Se è vero che a livello di mercato innovativo l’Europa non riesce ancora a competere con quello statunitense, almeno stando ai valori degli investimenti in venture capitale e private equity benché negli ultimi anni la differenza si sia ridotta anche grazie al fatto che molti investitori USA hanno capito l’opportunità di investire in aziende europee, quando si tratta di guardare la faccenda a livello normativo il vecchio continente conferma essere un passo avanti rispetto non solo agli USA ma anche al resto del mondo, si prenda per esempio ciò che è accaduto con il nostro GDPR che è stato preso a esempio e modello da alcuni Paesi e territori quali lo Stato della California, il Brasile, l’Australia. Nei giorni scorsi la Commissione europea ha compiuto un passo avanti ancora più decisivo in questa direzione. È un fatto che in questi anni le piattaforme digitali siano riuscite a farla franca sia con l’elusione delle tassazioni sia con alcune responsabilità molto spesso a danno di competitor e consumatori/utenti, come per esempio la dipendenza psicologica, le policy ad hoc, per non parlare poi della loro incidenza nel dibattito pubblico, campagne elettorali, diffusione delle fake news ecc.
La lista dei ‘cattivi’
Ora il Digital Services Act (la legge sui servizi digitali) tenta di limitare il potere di queste big tech, delle grandi piattaforme, quelle che contano più di 45 milioni di utenti (vale a dire circa il 10% della popolazione europea), e costringerle ad avere piena consapevolezza proprio tali responsabilità nonché attuare le azioni necessarie ad adempiere alle normative. Lo scorso 25 aprile la Commissione europea ha infatti redatto un elenco di 19 servizi/siti web e aziende che dovranno mettersi in regola entro 4 mesi, essi sono: Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube, Zalando, Bing, Google Search. Il quadro normativo europeo per le startup nel 2022 si è compiuto a novembre scorso con il Digital Services Act (DSA), ovvero la legge che vincola le piattaforme digitali, motori di ricerca, social media, e-commerce, marketplace operanti nei settori dei viaggi, del cloud e dell’ospitalità, a rivelare i propri algoritmi: l’obbligo quindi di comunicare alla Commissione europea il numero di utenti entro l’anno in corso. È vero, una legge attesa da vent’anni, ovvero dall’entrata in vigore nel 2000 della direttiva sul commercio elettronico, che finora aveva costituito il quadro giuridico principale per la fornitura di servizi digitali nell’UE. Ma ora decisa, chiara e diretta: senza sconti a nessuno. Il DSA sarà applicabile a partire dal 17 febbraio del 2024 e riguarderà tutti i servizi digitali. L’UE ha stilato comunque un primo elenco dopo aver esaminato i dati che a febbraio scorso aveva richiesto a queste grandi piattaforme. Tali piattaforme avranno quindi tempo fino al prossimo febbraio per rispondere fornendo termini e condizioni più chiari, per esempio per quanto riguarda il funzionamento del dei loro algoritmi o mettere a disposizione degli utenti dei meccanismi che segnalino le fake news o che diano trasparenza, maggiori spiegazioni sulla sospensione degli account sui social. C’è poi il divieto di pubblicità mirata basata sulla profilazione di utenti minori o sulle categorie particolari come religione, etnia, orientamento sessuale, o il divieto del dark pattern, gli elementi dell’interfaccia progettati per disorientare l’utente e portarlo a compiere azioni indesiderate o a scoraggiare alcune scelte. Oltre alla scadenza del 17 febbraio 2024, è stata data quella del prossimo 25 agosto dove potrebbero già entrare in vigore le sanzioni con multe fino al 6% del fatturato annuo e, in caso di recidiva, il divieto di operare sul territorio europeo. Altro servizio che ha fatto molto clamore negli ultimi mesi, ChatGpt, al momento non rientra nell’elenco, ma ciò non vuol dire che in futuro potrebbe essere ulteriormente regolamentato, dopo che già il garante della privacy italiano ha provveduto a sollevare la questione a bloccare il servizio che è poi divenuto nuovamente disponibile a partire da ieri 28 aprile 2023 perché si è adeguato alle richieste, in tal senso la Commissione europea sta lavorando a definire l’AI Act, che è in fase di perfezionamento e già nei prossimi mesi diverrà punto di riferimento sul tema. Già a luglio 2022 l’UE si è dotata di una legge sull’intelligenza artificiale per rendere l’AI conforme ai principi europei, ma tuttora ancora in attesa di raggiungere un accordo sulla proposta di regolamento tra il Consiglio e il Parlamento europeo. Di queste e altre normative europee legate alle tecnologie innovative ne avevamo scritto in questo approfondimento. (Foto di Carl Campbell su Unsplash )
© RIPRODUZIONE RISERVATA