Dal Report 2019 dell’Osservatorio Italiano sull’Influencer Marketing* emerge un trend positivo dell’influencer marketing italiano: il 60% dei brand investe nel fenomeno e si dichiara soddisfatto nel 67% dei casi. L’investimento medio dichiarato dai brand intervistati è stato di 45k per le PMI, 89k per le grandi imprese e 11.2k per le start up. Chi investe di più lo fa in attività continuative contro le attività “one shot” che però salgono del +16% rispetto al 2018: l’incremento di campagne a sé stante manifesta la volontà dei brand di iniziare a sperimentare, testando l’influencer marketing, anche se con una media di budget più bassa (43k). Ma per il successo di una campagna, numero di follower e engagement rate non bastano più, contenuti creativi e di valore diventano centrali. Il celebre mantra della comunicazione ‘content is king’ (attribuito a Bill Gates, ma già usato prima di lui da Sumner Redstone) riconquista importanza. D’altro canto, i social hanno oramai ampiamente dimostrato che spesso contenuti di bassa qualità e valore, ma che puntano alle emozioni ‘di pancia’, sono in grado di scatenare le folle: attirano commenti, sharing, follower. Che valore hanno per un brand? Sono davvero in grado di fare brand e conversion?
Dal report dell’osservatorio emerge il forte segnale che il mercato è sempre più consapevole e maturo, e ciò si riflette nell’evoluzione dei criteri di scelta degli influencer: solo il 7% degli intervistati oggi guarda all’engagement rate e il 12% ritiene che sia ancora importante il numero di follower. Al contrario i brand vogliono invece affinità ai loro valori (37%) e richiedono maggiore aderenza al target (30%), che diventano quindi gli elementi fondamentali nella scelta.
Elena Sacco, Direttore della Scuola di Comunicazione IED Milano: “La ricerca di quest’anno, molto approfondita soprattutto sulle tematiche di budget e legal, ha confermato la percezione di un mercato che si è evoluto verso l’utilizzo strategico dello strumento. I nuovi obiettivi sono la protezione dei valori del brand e la concretezza da un lato e poi la creatività e consistenza dall’altro. Questo è sicuramente il segnale di come, finalmente, la professionalità e il contenuto reale sono tornati a essere riconosciuti come la chiave del successo anche dell’influencer marketing ”.
Cresce la percezione del valore della creatività nelle attivazioni di campagne di influencer marketing da parte delle aziende: il 60% lo dichiara estremamente importante, fattore che fino all’anno scorso era considerato in coda alle priorità. È sintomo di una richiesta da parte di brand, influencer e utenti di fruire di contenuti che li rispecchino maggiormente e che siano creativi e coinvolgenti in un mercato ormai molto competitivo. Gli obiettivi principali delle attività restano l’awareness (75%) e la vendita di prodotti (48%), ma emerge anche il tema del miglioramento della reputation (52%) e l’education sul prodotto (39%).
“I dati ci mostrano un fenomeno in evoluzione in cui, progressivamente, assistiamo a un ribilanciamento delle forze in gioco. Il brand acquisisce una consapevolezza nuova delle potenzialità di questa leva di marketing, comincia a inquadrarla nel proprio sistema di relazioni con il mercato e a ricollocare il coinvolgimento dell’influencer in una logica di valore – commenta Antonella Sannella, Strategic Marketing Director & Business Partner di AKQA Italia – Si tratta di un passaggio importante in cui un fenomeno di moda, al quale occorreva in qualche modo aderire per sentirsi contemporanei, lascia il posto a un processo che promette di strutturarsi sempre più, le cui redini tornano nelle mani delle aziende. L’attenzione si sposta, quindi, sulla capacità concreta dell’influencer di costruire dei legami e dei valori all’interno della sua community, concentrandosi finalmente sulla qualità del contenuto valorizzato anche delle più recenti evoluzioni introdotte dalle principali piattaforme social”.
A questo proposito, emergono lacune conoscitive rispetto alle opportunità messe a disposizione dalle piattaforme social per accogliere e valorizzare il fenomeno dell’influencer marketing: solo il 24% di chi conosce i nuovi format è in grado di fare degli esempi concreti, e comunque in modo abbastanza approssimativo.
Se la soddisfazione resta alta per la maggioranza del campione, il 33% di insoddisfatte motiva questa scelta con indicatori legati alla performance (29%), alla mancanza di affinità con il brand (15%) o caratteristiche degli influencer riferite alla loro professionalità e autentecità (18%). Torna il tema dell’autentecità, anche quando un’azienda su dieci dichiara di essere stata vittima di frodi da parte degli influencer, con utilizzo di bot come causa principale. Meno del 50% però si tutela da queste dinamiche, dove la misura più utilizzata è quella di una clausola contrattuale con rescissione dell’accordo (34%). *Il report dell’Osservatorio Italiano sull’Influencer Marketing (avviato lo scorso anno da IED Milano e AKQA, agenzia specializzata in innovazione digitale del gruppo WPP) ha riguardato più di 200 professionisti nei comparti marketing e prodotto, digital PR e social media, oltre a top manager. Le aziende cui appartengono, operanti in diversi settori, sono attive sia a livello nazionale che internazionale, con una predominanza di PMI (51%) insieme ad alcune grandi imprese (39%), startup (7%) e organizzazioni non-profit (3%).
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