I nemici del cannabusiness? Banche ed Fb, parola di startupper

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Il tema del cannabusiness lo abbiamo affrontato già in passato in relazione al mercato US, dove la liberalizzazione ha dato il via a un business ad altissimo potenziale, in cui sono spuntati come funghi startup e fondi di venture capital pronti a sfruttare tutte le opportunità. Nel 2017 3,5 miliardi di dollari sono stati investiti nel cannabusiness a livello mondiale. Riporta il sito Dolce Vita , che gli Stati Uniti attualmente detengono il 90% delle vendite globali di cannabis, ma la loro quota scenderà al 57% entro il 2021. Ciò è in gran parte dovuto ai piani del Canada di legalizzare la marijuana ricreativa entro luglio 2018. Nel frattempo, i paesi in America Latina e in Europa stanno adottando sempre più leggi che autorizzano l’uso medico della cannabis. 

Secondo l’European Cannabis Report (ECR) se ogni paese europeo legalizzasse la cannabis il mercato della cannabis in Europa da solo varrebbe 65,4 miliardi di dollari. Una cifra enorme se si pensa che nessun paese europeo ad oggi abbia varato una completa legalizzazione. Brightfield prevede che il solo mercato spagnolo della marijuana ricreativa arriverà ad un valore di quasi 206 milioni di dollari entro il 2021. Anche in Italia, da qualche tempo (2016) , c’è stata un’accelerazione: in tutta la penisola sono presenti circa 400 negozi, localizzati soprattutto nelle grandi città ( a Milano sono oltre 60), spesso sono catene di franchising, in particolare i cosiddetti growshop, categoria all’interno della quale rientrano diverse tipologie di negozio: gli headshop (articoli per fumatori, ovvero accendini, posacenere, cartine, cilum, narghilè, bong e vaporizzatori), gli hempshop (articoli e prodotti riguardanti la canapa o derivati-realizzati con la stessa, abbigliamento, cosmetica, alimenti, libri, riviste, dvd), gli smartshop (vendita di sostanze psicoattive legali come integratori o composti di origine naturale e sintetica) e i seedshop (vendita di semi di cannabis a scopo collezionistico). Ma adesso c’è anche la cannabis light.

La startup Cannabeasy

Diciamo che le premesse per l’esplosione anche in Italia di un florido mercato legato alla cannabis ci sono tutte e adesso che è stato in un certo senso sdoganato il suo uso ricreativo, la strada è spianata. Anche se non quanto sembra, poiché a parte le questioni morali sull’argomento che ancora aleggiano, da un punto di vista del business vero e proprio non è tanto l’improvvisa nascita di imprese, quindi l’alta competizione, a essere un problema. E’ piuttosto l’atteggiamento di banche e di Fabeook, come ci ha detto Francesco Albano, founder di Cannabeasy, una esordiente piattaforma multi-marca che permette agli utenti di acquistare Cannabis Sativa L. e riceverla comodamente a casa in meno di un’ora, in poche parole è un delivery di cannabis. “Gli ostacoli principali che ho avuto legati al settore sono state due: le banche che per motivi etici non accettano conti bancari o transazioni elettroniche da società che operano in questo settore; e Facebook che blocca tutta la pubblicità inerente.” Romano di origini, Francesco vive da 7 anni a Milano, dove è arrivato per studiare prima al Politecnico (laurea triennale in ingegneria gestionale), poi Laurea magistrale alla Liuc e ora per lavorare in una multinazionale della consulenza. “Ma ho sempre desiderato fare startup. Ci riuscirò?” dice. Francesco, come ti è venuta l’idea di buttarti nel settore? “Periodicamente, almeno una volta ogni due mesi, penso e abbozzo qualche business per capire se esistono potenzialità. Questo mi porta ad uno studio relativamente approfondito dell’argomento. Circa tre anni fa stavo analizzando il mercato della cannabis farmaceutica e le relative problematiche, come ad esempio la difficoltà nel reperirla. Quindi col recente boom riguardo alla canapa ho recuperato mentalmente le informazioni in mio possesso e ho deciso che si poteva fare qualcosa.” Attualmente Francesco è socio ed amministratore unico di Cannabeasy SRL, ma – dice – sicuramente più avanti ci sarà l’ingresso di nuovi soci, per competenze e/o per capitali. Cosa ne pensi delle nuove disposizioni legislative? La circolare del ministero per le politiche agricole chiarisce alcuni punti della legge del 2 dicembre del 2016. La parte più interessante è l’identificazione delle inflorescenze, che prima non erano mai state citate. Questo fa sperare che il business della cannabis light, nato per un “buco burocratico”, non sia smantellato ma anzi regolamentato. Ovviamente io spero che le regole siano meno restrittive a beneficio di tutti. Come funziona la tua attività?  Inizialmente avevo intenzione di fare picking nei negozi, ma gli orari di apertura non corrispondevano al mio modello di business. Questo mi ha portato a creare un magazzino (per ora esiguo) con diversi prodotti. I fornitori attuali sono due, ma è previsto un aumento sia per quanto riguarda i brand, sia per la varietà di prodotti forniti. Sei uno dei primi in Italia, che aspettative hai a livello di business? È un mercato grande ed inesplorato. Torino, Milano, Roma e Firenze sicuramente hanno dei player già attivi, ma penso che in questa fase non ci sia una vera competizione, soprattutto perché bisogna “educare” le persone che hanno ricevuto per anni messaggi di proibizionismo della canapa. (si parla di cannabis e non marijuana, la prima ha un basso tenore di THC, la seconda al contrario ha valori alti 5%-30%) Sicuramente il mio obiettivo è “approdare” su altre città.  

Le disposizioni di legge

Nel 2016 nel nostro ordinamento è stata introdotta la legge 2 dicembre 2016, n. 242 “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.”  Tale disposizione ha inteso accogliere le proprietà benefiche del vegetale e ha pertanto regolamentato il settore della filiera di produzione di canapa e dei suoi derivati per diversi dall’uso come sostanza ‘stupefacente’ cioè destinata all’intrattenimento. Per uso terapeutico già da tempo il nostro ordinamento ha reso legale l’utilizzo di estratti di cannabis in alcune preparazioni magistrali e farmaci, tanto è vero che per evitare di importare tali sostanze dal 2016, il nostro Paese ha avviato una produzione nazionale di cannabis per uso medico presso lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze (SCFM), grazie alla collaborazione tra il Ministero della salute e il Ministero della difesa, in modo da garantire l’accesso a tali terapie a costi adeguati e in modo sicuro. La legge del 2016 aveva introdotto alcune importanti novità, specialmente volte a sostenere lo sviluppo in agricoltura della coltivazione della canapa. Si ha finalmente un quadro legislativo che può valorizzare le caratteristiche distintive della canapa in Italia, – aveva detto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo –dove si sta verificando una rapida diffusione della coltivazione dalla Puglia al Piemonte, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Lombardia, Friuli, Sicilia e Sardegna”. Gli fa eco il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, secondo il quale: “Per l’Italia si apre la strada per recuperare la leadership del passato”. All’inizio del 1900, prima dell’avvento del proibizionismo, in Italia si coltivavano più di 100mila ettari di canapa, nel 2015 erano poco più di 3mila. La canapa ha qualità che possono essere sfruttate in diversi settori compreso quello ambientale, dove è un’arma naturale contro l’inquinamento.  Con la  legge 2016 si è eliminato l’obbligo di autorizzazione per la semina di varietà di canapa certificate con contenuto di THC al massimo dello 0,2%; si è stabilito che la percentuale di THC (tetraidrocannabidiolo, uno dei principali principi attivi della cannabis)  nelle piante potrà oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. La legge aveva lasciato aperto il problema della percentuale di THC massima ammessa per canapa ad uso alimentare e cosmetico, dubbio che con la nuova circolare è stato chiarito debba essere 0,2% con tolleranza fino allo 0.6%. Ma la vera novità della nuova circolare è aver introdotto le infiorescenze, cioè la parte della canapa più utilizzata per l’uso ricreativo, purché rispetti gli stessi limiti di THC. E’ la cosiddetta cannabis light, quella che può determinare un ulteriore grande giro d’affari e in cui già esistono in Italia diversi business online e offline, ad esempio Easyjoint, PonyWeed, Ganesh CBD, Mary Moonlight, ecc.  

 

 

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