Come NON diventare partner di Google+, il caso PostPickr

Questa vicenda comincia nel 2014, con protagonisti una piccola startup italiana e Google ed è una vicenda che si configura nel solco delle riflessioni che abbiamo fatto quando abbiamo parlato della fine dell’era delle startup, a proposito del fatto che i giganti della tecnologia si mangiano le startup, o meglio si mangiano le opportunità per le startup di svilupparsi e crescere. Ma torniamo al 2014. Tre professionisti pugliesi hanno da poco lanciato sul mercato la versione beta di PostPickr (startup di cui abbiamo scritto qui)  un’applicazione che aiuta professionisti, brand e organizzazioni a utilizzare i social media per fare attività di marketing e comunicazione. Ecco come ci raccontano la storia. Il segmento è già presidiato da prodotti maturi, sviluppati da importanti player internazionali, ma la startup si lancia comunque nella sfida, scommettendo su due opportunità competitive: essere i primi nel mercato italiano a offrire un prodotto con assistenza e supporto in lingua; sviluppare una soluzione innovativa rispetto ai prodotti esistenti, con un inedito approccio editoriale alla gestione dei social media. I primi riscontri sono incoraggianti, e l’applicazione continua a evolversi ampliando le sue funzionalità. Dopo aver integrato senza intoppi Facebook, Twitter e LinkedIn, la startup si rivolge a Google per ottenere la gestione delle pagine GooglePlus (G+), funzionalità già offerta dai tool concorrenti e invocata dagli utilizzatori di PostPickr. Quella che doveva essere una banale procedura di routine, si trasforma inaspettatamente in una sequela di contraddizioni, opacità e silenzi che perdura ancora, a distanza di oltre tre anni. In sostanza, l’accesso alla gestione delle Pagine G+ è subordinato a una valutazione della candidatura che Google dichiara di eseguire azienda per azienda.   startup with google Il problema è che tale valutazione si basa sulla conformità a requisiti e linee guida che, misteriosamente, non è dato di conoscere a priori. Inoltre, Google avvisa che risponderà solo in caso di esito positivo, senza fornire una stima dei tempi di risposta e invitando candidamente, nell’attesa, a non riapplicare.   Insomma, una versione 2.0 del classico “non si disturbi, le faremo sapere noi”, che per PostPickr ha significato vivere in un limbo per più di tre anni, nonostante i ripetuti tentativi di ottenere risposte dai canali di assistenza ufficiali. Trattamento che però non è lo stesso riservato ad altri competitor, anch’essi esordienti, che vedono invece accettate le loro istanze probabilmente perché operanti in mercati (russo e indiano) più grandi ed appetibili di quello italiano. Qualunque siano i criteri con cui Google sceglie i suoi partner, non è mai stata nostra intenzione discuterne la legittimità, ciò nonostante, ci sembra altrettanto legittimo chiedere che tali criteri vengano resi noti, risparmiando a chi si candida false illusioni e costose perdite di tempo. Vogliamo solo poter competere in un contesto in cui le regole siano chiare e uguali per tutti, indipendentemente dalla dimensione aziendale o dal mercato di riferimento.   In questo scenario, l’assenza di G+ continua a rappresentare per PostPickr un ostacolo alla crescita, poiché una percentuale importante di clienti dichiara di non poter adottare l’applicazione proprio a causa di questa mancanza. L’intera vicenda è documentata sul blog di PostPickr, mentre su Twitter, insieme alla comunità di utilizzatori, è stato lanciato un pubblico appello a Google Italia affinché risponda finalmente alle istanze di trasparenza e di pari opportunità. Fino a qui la storia come raccontata dai fondatori di PostPickr che riportano nelle loro pagine tutti i dettagli, naturalmente queste colonne restano a disposizione anche di Google qualora volesse raccontare questa storia dal suo punto di vista.

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