Mindset Tribale è un libro che parla di marketing, almeno così recita il suo sottotitolo: ‘strategie di marketing per conquistare il mercato, una tribù alla volta’. Matteo Rinaldi, che lo ha scritto in collaborazione con Luca Bertocci, entrambi fondatori di Human-Centric Group, al marketing si dedicano, ma certamente in modo un po’ insolito, e divertente, perché la cosa che si impara meglio leggendo il loro libro è il concetto di tribù, l’essenza del significato di questa modalità di aggregazione sociale che, è certamente importante per il marketing, ma è interessante conoscere anche a livello sociale e, volendo, anche antropologico. Le tribù moderne sono quelle dei surfisti, dei vegani, delle neo-mamme, dei giocatori di videogame, dei nomadi digitali e perfino degli startupper. Sono tribù non esclusive, chiunque ne sposi i valori può entrarne a fare parte e sono tribù permeabili, i membri di una tribù possono essere membri di qualsiasi altra tribù: un surfista può essere uno startupper, una neo-mamma può essere un’appassionata di moto di grossa cilindrata. C’è nel libro (edito da Franco Angeli, 188 pagine, 25 euro) non solo un’analisi del fenomeno ma anche spunti derivanti da esperienze dirette: la walk of shame dei surfisti per esempio, ci sono le storie di aziende che hanno fatto del marketing tribale il loro approccio principe al mercato, un nome su tutti: quello del colosso austriaco RedBull che ha inventato da zero tribù globali, competizioni estreme e competizioni divertenti, eroi dello sport e dell’esplorazione, tutto partendo da una bibita inventata in Tailandia, ma anche il caso del Nutella Day, dell’innovazione della grande distribuzione di Esselunga, della battaglia senza quartiere tra McDonalds e BurgerKing. Un caleidoscopio globale, sociale, culturale cavalcato e creato da aziende di ogni tipo perché le tribù vanno “conquistate una alla volta”, “vanno conosciute in modo profondo” e perché “si può diventare il brand di riferimento di una tribù già esistente” ma anche “creare delle tribù del tutto nuove attorno a un brand, a un prodotto, a un servizio”. Ci sono gli errori da non commettere, come usare nomi che nello slang della tribù hanno magari un significato non positivo, c’è la strategia e la tattica che devono essere entrambe ben affinate altrimenti si rischia l’insuccesso, c’è la consapevolezza di seguire il funnel del marketing che parte dall’awareness per arrivare alla conversion passando per la consideration, tre passaggi che servono per fare in modo che il prodotto o il marchio diventino qualcosa di conosciuto e riconosciuto, che poi vengano tenuti in considerazione come possibile orientamento all’acquisto e, infine, acquistati. Fare un errore in solo uno di questi tre passaggi rischia di essere fatale: non consolidare la reputazione, non tenere conto degli eventuali concorrenti, non rendere efficace il momento dell’acquisto nel negozio fisico o e-commerce per esempio.
Le tribù in Italia
Quali sono le tribù più interessanti in Italia? Quali sono le caratteristiche? Quali i ritmi di crescita? Quali le opportunità che offrono a chi intende sviluppare strategie per portare al loro interno nuovi prodotti, nuovi servizi nuovi brand? È l’ultimo capitolo del libro a svelarlo e non mancano le sorprese. Si parte con i giocatori di Padel, fenomeno che ha ormai raggiunto dimensioni globali e che coinvolge milioni di persone, ci sono poi i vegani che sono sempre di più e che scelgono questo approccio alimentare per motivi sempre più diversi: dalla salute alla tutela dell’ambiente, gli yogin, quindi la comunità degli appassionati di yoga, le neomamme alla prima esperienza (che è l’unica delle tribù che, purtroppo e non solo per ragioni di marketing, vive un declino numerico) , i trapper, i fan di cryptomonete e NFT, gli studenti che vanno in Erasmus e gli startupper. Molte sono tribù legate a passioni sportive o musicali o a valori specifici, l’autore dimostra di conoscere bene le dinamiche di alcune di queste tribù, va solo detto che quella degli startupper è una tribù un po’ particolare che ha dinamiche diverse essendo composta da chi fa e da chi lavora in startup, aspetto che spesso diventa per molti anni centrale nella vita di chi sceglie il percorso imprenditoriale, non è come andare a giocare a padel o a fare yoga che è una passione che difficilmente occupa una parte preponderante della giornata e non è nemmeno come fare l’Erasmus o diventare mamma che sono certamente attività primarie che spesso cambiano il modo di vedere la vita e il mondo, ma che sono temporanee, molto di più rispetto a quella di fare l’imprenditore. Inoltre, guardare alla tribù degli startupper come a un target di marketing rischia di essere difficile proprio per la natura di questa particolare community, o tribù come la definisce il libro, questo anche in termini di effettiva disponibilità di spesa, soprattutto quando la startup è nelle sue fasi iniziali. Un suggerimento, rivolto proprio a chi sta sviluppando una startup, arriva prezioso da parte degli autori: quello di tenere in considerazione una strategia che miri a conquistare una tribù, va da se che è più facile pensare a questo tipo di strategia quando di lavora a un prodotto o un servizio dedicato al mercato b2c, e alcune startup già lo fanno: si pensi a quelle che organizzano viaggi o vendono abbigliamento, a quelle che puntano sulla sostenibilità (quella vera eh, non il greenwashing) e alle foodtech che puntano tutto sui cibi sani, ma è anche possibile pensare a strategie basate sul concetto di tribù quando si hanno prodotti e servizi b2b, del resto anche nelle aziende i cambiamenti sono forti e le tensioni verso il nuovo e una nuova consapevolezza si manifestano in modo netto: si pensi alle aziende che hanno scelto di diventare società benefit o a quelle che puntano sulla mobilità elettrica o sulla manifattura additiva. Il libro si chiude con una bella intervista a Jessica Abouzeid che è marketing manager per il Medio Oriente, la Turchia e l’Africa di EssilorLuxottica, la quale, vivendo a Dubai e conoscendone la struttura sociale più tradizionale fa un interessante parallelo con il concetto di tribù tipico di quelle zone del mondo, della Penisola Araba, regalando così al lettore un ulteriore spunto di approfondimento quasi più sociologico che di marketing.
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