Continua la nostra narrazione nel mercato della moda e delle startup fashion tech. Stavolta abbiamo voluto sentire il padre del primo unicorno italiano: Federico Marchetti, fondatore di YOOX e oggi presidente della Task Force Sustainable Markets Initiative (SMI) voluta da re Carlo III d’Inghilterra. Il mercato della moda è un settore tradizionalmente low tech, difficilmente penetrabile da nuovi brand, soprattutto nel contesto italiano. Eppure oggi si trovano tantissime innovazioni in numerosi brand finalmente entusiasti di adottare le nuove tecnologie emergenti: dalla realtà aumentata all’IA, fino a rivoluzionare i materiali e la catena di produzione optando per scelte sostenibili. Insomma, nella moda non manca né la transizione tecnologica né ecologica. A oggi il settore del fashion tech è in espansione: gli investimenti hanno registrato un incremento del 18% annuo, passando dai cinque miliardi di dollari del 2016 ai 41,7 miliardi nel 2022, e sicuramente il 2023 vedrà un loro raddoppio (CDP). Il settore sta permettendo una continua innovazione che renderà il sistema della moda più sostenibile, più aperto e allo stesso tempo più accessibile ai nuovi brand. I brand della moda oggi guardano con maggior interesse le startup fashion per rimanere competitive sul mercato. Ma in Italia si può ammettere che moda e tecnologia, digitale, prima dell’avvento di YOOX, erano due pianeti non allineati. Agli inizi del 2000 nessun brand guardava a internet se non come una semplice “locandina”, un sito informativo, anziché vetrina; nessun brand disponeva infatti di un e-commerce. Poi l’idea di Federico Marchetti: YOOX, il primo e-commerce italiano per prodotti di moda, lusso e design. La storia del primo unicorno italiano oramai è risaputa. Ma anche come si avvia una startup è divenuto roba da catechismo: il problema semmai è farla durare e diventare un unicorno. Per questo chiedere come prima cosa direttamente al fondatore di YOOX l’ingrediente segreto, le caratteristiche che potrebbe consigliare a uno startupper alle prime armi che si avvia nel settore della moda con la sua attività, ci è sembrato il punto di partenza, quel rompere il ghiaccio e “accendere” l’intervista: «Consiglierei di puntare sull’innovazione green. Ho tenuto due anni fa un corso all’Università Bocconi, la mia Alma Mater che ho intitolato Creating a startup in the digital and sustainable economy, spiegando alle studentesse e agli studenti che la difesa dell’ambiente sarà una delle priorità da cui non si potrà più prescindere e che se lavoreranno in quest’ambito saranno in grado anche di trovare dei finanziamenti. Oggi i grandi fondi hanno molti soldi da investire nella green economy e sono affamati di idee realizzabili. Stiamo parlando di centinaia di miliardi di dollari in opportunità di mercato in sviluppo sostenibile entro il 2030. Il finanziamento da venture capital in sostenibilità e tecnologia è quasi triplicato dal 2015». Sì, ma in questo periodo il mercato è in contrazione. Anche gli ultimi dati del venture capital lo dimostrano. Uno degli effetti dovuti alle nuove vicende che hanno colpito l’Uomo e che in questi soli ultimi cinque anni lo hanno fatto fermare e ripensare al suo stile di vita e impronta sul pianeta. Se guardiamo a YOOX dal 2000 al 2015 prima della M&A con il competitor inglese avvenuta nel 2014 (Net- A-Porter), YOOX ha però avuto due momenti importanti: qui non mi riferisco all’IPO, ma a un momento precedente: all’ingresso di un grande venture capital come Benchmark Capital, che fino ad allora non aveva mai investito in Italia. Il problema che sta creando la contrazione del mercato riguarda proprio anche gli LP, scoraggiati a investire nel 2024 in fondi VC, anche a livello europeo e americano. Si presuppone che a loro volta anche i fondi non investiranno se non in aziende già profittevoli. Ecco, quanto possono essere importanti oggi gli investitori internazionali per le startup e VC italiano nel competere con gli altri Paesi? Quale strategia secondo la sua esperienza e competenza suggerirebbe per affrontare questo scenario?
«Gli investitori internazionali sono fondamentali per una startup. Senza un adeguato finanziamento anche l’idea migliore stenta a decollare, a prendere corpo, e uscire dai confini per diventare un’azienda di successo. All’estero si parla di cifre importanti che spesso in Italia sono difficili da raggiungere ma comunque anche in tempi di ristrettezze se la proposta è interessante, se ha delle basi solide e un business plan solido e credibile può trovare chi le dà credito. È però fondamentale mettere a punto un progetto originale, innovativo, che sia utile ai potenziali clienti e che ragioni in termini di servizio. Può essere anche un progetto sociale, non si deve sempre e solo pensare a startup legate al mondo della finanza o al digitale puro. I servizi sono una prateria in crescita». Allora, come il settore del fashion guarda a questo periodo di forte inflazione e innalzamento dei tassi, peggiorato nondimeno dai diversi conflitti prima in Ucraina poi in Medio-Oriente e quali “strade” nuove si potrebbero percorrere? Quella di prodotti o servizi sostenibili sarebbe l’unica? Oppure nuove frontiere e opportunità, come per esempio l’AI? «Io ho sempre pensato che la tecnologia sia, e soprattutto sarà, la nostra miglior alleata, ma la tecnologia è un mezzo non un fine. Io per esempio in questo momento la ritengo indispensabile per un percorso verso una produzione moda più sostenibile. L’AI, ma non solo, anche la ricerca e gli studi sulla creazione di materiali green, sui processi di produzione e distribuzione faranno la differenza. Con la Fashion Task che presiedo all’interno della Sustainable Markets Initiative voluta da Re Carlo III abbiamo già messo in atto dei progetti molto concreti che riguardano il passaporto digitale e la moda rigenerativa. Il passaporto digitale che molti marchi della Task Force hanno già adottato, e di cui ormai tutti parlano, consente di tracciare il percorso di un capo, da quando è stato creato fino a quando si rompe, va riparato e rivenduto. È uno strumento potentissimo in mano ai clienti che sceglieranno di acquistare o meno un capo leggendone la storia. La moda rigenerativa significa spostarsi a monte della filiera per adottare processi e metodi innovativi come nuove tecniche di coltivazione, nuovi strumenti per l’irrigazione, e applicare principi di biodiversità per il recupero di un terreno depauperato dalle colture intensive e dai fertilizzanti chimici. Significa andare lì dove nasce il processo della moda per produrre materiali rigenerati e organici garantendo un lavoro dignitoso ed equamente retribuito alle popolazioni locali».Sostenibilità e innovazione
Spostiamoci e guardiamo anche il bicchiere mezzo pieno: da chi investe a chi crea. Oggi in Italia ci sono tantissime opportunità, tra incentivi, agevolazioni e finanziamenti a fondo perduto per quanto riguarda l’imprenditoria giovanile. Un contesto assai diverso da quello del ’99 come fu per YOOX. Ecco, forse un giovane che vuole fare l’imprenditore in Italia oggi trova più competizione tra i suoi coetanei rispetto a venti anni fa. Dovrà avere quindi delle doti, skill, caratteristiche tali da renderlo unico per emergere. Immaginiamo – anche se so non essere nei suoi progetti, ma fantastichiamo – che il Federico Marchetti di oggi volesse intraprendere una nuova avventura e lanciare una nuova attività, progetto, – magari, proprio una startup -, su cosa punterebbe? «Punterei su quello che sto facendo: la sostenibilità incrociata all’innovazione. Credo che sia, come ho già spiegato, il filone più interessante. Se dovessi dare un consiglio ai giovani direi loro di non fermarsi alla prima di idea, di andare avanti, di esplorare, di capire bene quali sono le loro passioni, i loro interessi. Creare un’azienda vuol dire sposarla, dedicarsi full time alla sua crescita, al suo sviluppo. Non lo puoi fare se il soggetto non ti appassiona fino in fondo. Io ho scartato molti settori, dal food all’entertainment, prima di decidere che la moda incrociata al digitale fosse la cosa che volevo davvero fare. È stato un lungo lavoro di introspezione che mi ha portato a scegliere». Un “lungo lavoro” che l’ha portata a vendere YOOX con una valutazione di cinque miliardi di euro. Partire come uno startupper, un nerd, diventando poi uno degli imprenditori italiani più famosi al mondo. E oggi lavora con re Carlo III. Ovviamente in questa timeline non poteva mancare un pizzico di fortuna: dall’amico che, nel momento in cui si era appena licenziato e inoltre era indebitato per il master, durante un Natale le stacca un assegno mentre cenate in pizzeria – un po’ alla James Stewart in It’s a Wonderful Life di Frank Capra. Oppure uno dei padri del venture capital italiano, il visionario Elserino Piol, che due mesi prima dello scoppio della bolla di internet diventa il primo investitore di YOOX con una somma di circa 1,5 milioni di euro. Ora, dopo lo storytelling delle occasioni fortuite, la domanda è d’obbligo: qual è stata e qual è tuttora la caratteristica personale che l’ha sempre accompagnata e contraddistinta? «Il coraggio e la determinazione. Non trovavo un finanziamento e così ho cercato sull’elenco del telefono il numero di Piol, gli ho chiesto un appuntamento e l’ho convinto a investire in YOOX. Poteva andarmi male? Certo! Ma avrei provato e riprovato con tutti gli altri nomi possibili prima di arrendermi. Lo stesso ho fatto in tutti gli accordi che ho stipulato. Quando ho acquisito Net-A-Porter sembrava una mission impossibile, io italiano di Ravenna che parto alla conquista del mio competitor inglese, glamour e scintillante. Eppure, è successo: ho fuso le due società e creato un gruppo che è arrivato a cinquemila dipendenti. Passione, intraprendenza, execution. Non pensare mai di essere arrivati, continuare ad aggirarsi per il mondo con curiosità pensando che c’è sempre un’occasione dietro l’angolo. Partecipare anche a cose più grandi di te, sentendoti un intruso, ma riderci sopra. E soprattutto non avere paura, mai».
© RIPRODUZIONE RISERVATA