Nel bellissimo “Growth Hacking Mindset”, Raffaele Gaito spiega le origini del Growth Hacking. Un approccio che ha molto in comune con l’Agile Development, il Design Thinking e soprattutto con il Lean Startup.
Somiglianze tra Growth Hacking e Lean Startup
In particolare, Lean Startup e Growth Hacking sono metodologie accumunate da 3 elementi: 1. L’ideazione di ipotesi di lavoro 2. I’importanza dell’esperimento per validare le idee 3. L’approccio “data driven” per prendere decisioni Più nel dettaglio, entrambi gli approcci sono basati su un ciclo produttivo/iterativo che prevede l’ideazione di un MVP (Minimum Viable Product) o di un MVE (Minimum Viable Experiment) che deve essere testato/validato direttamente sul campo, in particolare interagendo con clienti e potenziali clienti. Segue a questa fase, la misurazione dei risultati per verificare se l’idea/progetto in fase di test genera risultati consistenti a cui segue infine la validazione del prodotto o del canale di acquisizione.
Differenze tra Growth Hacking e Lean Startup
Insieme alle somiglianze, ci sono anche differenze. La più ovvia è che l’approccio “Lean” è tendenzialmente finalizzato a verificare l’ipotesi di business, mentre il Growth Hacking” è più orientato a validare “la” o “le” ipotesi di crescita. Ovvero i canali attraverso cui generare una crescita scalabile. Ma ci sono altre differenze. Ci aiuta a individuarle la Piramide di Crescita di Sean Ellis, padre ispiratore del “Growth Hacking”. Secondo Sean Ellis ci sono 3 fasi di crescita di una startup: 1. La fase del “product market fit” 2. La transizione della “crescita” 3. La crescita La fase “Product Market Fit” viene raggiunta quando il prodotto/servizio realizzato si dimostra in grado di risolvere efficacemente il problema del segmento di mercato individuato. Secondo Steve Blank puoi dire di avere raggiunto questo risultato se hai almeno un gruppo di clienti lieto di pagare per poter utilizzare il servizio (e che “rinnovano” più e più volte la fiducia nel prodotto, aggiungo io). Questa è la fase in cui valgono specificamente le indicazioni del “Lean Startup”. Ovvero, il team deve isolare l’ipotesi fondante alla base dell’idea di business, ideare il “minimum viable product” e testarlo sul mercato, modificandolo sulla base delle reazioni del mercato, fino ad avere chiara ed evidente la consapevolezza di avere raggiunto il “Product Market Fit”. La fase di transizione della crescita è quella in cui vengono attivati canali e strumenti per crescere e aumentare i clienti. E’ specificamente la fase della sperimentazione. Se prima non si sapeva se si stava risolvendo un problema. Ora non si sa quanto è grande e come raggiungere un grande numero di clienti. E’ questa la fase del “Growth Hacking”. In cui il team di crescita crea un backlog di idee di crescita e testa rapidamente le più interessanti per individuare canali di crescita “sensati” e potenzialmente “scalabili”. Sean Ellis ci ricorda che una delle cause di fallimento è la crescita prematura di una startup che non ha raggiunto la fase di product market. In pratica invertendo la piramide si perde stabilità e si rischia di crollare su se stessi. La terza fase è quella in cui la startup non è più una startup, ma è diventata un’azienda a tutti gli effetti, con il vantaggio rispetto alle aziende “normali” di avere un modello di business scalabile. In pratica il Metodo Lean e il Growth Hacking condividono lo stesso mindset, per dirla con Raffaele Gaito. Ma operano su due fasi di crescita differenti. Buona crescita
Pierluigi Casolari – Startupper, Imprenditore seriale, CEO di YoAgents
https://about.me/piercasolari linkedin.com/in/pierluigicasolari
© RIPRODUZIONE RISERVATA