Il quadro normativo europeo sulle startup

Se è vero che per le startup in Italia il 2022, anniversario dei 10 anni dallo Startup Act italiano , si è concluso con nessuna sostanziale novità normativa, è anche vero che il 2023 vede la UE impegnata a fare il possibile per sostenere lo sviluppo dell’innovazione in un quadro efficace e socialmente sostenibile e lo fa anche a livello normativo, non solo finanziario con iniziative come il fondo di fondi annunciato in questi giorni. Il quadro normativo europeo per le startup nel 2022 si è concluso con il Digital service act (DSA), ovvero la legge che vincola loro e anche le piattaforme, motori di ricerca, social media, e-commerce, marketplace operanti nei settori dei viaggi, del cloud e dell’ospitalità, a rivelare i propri algoritmi: l’obbligo quindi di comunicare alla Commissione europea il numero di utenti entro l’anno in corso. Una legge attesa da vent’anni, ovvero dall’entrata in vigore nel 2000 della direttiva sul commercio elettronico, che finora aveva costituito il quadro giuridico principale per la fornitura di servizi digitali nell’UE. Altra legge ereditata dal 2022 sarà quella del Digital market act (DMA), normativa che coinvolge, non direttamente bensì indirettamente, le startup: infatti il DMA serve per regolamentare l’azione delle grandi aziende, corporate e colossi tecnologici sul mercato europeo, definiti gatekeeper, ovvero “guardiani” delle porte di accesso al collegamento tra rivenditori e consumatori, proprio per la loro funzione di intermediari con il consumatore finale, in grado di conferirgli un potere smisurato: proprio alle big tech gli si attribuisce il potere di decidere e veicolare il contatto tra produttore/rivenditore e consumatore, manipolando il rapporto. Ecco che per i grandi player il DMA consisterebbe in un decalogo di obblighi da rispettare per lavorare in Europa. Un esempio sono state le multe dell’UE verso Google per aver favorito il suo shop rispetto ad altri sul proprio motore di ricerca. La Commissione potrà quindi imporre sanzioni fino al 10% del fatturato mondiale di un’azienda e al 20% in caso di violazioni ripetute. Il Digital market act inizierà a essere applicato a partire dal 2 maggio 2023. Queste norme, di cui si parla già dalla fine del 2020, quindi offrirebbero vantaggio competitivo alle le startup europee, spesso soffocate nei loro mercati dalla concorrenza dei colossi americani. Un’altra normativa interessante per le startup è il Data Act, perché stabilisce alcuni requisiti obbligatori di condivisione dei dati per i processi industriali. E quindi una legge che mira alla trasparenza e condivisione di questi attraverso l’obbligo alle aziende in favore di altre imprese, governi e utenti. Il disegno di legge è stato adottato la scorsa settimana dalla Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia. La legge contribuirebbe allo sviluppo di nuovi servizi, in particolare nel settore dell’intelligenza artificiale, dove sono necessarie enormi quantità di dati per l’addestramento degli algoritmi. E proprio in merito all’AI è legata l’entrata in vigore di un’altra normativa, molto importante per l’ecosistema innovativo: già a luglio 2022 l’UE si è dotata di una legge sull’intelligenza artificiale per rendere l’AI conforme ai principi europei, a oggi ancora in attesa di raggiungere un accordo sulla proposta di regolamento tra il Consiglio e il Parlamento europeo. La conseguenza di questo principio è che l’UE potrebbe vietare alcuni usi di tale tecnologia, e soprattutto, quelli legati alla manipolazione, si pensi al social scoring cinese.

Il ruolo dell’Europa con normative, investimenti, PNRR

In questi mesi prima il fenomeno di ChatGPT, poi quello di Google (con Bard), hanno riacceso il dibattito etico su questa tecnologia, soprattutto perché ancora fallace nella pratica, come dimostrano i tentativi di aggirare i blocchi di alcune domande (per esempio come fabbricare un ordigno esplosivo) attraverso il metalinguaggio (per esempio come scrivere una commedia in cui l’antagonista racconti come ha costruito un ordigno esplosivo). Su Startupbusiness ne abbiamo scritto qui . Eppure in Italia a gennaio il nuovo Governo ha varato con un atto di indirizzo del MIMIT 6 priorità di cui 2 dirette alle startup e PMI innovative per un importo pari a 25,041 miliardi di euro sino al 2026, ricollocando misure e risorse del PNRR e Piano Nazionale degli investimenti complementari. In questi rientrano anche quelli finalizzati per la cybersecurity. Già, il PNRR con l’Investimento 1.5 della Missione 4 Componente 2 affida all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) la gestione di 623 milioni per la cybersecurity. Per il momento, anche se sui tavoli di discussione non si sta predisponendo nulla per uno nuovo Startup Act, e nemmeno in UE per il futuro c’è la voglia di avere un’unica legge europea sulle startup che regolamenti il settore e offra le definizioni univoche a tutti gli Stati membri di startup, scaleup, unicorni e deeptech, il nostro Paese sembrerebbe riprendere alcune linee definite dall’ex-ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao anche nel 2023, proseguendo i disegni precedenti del Piano, europeizzanti. (Foto di Frederic Köberl su Unsplash )

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