Fallimento della startup: 20 autentici motivi

Le percentuali di fallimento delle startup sono varie, si va dal 75% al 90%. Tra quelle che non falliscono, una percentuale ancora più piccola è destinata a trasformarsi in ‘unicorno’, alcune diventano delle aziende di successo ma non unicorni, altre diventano le cosiddette ‘lifestyle company”, cioè aziende che stanno in piedi serenamente, non scalano, ma garantisco un certo tenore di vita ai suoi fondatori. Ma quali sono i motivi che determinano il fallimento di una startup? Se si accetta la definizione di startup data da Steve Blank (probabilmente la più chiara nel sintetizzare il concetto di startup), vale a dire ‘la startup è un’organizzazione temporanea, alla ricerca di un business model scalabile e ripetibile‘, si può essere portati a credere che sia proprio un modello di business inadeguato la principale causa di morte della startup. Eppure non è così. In una classifica realizzata da CBInsights, realizzata grazie all’analisi di oltre 100 startup fallite, tra le prime 20 cause di fallimento il modello di business è direttamente chiamato in causa solo al 7° posto e in parte al punto 13 e 20, in cui si cita il pivoting. La principale causa di morte delle startup è, di gran lunga, la mancanza di un mercato per il prodotto o servizio che si propone. No market need: non si trovano clienti (o non abbastanza) il prodotto non piace, non risponde a nessun bisogno dei suoi potenziali utilizzatori. A nulla serve avere una bella idea, tecnologia, investitori, marketing se il prodotto non piace ai clienti. Completamente differente è la seconda più frequente ragione di fallimento, ovvero finire i soldi in cassa, causa strettamente connessa a tipici temi della vita di una startup, come l’inesperienza del team (aka, allocare male le risorse iniziali) e gli investitori (bisogna sempre saperli convincere che i profitti arriveranno). Le startup naturalmente necessitano di capitale per partire (stipendi, tecnologia, strumenti, spazi, servizi finanziari), cioè hanno bisogno di avere soldi in cassa prima di cominciare a fatturare,  per più o meno tempo in base a ciò che fanno e all’industry di riferimento, al time-to-market, alla capacità di generare entrate e di generarne a sufficienza non solo per stare in piedi, ma per continuamente a investire nella tecnologia e nella crescita (per i quali possono ricorrere al venture capital se si hanno altre metriche da mostrare).

Case history

Un esempio può chiarire come una startup può andare avanti a lungo se ha un prodotto che piace ai clienti: Twitter. Il popolare social network per ben 12 anni è andato avanti con conti in rosso, fino a quest’anno: lo scorso febbraio ha dichiarato profitti per 91milioni di dollari (contro un fatturato di circa 600 milioni). Pochini, ancora, se si pensa che prima o poi dovrà vedersela con quegli investitori che in questi anni hanno versato nelle sue casse circa 1,5 miliardi di dollari di investimenti. Ma è la costante crescita del numero di utenti, oggi sono circa 70 milioni gli utenti attivi, che le ha permesso di avere credito. Si dice spesso che Twitter non abbia ancora saputo monetizzare questi utenti, pare anche che i Centennials non ne siano particolarmente affascinati, ma fino a qui una cosa è certa: gli utenti hanno amato Twitter. Quindi: Twitter non è fallita perché ha un grande mercato e questo fatto le ha permesso di andare avanti con i conti in rosso per 12 anni. Da prendere ad esempio solo per quanto riguarda la prima parte, a meno che non si raggiungano milioni di utenti e si abbiano eccezionali capacità di fundraising. Le altre cause di fallimento della startup nell’infografica e nell’articolo originale; lettura consigliata anche questo post su Medium.  

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