wearable non invasivo per la misura continua dello stato di chetosi del corpo. La misurazione della chetosi oggi avviene con sistemi invasivi, scomodi, spesso costosi e mai continui.
Sempre più persone negli USA seguono diete chetogeniche, studiate per i benefici nella prevenzione di malattie croniche quali il Diabete di tipo 2 e l’Alzheimer oltre che per la perdita di peso e per gli effetti sulla salute fisica e la performance mentale e sportiva.
Per comprendere le opportunità che questo mercato in crescita può offrire agli imprenditori italiani e alle startup, Startupbusiness ha intervistato Giovanni Battistini.
Giovanni, sei passato dal mondo corporate al mondo startup. Quali sono le opportunità e le sfide che una startup affronta negli USA nel mercato digital health?
La sfida maggiore, ma anche l’opportunità più interessante, è quella di individuare i modelli di business che siano compatibili con la tecnologia/innovazione che si intende portare sul mercato e con le risorse, per definizione limitate, che una startup deve gestire in modo mirato e senza sprechi. Troppo spesso ho visto, soprattutto nel settore dei wearable, delle innovazioni e tecnologie molto interessanti che tendono a rincorrere modelli di business non adatti e con aspettative irragionevoli che poi portano inevitabilmente al fallimento. È un peccato, perché il settore del bio-measurement, nel quale noi lavoriamo, ha il potenziale di innescare un impatto esponenziale sui vari sistemi complessi della nutrizione, dell’industria alimentare, e della salute pubblica. Noi pensiamo di avere individuato un’applicazione strategica e stiamo gestendo la nostra crescita in modo oculato, in modo da mantenere il controllo sulle strategie in funzione dell’avanzamento dei nostri programmi di ricerca e sviluppo ed evitare di essere distratti da investitori miopi che spesso cercano approcci apparentemente ovvi ma viziati da quella che viene chiamata qui la “FOMO” o Fear Of Missing Out. È quindi anche fondamentale la scelta di investitori iniziali che siano allineati con la strategia della startup. Nel nostro caso siamo stati fortunati a incontrare Cornucopian Capital, un gruppo di investimento venture capital completamente in sincronia con la visione di Phenotap.
Gli Stati Uniti sono noti per essere leader nell’innovazione e negli investimenti. Gli investitori americani sono tradizionalmente più propensi al rischio rispetto a quelli di altri Paesi. In Italia, sebbene ci siano stati notevoli passi avanti negli ultimi anni, è ancora difficile ottenere finanziamenti nelle fasi idi pre-seed e seed da parte di investitori professionali. Come è stata la tua esperienza in questo senso?
Gli USA hanno una cultura dell’innovazione che viene dalla loro storia, una storia di pionieri che si sono re-inventati tutto, dalla nazione, al sistema di governo, all’infrastruttura, spesso disfatta e rifatta in modo radicale, alle tante innovazioni scientifiche e tecnologiche frequentemente originate da immigrati che si sono ritrovati in un ambiente ideale per riuscire. Quello che viene solitamente considerato all’estero un lato debole e a volte un po’ ridicolo della cultura tipica degli americani, cioè l’ingenuità e a volte anche la sfrontatezza di certe azioni ritenute socialmente inaccettabili, è in realtà il frutto di una cultura di tolleranza e incoraggiamento agli errori che finisce per lasciare spazio alla creatività e al rischio necessario per cercare soluzioni nuovi a problemi esistenti e a volte anche latenti.
Non è quindi un caso che il venture capital sia nato qui prima di essere esportato un po’ in tutto il mondo. L’Italia ha fatto negli ultimi dieci anni grandi passi avanti in questo campo e vedo spesso delle realtà molto promettenti, sia a livello di ecosistema sia di imprenditori. I numeri sono ancora bassi, purtroppo, rispetto ad altre realtà europee, ma la qualità incomincia a emergere e sarebbe bello poter attirare più attenzione da parte del venture capital straniero. Le condizioni ideali ci sono: grande talento a costi relativamente bassi, termini molto favorevoli sulla proprietà intellettuale proveniente da istituti di ricerca formidabili, una creatività culturale enorme e uno stile di vita invidiabile. La cultura del rischio e la tolleranza agli errori, purtroppo, sono aspetti sui quali il sistema imprenditoriale italiano può ancora migliorare, sia sul fronte degli investitori che su quello degli imprenditori.
Il mercato dei wearable e del digital health è in espansione. Quali sono le aree di opportunità per le startup italiane?
Quello dei wearable orientati al wellness e alla prevenzione è un settore in cui il mercato americano si colloca in anticipo su molti trend dei consumatori che sono naturalmente orientati a esplorare e adottare le novità tecnologiche spesso in anticipo rispetto al resto del mondo. Molte iniziative a livello clinico/ospedaliero sono poi destinate a nascere nel privato, dove in questo momento negli Stati Uniti si sta vivendo un momento di grande trasformazione ed esplorazione perché il sistema attuale è chiaramente in ginocchio, sotto il peso della spesa di gestione delle malattie croniche, peso che può essere ridotto solo grazie alla prevenzione. Esistono però molte opportunità nel settore sanitario, nel quale l’innovazione imprenditoriale può concentrarsi sulla generazione delle efficienze necessarie per far fronte ai tagli sulla spesa e del personale. Secondo me, una strategia promettente potrebbe essere quella di concentrarsi sui problemi più critici e specifici del nostro Paese e poi esportare la soluzione. Per esempio, non dimentichiamoci che in Italia la popolazione media è invecchiata notevolmente rispetto a tanti altri Paesi e i wearable orientati al monitoraggio remoto degli anziani possono garantire parecchio valore aggiunto.
Quali step dovrebbe considerare una startup italiana interessata al mercato USA?
Il mercato USA è molto competitivo e richiede investimenti e strategie chiare, allineate con l’esecuzione. Pensare di poter affrontare questo mercato come qualsiasi altro è un errore. Un prodotto particolarmente differenziato e unico può sicuramente trovare un mercato qui e anche investitori pronti a finanziarne l’espansione, a valutazioni spesso più interessanti di quelle normalmente ottenibili in Italia, ma a condizioni che spesso richiedono il trasferimento di parte del management team e l’integrazione con executives con esperienza nel mercato americano. In molti altri casi una strategia vincente, che ho visto in azione e ho contribuito ad attuare, è quella della partnership strategica con un’azienda americana complementare, e spesso dell’acquisizione della stessa.
Quali sono le sfide per una startup italiana nel reperire finanziamenti negli USA?
L’investimento early-stage si basa di solito sulla conoscenza approfondita del management team e questo richiede spesso prossimità geografica. Purtroppo, il venture capital americano sta prestando più attenzione ad altri mercati e questo non facilita le cose. La creazione di un ecosistema vibrante dell’innovazione imprenditoriale attirerebbe inevitabilmente gli investitori, che sarebbero attratti dalla possibilità di investire in un portafoglio di startup e quindi di spalmare il rischio su più entità. Nella realtà di oggi mi sembra dunque preferibile la strategia che ho descritto precedentemente.
Come vedi il futuro del mercato wearable?
Questo è un settore ancora emergente, ma che è destinato ad avere un ruolo centrale per la salute pubblica. È oramai chiaro a tutti che le malattie croniche, la cui gestione rappresenta oggi l’86% della spesa sanitaria americana, non possano essere spesso trattate efficacemente dopo che si sono già manifestate, ma richiedono un approccio proattivo e basato sulla raccolta e l’analisi dei dati individuali che si possono ottenere da una nuova generazione di wearable. Ma perché questo mercato esploda, dobbiamo sviluppare delle tecnologie nuove, che consentano di monitorare in modo non invasivo e a costi ridotti biomarker che abbiano importanza sia per il monitoraggio medico a breve, medio e lungo termine che per l’individuo che può modificare il proprio stile di vita sulla base di questo feedback. Interagisco oramai da tempo con ricercatori e innovatori in tutto il mondo che stanno sviluppando tecnologie veramente interessanti e penso quindi che siamo solo all’inizio di una grandissima avventura, che destabilizzerà in senso positivo molti sistemi. Sono ottimista. (immagine dal sito di Phenotap.com)
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