E’ l’ ecosistema ad adattarsi all’ ambiente circostante, non il contrario..
Sicuramente Schumpeter e i suoi neo-allievi saranno più che felici di sapere che sempre più persone ormai cominciano a convincersi che la “start-up culture” sia una ricetta eccezionale per riattivare la crescita economica di un Paese mantenendo un sorriso ben espanso sulle labbra di tutti.
Gli ecosistemi, pur rimanendo su base locale, continuano a trasferire l’ anticorpo dell’ innovazione dagli uni agli altri, e il germoglio delle new ventures fiorisce rigoglioso da Bangalore ai campi fioriti della Silicon Valley.
Ma ieri notte, occludendo per un attimo la mia vena poetico-metaforica, mi sono messo a rileggere i dati rilasciati dalla ricerca di “start-up genome”(che vi invito a leggere qui, se non l’avete già fatto) sulle caratteristiche degli ecosistemi dell’ innovazione che si sono diffusi in giro per il mondo. La ricerca è, secondo me, di grande interesse, perché è la prima a fornire una fotografia comparativa di tutti questi nuovi catalizzatori e propulsori dell’ innovazione, riuscendo a rappresentare con il giusto obiettivo, anche se non con perfette impostazioni di luci e nitidezza (che probabilmente arriveranno dopo un po’ di scatti di prova) la situazione odierna.
Tra gli altri parametri sulla base dei quali si giudica l’ efficacia di un ecosistema, mi ha colpito in particolare uno:“ Differentiation from Silicon Valley”. Il motivo per cui questo parametro più di altri ha focalizzato la mia attenzione è che esso risulta spesso sottovalutato. Così come di frequente succede in Italia su temi di carattere economico, la maggior parte delle opinioni celebrano (a ragione!) l’ efficacia di alcune pratiche straniere (quali quelle americane e tedesche soprattutto) ma non le analizzano criticamente, relazionandole a quelle del BelPaese; un po’ come, per fare un parallelismo, una start-up che inventa un nuovo social network (l’ ennesimo!), nel presentare l’ idea ad un panel di investitori parla di facebook non per spiegare in che modo si differenzierà da quest’ultimo ma come quest’ultimo sia un’ idea di successo. Perché mai allora l’ investitore non dovrebbe investire direttamente in facebook a questo punto? E allo stesso modo, perché mai un imprenditore che davvero punta al successo della sua creatura dovrebbe scegliere l’ ecosistema Italia piuttosto che la Valley, mecca delle start-up?
Alcuni attori dell’ ecosistema italiano stanno rispondendo a questa domanda perpetrando semplicemente l’idea di traghettare in massa i startupper italiani verso nuove frontiere. Io, da potenziale imprenditore, sono estremamente d’ accordo con questa visione, ma da protagonista e diffusore dell’ ecosistema vorrei che si attivassero dei meccanismi tali da fermare prima o poi questa fuga. Ricollegandomi alle prime righe di questo articolo quindi, vorrei sottolineare come uno di questi meccanismi di salvataggio risieda per me nel cominciare a pensare tutti insieme a dove il nostro ecosistema vuole andare, dove vuole posizionarsi rispetto ai propri concorrenti, come vuole delineare “its differantion from the Silicon Valley”.
Per dirla alla Porter, dobbiamo costruire il nostro vantaggio competitivo nel panorama degli ecosistemi, e dobbiamo farlo adattando il nostro ecosistema al nostro DNA.
DNA, ovvero gli aspetti che contraddistinguono il nostro Paese, quelli che ci hanno reso famosi e quelli che potenzialmente potranno farlo.. ed è a questo punto dell’ articolo che mi vengono in Mente parole come Mediterraneo, Manifatturiero, Moda, Design, Made in Italy, Meccatronica.. ma voglio fermarmi qui, per trattare questi temi nella prossima puntata, dopo aver ascoltato prima i vostri punti di vista e le vostre riflessioni sulla rotta da imprimere all’ ecosistema.
Prosit,
Mario Nargi
@tmnargi
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